15 maggio 2012

LE BANDE GIOVANILI DEI “LATINOS”: PROBLEMA SOCIALE O RISORSA?


Ciclicamente, a distanza di qualche mese, a Milano, la cronaca ci riporta all’attenzione una problematica di estrema attualità, vissuta con timore dai cittadini: la presenza di bande cittadine, costituite perlopiù da minori o da giovani adulti, che si fronteggiano in alcune zone della città e costituiscono un grave problema di sicurezza sociale. I nomi di questi gruppi (Latin Kings, Nietas, Comando, per citarne alcuni) ci riportano alla mente esperienze storiche antagoniste prevalentemente di origine sudamericana. Questa, infatti, la matrice culturale, con istanze di egualitarismo sociale e di solidarietà giovanile e sono di origine hispanica anche la maggioranza dei componenti di questi gruppi giovanili che spesso creano disagio in alcuni quartieri cittadini.

Nel 2007, l’allora presidente della provincia di Milano, Filippo Penati, riuscì ad abbozzare una sorta di “accordo programmatico” con alcune di queste realtà, con l’impegno, da parte loro, di una totale astensione da qualsiasi forma di violenza e, da parte del potere politico, un “riconoscimento di fatto” e un impiego delle risorse umane di queste “bande” in alcuni progetti di integrazione interrazziale (gestione spazi ricreativi, ad esempio).

Non sempre le finalità di integrazione culturale sono riuscite: ricordiamoci, ad esempio, gli scontri etnici di via Padova del 2010, scoppiati a seguito della morte di un ventenne egiziano accoltellato da un giovane dominicano dopo una banale lite sull’autobus. O anche il recente arresto di una trentina di ragazzi sudamericani, autori di rapine sulle linee metropolitane, che spesso filmavano le loro “prodezze” e caricavano in rete quanto filmato. Anziché aderire a gang esistenti, molti giovani, negli ultimi mesi, si sono inventati le proprie (con nomi altrettanto evocativi, Latin Dangerz e Los Brothers), ispirandosi alle note band hispaniche, ma non condividendo con le stesse alcun principio ideale, esprimendosi solo con atti violenti.

Diamo qualche dato numerico. Secondo i recenti dati del Comune (fine 2011), a Milano gli immigrati sudamericani regolari sono oltre 42.000. Arrivano soprattutto da Perù ed Ecuador e sono una comunità molto giovane: i minorenni sono quasi 1 su 4. Molti di loro vivono in Italia con un solo genitore – in genere la madre – ma sono cresciuti in patria affidati ad altri parenti e si tratta di giovani senza alcun rapporto con l’autorità familiare e che spesso hanno abbandonato la scuola. È facile riconoscere i giovani affiliati dai comportamenti: le passeggiate a ranghi serrati, l’abuso di alcol, l’onnipresente coltello che tutti portano con sé.

Le risse tra bande rivali, che finiscono ciclicamente sulle pagine di cronaca, sono il reato più frequente, oltre a risse, furti e rapine: insomma, si tratta di un grave problema sociale che non va affrontato solo da un punto di vista repressivo. Si citava l’esperienza di tentativo di “accordo programmatico”, allora elaborato dalla presidenza della provincia, perché si ritiene che l’unico modo per isolare la violenza all’interno di queste bande e, allo stesso tempo, favorire l’integrazione di soggetti spesso ad alto rischio desocializzazione, ancorché molto giovani, sia proprio quello di un “riconoscimento virtuoso” delle stesse da parte delle istituzioni.

Come avvenuto per la comunità rom, un’idea potrebbe essere quella di istituire, all’interno dell’assessorato ai servizi sociali, un vero e proprio osservatorio relativo a questo fenomeno che ne indaghi a fondo le cause e cerchi un contatto positivo con i componenti. Solo così si potrà controllare un importante problema sociale, eventualmente cercare di allontanare dalle esperienze di microcriminalità soggetti molto giovani e valorizzare coloro che intendono seriamente impegnarsi in piccole iniziative di integrazione.

Insomma, occorre trasformare un grave problema di sicurezza in risorsa di integrazione della nostra città, pena, in caso contrario, una doppia sconfitta: sia da un punto di vista repressivo, con l’aumento della tensione e di condotte criminose di vario tipo, sia da un punto di vista dell’inserimento sociale di giovanissimi che, pur provenendo da paesi lontani, sono e saranno nostri concittadini.

 

Ilaria Li Vigni

 



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