15 maggio 2012

arte


GLI ELEMENTI DI BRUEGHEL IL VECCHIO

Rizómata è la parola greca che significa “radici”. La usò il filosofo Empedocle, vissuto a metà del V secolo a.C., per indicare i quattro elementi fondamentali da cui sarebbe costituito l’universo intero: il fuoco, l’aria, l’acqua e la terra. Rizómata è anche il titolo della mostra presso la Pinacoteca Ambrosiana, che, dopo più di 200 anni, riunisce quattro capolavori di Brueghel il Vecchio.

I quattro elementi sono dipinti su rame creati tra il 1608 e il 1621, appositamente per il cardinale Federico Borromeo, già fondatore della Biblioteca e della Pinacoteca Ambrosiana. Una amicizia di lunga data, iniziata nel 1592 a Roma, legava questi due grandi personaggi, che si rincontrarono a Milano tre anni dopo, prima che Brueghel tornasse definitivamente ad Anversa.

Questa amicizia ci è nota grazie al carteggio epistolare rimastoci, esposto in mostra, che illustra anche la genesi dei quattro dipinti. Il cardinale Federico, parlando di queste opere, le definiva di gran pregio e fonte di grande stupore, ricolme di dettagli e di meraviglie naturalistiche.

I quattro elementi rimasero in Pinacoteca fino al 1796, quando Napoleone li requisì insieme al Codice Atlantico di Leonardo e al manoscritto appartenuto a Petrarca, con le opere di Virgilio. Non è un caso dunque che, insieme a questi due capolavori assoluti, i francesi si fossero presi anche i quattro preziosi dipinti. Con la caduta di Napoleone si affrontò anche il destino delle opere d’arte trafugate. Canova, emissario italiano, ottenne la restituzione di solamente due dei quattro dipinti: l’allegoria del Fuoco e dell’Acqua, mentre l’Aria e la Terra rimasero a Parigi.

È ancor più di interesse dunque vederli oggi tutti riuniti, uno accanto all’altro, così come si presentarono agli occhi del cardinal Borromeo, in un succedersi organico di suggestioni e dettagli. Nell’allegoria del Fuoco, elemento indomabile, un incendio si sviluppa su un monte, mentre una fucina di fabbri forgia armi e armature lucenti, in una sorta di caotico museo, mentre tutto intorno creature demoniache si librano nell’aria.

L’allegoria della Terra sembra invece una sorta di Paradiso terrestre in cui animali di ogni specie e taglia, predatori e vittime, stanno l’uno accanto all’altro, in una vegetazione rigogliosa e fiorita. E in effetti questa opera dialoga anche con gli altri due dipinti fioriti di Brueghel, esposti sempre in Pinacoteca: i Fiori in un bicchiere e il Vaso di fiori, esposti nella sala VII.

L’allegoria dell’Acqua ci mostra invece un paesaggio quasi lacustre, con pesci, crostacei e molluschi, in cui una vecchia divinità è seduta accanto ad un giovane, con conchiglie che sgorgano acque fresche. L’arcobaleno richiama un mondo primordiale, quasi l’alba della Creazione. L’Aria è l’allegoria che ha in sé il più forte elemento mitologico, con al centro una dea vestita solo da un drappo rosso, circondata da una miriade di volatili e da puttini che giocano con strumenti astronomici. Questo fu l’ultimo dei quattro elementi ad essere dipinto ed anche quello che più, disse il cardinal Federico, lo aveva perfuso tutto di gioia.

Piccole enciclopedie del tempo, quasi “miniate” con la precisione e l’amore per i dettagli tipici dei pittori fiamminghi. “Quando il cardinal Federico Borromeo commissionò a Jan Brueghel i dipinti pensava alla Natura come luogo dove era possibile leggere l’impronta del Creatore – spiega il curatore Marco Navoni – Anzi, dalla Creazione era possibile e doveroso risalire al Creatore stesso, secondo quanto afferma san Paolo, all’inizio della lettera ai Romani, dove si legge: «Dalla creazione del mondo in poi, le perfezioni invisibili di Dio possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinit໓.

Ecco perché queste allegorie, di sapore un po’ profano ma commissionate da un uomo di Chiesa, risultano così dense di significato ed erano così amate dal cardinale stesso. Un’occasione per vederle riunite, fino al 1 luglio, prima che vengano separate di nuovo, così come già le vicende napoleoniche imposero.

