19 marzo 2009

ASSISTENZA PSICHIATRICA: NON SE NE PARLA MAI TROPPO


a cura di Piera Landoni – Maria Rita Gismondo-


“La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d’essere” (Franco Basaglia).

La legge, passata alla storia come legge Basaglia, applicò, non senza critiche, un moderno metodo terapeutico consistente nel non considerare più il malato mentale alla stregua di un individuo pericoloso ma al contrario un essere del quale devono essere sottolineate, anziché represse, le qualità umane. Il malato è di conseguenza messo nella condizione di avere continui rapporti con il mondo esterno, in quanto gli è permesso di dedicarsi al lavoro ed al mantenimento dei rapporti umani. Questo metodo di cura, come appare chiaro, non può essere esente da concezioni politiche e sociali. Per un nuovo rapporto tra medico e paziente Basaglia s’ispirò alla “comunità terapeutica” di origine inglese; i riferimenti teorici furono Sartre, soprattutto per quanto riguarda il concetto di libertà, Foucault e Goffman per la critica all’istituzione psichiatrica.

Sono passati trent’anni, dall’approvazione della legge, nel maggio 1978, e a tutt’oggi, le discussioni, i tentativi di rivisitazione, le criticità sul campo non mancano. Non è difficile affermare che se i diritti e la dignità di chi soffre di disturbi mentali sono riconosciuti, spesso sono rimasti sulla carta e il diritto alla salute mentale, cosi come la legge l’ha concepito, non è garantito sul tutto il territorio nazionale. Esiste anche un problema culturale, infatti lo stigma sul disagio mentale persiste e porta a discriminazioni e ostacola anche le cure e la presa in carico efficace del paziente. In alcuni casi, alla chiusura dei manicomi voluta dalla legge 180, si sta rispondendo, in alcuni casi, facendo tornare in auge pratiche di contenzione, mentre in alcune aree geografiche, Servizi psichiatrici di diagnosi e cura (Spdc) territoriali tendono a offrire risposte esclusivamente di tipo ambulatoriale tecnico, dalla psicofarmacologia alla psicoterapia.

Il tema dominante, a livello politico, in questi ultimi anni, è stato quello di verificare in itinere l’applicazione della legge stessa, e se le Regioni, in maniera puntuale ne seguissero i processi attuativi. A macchia di leopardo, possiamo dire, che ci sono state Regioni virtuose, a fronte di cospicue risorse economiche, che sono riuscite a rispondere alla domanda, e altre con maggiore sofferenza, che hanno faticato allo sviluppo delle realtà previste. A fronte di tutto ciò, emerge chiaramente che per raggiungere l’obiettivo, bisogna garantire risorse economiche, adeguate al territorio. E’ infatti necessario realizzare e completare la rete dei servizi, con l’assunzione di personale qualificato, formazione, confronto con le varie esperienze di work in progress, sostegno alle famiglie, non solo di tipo economico, ma soluzione di continuità assistenziale e out of-hours.             Occorre poi coprire il territorio di nessuno, e cioè il fine settimana e i servizi serali, durante i quali le famiglie non hanno alcuno cui rivolgersi.

Gli attuali disegni di legge, in fase di valutazione in Parlamento, non rispondono appieno alle nuove ed emergenti domande. per esempio, non si può non essere critici sul prolungamento del T.S.O. (Trattamento Sanitario Obbligatorio), così come pure per il prolungamento dei giorni di permanenza nell’S.P.D.C. (Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura).Bisognerebbe insistere sulla realizzazione delle strutture di bassa e media protezione, e porre un limite temporale alle strutture ad alta protezione, con proposte alternative al ricovero ospedaliero. La psichiatria, deve farsi carico inoltre, di patologie emergenti, come ad esempio, ansia, depressione, e tutti, dovrebbero interrogarsi sul perché i servizi presenti siano poco operativi, fare una riflessione sulle necessità non più rinviabili. Il lavoro di rete è insufficiente. Bisogna risolvere alla radice l’eterno e insoluto problema degli O.P.G., che operano nell’isolamento più assoluto, rappresentando terra di conquista e di nessuno, dove le strutture private attingono linfa vitale, grazie a leggi permissive. Non marginale la definire le responsabilità giuridiche dell’operatore sull’annosa e dirimente questione della “Capacità di Intendere e Volere”.

Neanche la Lombardia, regione modello italiano per la sanità, ha risposto adeguatamente alle necessità territoriali. É recente una raccolta di 50 mila firme per ottenere dalla Regione un’assistenza adeguata ai malati di mente. L’iniziativa è stata promossa dal Clp (Coordinamento lombardo psichiatria) in rappresentanza degli operatori e dei gruppi di volontariato che da alcuni anni affiancano le strutture amministrative che governano i servizi psichiatrici in Lombardia. “Con queste firme . ha detto don Virginio Colmegna . non chiediamo la riapertura dei manicomi, ma che siano finalmente realizzate quelle strutture previste dalla legge 180 e mai realizzate. Vogliamo che la questione psichiatria sia un punto centrale del programma della nuova giunta”.

La situazione dei servizi per i malati di mente resta drammatica: si calcola che siano almeno 100 mila le persone assistite nelle strutture pubbliche, ma molti altri sono costretti a ricorrere alle strutture private. Un’assistenza scarsa e, spesso, dequalificata, soprattutto a Milano. E questo nonostante gli sforzi compiuti direttamente dalla Regione: “In 10 anni . ha ricordato Massimiliano Chiolo, il funzionario responsabile del settore. lo Stato ci ha dato complessivamente 9 miliardi per applicare la 180: noi ne abbiamo spesi 230. Quel che ci preoccupa maggiormente oggi è la proposta governativa sui livelli uniformi di assistenza: si parla di mettere in campo 17 operatori ogni 100 mila abitanti, quando in Lombardia già ne esistono 33,5 contro i cento che sarebbero necessari secondo un recente studio di esperti”. La strada da percorrere per assicurare ai malati e ai loro familiari servizi adeguati è, dunque, ancora lunga: basti pensare che attualmente ci sono ancora 3200 pazienti in condizioni di ricovero manicomiale. Siamo, insomma, ben lontani dall’applicazione della 180 non solo per le strutture nuove da realizzare, ma anche per eliminare anche in Lombardia le storture che la legge sulla carta aveva messo al bando.

Piera Landoni

Maria Rita Gismondo



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