RIZÓMATA Terra, Aria, Acqua, Fuoco – Il Ritorno di Brueghel all’Ambrosiana Pinacoteca Ambrosiana. Fino al 1 luglio 2012 Orari: Da Martedì a Domenica dalle 10.00 alle 19.00 Prezzi: Solo mostra RIZÓMATA: Intero: 5 €, Under 14: 0 € (accompagnati da adulto) Mostra RIZÓMATA + Pinacoteca + Mostra Leonardo Codice Atlantico: Intero: 15 €, Ridotto: 10 €

 

 

LE CERAMICHE DI AI WEIWEI

Lisson Gallery, storica galleria londinese, ha aperto i battenti a Milano nel settembre 2011. Un evento che ha creato scompiglio e meraviglia, in tempi di crisi globale. Diretta da Annette Hofmann, la nuova filiale Lisson è situata in via Zenale 3, in un bel palazzo vicino a Santa Maria delle Grazie, in uno spazio bianchissimo circondato da un bel parco privato.

Dopo le mostre dedicate a Julian Opie e John Latham, fino al 25 maggio sarà possibile visitare la nuova esposizione della galleria, dedicata all’artista cinese Ai Weiwei, personaggio noto non solo per i suoi lavori, ma anche per delle tristi vicende politiche. Weiwei fu infatti imprigionato dalla polizia cinese, nel 2011, ufficialmente per motivi fiscali, ufficiosamente per il suo lavoro sovversivo e critico verso la Repubblica popolare cinese.

La mostra milanese è dedicata per lo più alle opere realizzate in ceramica nel 2006, tecnica questa che Ai Weiwei studia e conosce grazie a un lungo e inteso periodo di lavoro a Jingdezhen, città cuore della produzione cinese di ceramiche. Grazie alla riflessione su questo materiale è nata anche l’opera Sunflower Seeds, installazione realizzata dall’artista per la prestigiosa Tate Modern di Londra.

Weiwei non è nuovo all’uso di materiali come la ceramica. Molte sue opere sono state realizzate adattando, dipingendo e distruggendo antichi vasi e urne, in una sorta di modernissimo ready-made. Non è questo però il caso, visto che in mostra ci sono pezzi unici, fatti a mano, che non mistificano ma anzi rendono onore a una delle più importanti e antiche tecniche cinesi. Il valore storico e culturale delle tecniche e dei materiali utilizzati è un elemento essenziale nel lavoro dell’artista, che li rielabora poi nella sua personale visione.

E allora ecco gli affascinanti Watermelons (2006), rappresentazioni realistiche di due angurie tonde e monumentali, realizzate a mano in ceramica e dipinte. Esattamente come Sunflower Seeds (semi di girasole) della Tate, la creazione di queste opere risponde alla tradizione cinese legata all’imitazione delle forme naturali. Anche Oil Spill (2006), attraverso l’uso di una lucidissima ceramica nera, riproduce familiari ma allo stesso tempo minacciose pozzanghere di petrolio greggio, disseminate sul pavimento bianco della galleria. L’opera Bubble (2008), presentata in mostra in una versione minore rispetto a quella già esposta a Miami, è composta da sei sfere di porcellana blu lavorate a mano. A Miami le sfere erano ben cento. Un filone simile lo segue Pillar (2006), una sorta di monumentale forma geometrica blu che si staglia nel cortile interno della galleria.

Ultime opere in ceramica sono i Ghost Gu (2007), in cui Weiwei rifà un particolare vaso della dinastia Yuan e che porta l’attenzione sulla tematica del falso fatto “ad arte”. Infine, Marble Plate (2010) rappresenta un grande piatto di marmo bianco, altro materiale sperimentato nella produzione degli ultimi anni di Ai Weiwei. Ultimo e importante lavoro dell’artista è la realizzazione, insieme a Herzog & de Meuron, del Padiglione 2012 della Serpentine Gallery di Londra, altra istituzione iconica e fondamentale dell’arte contemporanea europea.

Ai Weiwei – fino 25 maggio 2012, Lisson Gallery via Zenale 3 – Orari: da Lunedì a Venerdì: 9.30 – 13.00 e 15.00 – 18.00 Ingresso gratuito

 

 

MARLENE DUMAS TRA STELLINE E PASOLINI

Sorte è una parola triste. Destino è un po’ meglio. La Libertà è incastrata tra le due. Più invecchi, più ti muovi verso le ultime possibilità“. Così Marlene Dumas racconta la sua ultima fatica, “Sorte“, la mostra creata per la Fondazione Stelline di Milano. Quindici le opere nuove e inedite che l’artista sudafricana, olandese di adozione, ha creato o scelto appositamente per adattarle al luogo dell’esposizione. Pasolini, Cristo in croce, Amy Winehouse e le piccole ospiti dell’antico orfanotrofio sono alcuni dei soggetti scelti dalla Dumas per raccontare le vite e i destini interrotti, ma non dimenticati, dei suoi protagonisti. Un intreccio indissolubile tra l’antico ex convento, diventato ricovero per bambine abbandonate, e i dipinti dell’artista.

Invitata dalla Fondazione Stelline, Marlene Dumas ha consultato il vasto archivio fotografico della Fondazione e ha scelto tre immagini risalenti agli inizi del Novecento per trarne altrettanti dipinti. Nel primo una classe di ragazzine riunita intorno alla loro insegnante: vestite coi grembiuli chiari, sedute o in piedi, attorniano la maestra in abito scuro e guardano verso di noi, i volti quasi cancellati dal tempo ed evanescenti. Le altre due immagini, intitolate “Stellina” e “Destino“, ritraggono invece due bambine, le “stelline” appunto, come erano chiamate le ospiti dell’orfanotrofio, con la divisa usata nelle uscite ufficiali. “Stellina e Destino mi ricordano una fotografia di mia madre da bambina. Vecchie immagini di giovani ragazze, che oggi non fanno più parte di questo mondo, ma che allora avevano ancora il futuro e la fortuna intatti davanti a loro“, spiega la Dumas stessa. Il passato non si può distruggere, è sempre presente, come sempre sarà, in questi luoghi, lo spirito di tutte le stelline che ci hanno abitato.

Altro filone tematico dell’esposizione è Pier Paolo Pasolini, al quale la Dumas aveva già dedicato fra il 1989 e il 1990 la Pasolini Series. Un confronto/scontro tra i crocifissi della serie “Forsaken” (con riferimento alle parole che Cristo in croce rivolge al Dio padre: “Perchè mi hai abbandonato?”) e i ritratti del grande regista – scrittore: come il crocifisso mostra l’abbandono del Figlio da parte del Padre e quindi il senso di solitudine e vuoto, Pasolini, figura tragica a causa della sua morte violenta, è tuttavia ritratto accanto alla madre Susanna, in una contrapposizione tra il rapporto paterno, legato alla morte, e quello materno legato alla vita.

Ma c’è anche un’opera che combina e riunisce insieme questi rapporti: la Pietà Rondanini di Michelangelo, con una madre straziata dal dolore che tenta di sostenere il peso, troppo grande, del corpo morto del figlio, quasi per inglobarlo di nuovo in sé. Nella visione laica di Marlene Dumas però il crocifisso e la Pietà non sono simboli religiosi ma “segni universali in cui la fede si unisce alla tragedia, e l’amore interagisce con il dolore“, spiega il curatore Giorgio Verzotti.

A questi personaggi storici si aggiunge anche la cantante da poco scomparsa Amy Winehouse, morta quando la Dumas stava portando a completamento la serie dei Forsaken. Una ragazza troppo fragile, nonostante gli eccessi, e che diventa simbolo e immagine di un dolore e una sofferenza portati all’esasperazione.

Conclude l’esposizione il film “Miss Interpreted (Marlene Dumas)” (1997), realizzato e diretto da Rudolf Evenhuis e Joost Verhey, in una versione postprodotta in italiano appositamente per la mostra.

MARLENE DUMAS fino al 17 giugno 2012, Fondazione Stelline corso Magenta Milano orari: martedì – domenica, 10 – 20, biglietti: intero € 8; ridotto € 6; scuole € 3.

 

 

ASPETTANDO IL MUSEO: GLI ARTISTI DI ACACIA

ACACIA – Associazione Amici Arte Contemporanea, è un’associazione privata che riunisce al suo interno collezionisti e amanti d’arte, e che, nel suo insieme, incarna una sorta di super collezionista, attivo e attento alle tendenze artistiche. La promozione e il sostegno dell’arte e del lavoro di giovani artisti italiani è tra gli scopi principali dell’associazione, ed è per questo motivo che, fin dalle sue origini, nove anni fa, il nucleo di opere comprate dai singoli collezionisti e messo a disposizione dell’associazione ha un grande e mirabile scopo: la creazione di una collezione di opere d’arte contemporanea da esporre a Milano nel futuro e presto auspicabile museo di arte contemporanea.

Ecco dunque nascere la seconda edizione della mostra, esposta a Palazzo Reale, comprendente circa trenta opere di artisti internazionali e di primissimo piano: Mario Airò (vincitore della prima edizione del Premio ACACIA), Rosa Barba, Vanessa Beecroft, Gianni Caravaggio, Maurizio Cattelan, Roberto Cuoghi, Lara Favaretto, Francesco Gennari, Sabrina Mezzaqui, Marzia Migliora, Adrian Paci, Paola Pivi, Ettore Spalletti, Grazia Toderi, Luca Trevisani, Marcella Vanzo, Nico Vascellari e Francesco Vezzoli. Opere d’arte che esplorano, com’è tipico dell’arte contemporanea, tutti i medium e i supporti possibili: dalla fotografia ai video, dalla pittura alla scultura fino all’installazione.

Aprendo al pubblico la nostra raccolta vogliamo certamente proporre un evento culturale strettamente connesso al tempo che stiamo vivendo ma, nello stesso momento, iniziare un dialogo attivo e propositivo, perché l’arte contemporanea non rimanga appannaggio di pochi, bensì sia promossa, conservata e tutelata“. Questo il proposito di Gemma de Angelis Testa, presidente e fondatrice di ACACIA.

Una sorta di mecenatismo collettivo dunque, tutto a favore della città, che permette da una parte di comprare arte per il futuro museo, e dall’altra la conoscenza e la promozione dell’arte e degli artisti più importanti del panorama contemporaneo, con l’obiettivo di essere “capace di rispecchiare la contemporaneità e le sue dinamiche, un polo divulgativo in grado di trasmettere al suo pubblico formato da vari livelli culturali, la conoscenza dell’arte“, conclude De Angelis Testa.

La mostra presenta anche per la prima volta al pubblico il lavoro di Rosa Barba, vincitrice del Premio ACACIA 2012: “Theory in order to Shed Light“. I suoi lavori, definiti sculture filmiche, sono il mezzo con cui l’artista ama esprimersi, attraverso l’uso del video che viene smembrato nei suoi elementi strutturali: parole, musica, immagini e luce. La parola è la parte che più interessa Rosa Barba: frasi intere o testi vengono proiettati sulle pareti, accompagnati dal commento di voci fuori campo o dalla musica, utilizzando vecchi proiettori cinematografici collegati a strumentazioni di moderna tecnologia.

In attesa dei grandi lavori, anche museali, per l’Expo 2015, accontentiamoci per ora di avere un assaggio d’arte di quello che vedremo in più adeguata sede.

Gli artisti italiani della Collezione ACACIA – Associazione Amici Arte Contemporanea Palazzo Reale fino al 24 giugno. Ingresso gratuito Lunedì: 14.30_19.30 Martedì, Mercoledì, Venerdì e Domenica: 9.30_19.30 Giovedì e Sabato: 9.30_22.30

 

LAZZI E SBERLEFFI DIPINTI

Dario Fo è un personaggio da tutti conosciuto. Uomo di teatro, Nobel per la letteratura, critico ironico sulla società e i suoi vizi. Non tutti sanno, però, che Dario Fo è anche pittore. Un amore di lunga data, quello con la pittura, iniziato da giovane durante i suoi anni passati all’Accademia di Brera. Milano, sua città di adozione, gli dedica una grande retrospettiva artistica, in cui sono presentate ben 400 opere create dall’artista durante la sua lunga vita. I lavori di Fo sono tutti caratterizzati da una grande varietà di stili e tecniche: le pitture dei primi anni, i collages, gli arazzi, fino ai monumentali acrilici più recenti. In mostra anche oggetti di scena, maschere, marionette e burattini, tra cui quelli storici appartenuti alla famiglia Rame.

Nutrita la presenza di disegni, schizzi, acquarelli, bozzetti di costumi, fondali, ampie scenografie, locandine e stampe che hanno caratterizzato la vita teatrale della coppia Fo-Rame. Invenzioni personalissime, come i dipinti in cui compare Roberto Saviano e i dipinti a tema politico e satirico, ma anche opere che sono un omaggio e una rilettura della storia dell’arte e dei suoi maestri.

Si parte dalle vere origini, la preistoria, con i lavori ispirati alle incisioni rupestri ma “ai giorni nostri”, attraversando i linguaggi della classicità greca e romana sino alla preziosità dei mosaici ravennati e bizantini. L’interesse di Dario Fo per l’arte del Medioevo e del Rinascimento è testimoniato dai lavori che celebrano i rilievi scultorei del Duomo di Modena e di Parma, insieme agli studi e alle lezioni-spettacolo su Giotto e Pietro Cavallini, Mantegna, Giulio Romano, Michelangelo, Leonardo, Raffaello, Correggio e Caravaggio. Si arriva fino a Tiepolo e la storia dell’arte si interrompe per far posto all’opera teatrale di Rossini e al teatro di Molière.

La mostra si conclude poi con una sezione dedicata alla formazione artistica di Fo, dai primi studi sul lago Maggiore fino al trasferimento a Milano, con la frequentazione dell’Accademia di Brera, dove incontrò maestri fondamentali come Achille Funi, Carlo Carrà e Aldo Carpi. Durante il percorso venti schermi documentano sala per sala la mostra, attraverso le lezioni spettacolo tenute da Fo e Franca Rame, con anche una sala di proiezione, dove saranno visibili le rappresentazioni teatrali e i film creati dal duo di vita e d’arte.

Grande successo ha riscosso nelle scorse settimane anche l’iniziativa “Bottega d’artista”, un vero e proprio spazio in cui si è ricreato, all’interno della mostra, il laboratorio creativo in cui lavora Fo, e che ha portato quasi duemila persone a contatto con l’artista e i suoi collaboratori, per mostrare dal vero come nascono i disegni e i dipinti che porteranno poi ai canovacci rappresentati in scena. La “Bottega d’artista” farà parte del percorso espositivo fisso, mostrando strumenti e trucchi usati nella realtà da Fo per creare i suoi dipinti.

Dario Fo a Milano. Lazzi, sberleffi, dipinti“. Fino al 3 giugno Orari: Lunedì 14.30 – 19.30. Martedì, mercoledì, venerdì, domenica 09.30 – 19.30. Giovedì e sabato 09.30 – 22.30 Costi: 9 € intero 7,50 € ridotto

 

 

MARINA IS PRESENT

Questa settimana il mondo dell’arte milanese ha mormorato sempre e solo un nome: Marina. E la signora in questione è riconosciuta internazionalmente come la regina delle performer, Leone d’Oro alla Biennale di Venezia del 1997, creatrice di performance scandalose e provocatorie. Va in scena Marina Abramović.

Si è aperta con grande eco internazionale “The Abramović Method”, un evento a metà tra la retrospettiva e la presentazione di un grande, impegnativo nuovo lavoro dell’artista serba. Questo nuova opera nasce da una riflessione che Marina Abramović ha sviluppato partendo dalle sue ultime tre performance: The House With the Ocean View (2002), Seven Easy Pieces (2005) e The Artist is Present (2010), esperienze che hanno segnato profondamente il suo modo di percepire il proprio lavoro in rapporto al pubblico.

“Nella mia esperienza, maturata in quaranta anni di carriera, sono arrivata alla conclusione che il pubblico gioca un ruolo molto importante, direi cruciale, nella performance”, dichiara la Abramović. “Senza il pubblico, la performance non ha alcun senso perchè, come sosteneva Duchamp, è il pubblico a completare l’opera d’arte. Nel caso della performance, direi che pubblico e performer non sono solo complementari, ma quasi inseparabili”.

E allora ecco che questa volta il pubblico diventa totalmente protagonista e attore. Una ventina di “volontari”, guidati dalle indicazioni della Abramović e dei suoi assistenti, prendono posto in installazioni che ricordano le tre principali posizioni usate dall’uomo: lo stare in piedi, sdraiati o seduti. Seguendo le indicazioni dell’artista, vestiti di camici bianchi e di cuffie insonorizzanti, i protagonisti dell’Abramović Method sono tenuti a stare 30 minuti in ogni posizione, in un percorso fisico e mentale il cui scopo è quello di espandere i propri sensi, osservare, imparare ad ascoltare e ad ascoltarsi.

Ma anche il pubblico è protagonista. Per enfatizzare il ruolo ambivalente di osservatore e osservato, di attore e spettatore, centrale ai fini del concetto stesso di performance, Marina Abramović mette alla prova il pubblico anche nell’atto apparentemente semplice dell’osservazione: una serie di telescopi permettono infatti ai visitatori di osservare dall’alto della balconata del PAC i protagonisti dell’evento, concentrandosi su alcuni particolari.

Una scelta non facile quella di partecipare alla performance, che richiede grande forza di volontà e anche un pizzico di resistenza fisica, oltre che la consapevolezza di “donare” un paio d’ore del proprio tempo all’arte e alla riflessione sulle nostre percezioni.

Ma d’interessante c’è anche il lavoro “The artist is present“, video e riproduzioni della monumentale performance del 2010 che la Abramović fece al MoMA di New York. Per tre mesi, sette ore al giorno, la Abramović è stata immobile e in silenzio davanti a oltre 1400 persone che, una alla volta, hanno avuto l’occasione di sedersi davanti a lei, seduta in assoluto silenzio a un tavolo nell’atrio del museo. I visitatori potevano sedersi di fronte a lei per tutto il tempo desiderato, e mentre l’artista non aveva alcuna reazione di fronte ai partecipanti, la loro reazione era invece il completamento dell’opera, permettendo ai visitatori di vivere un’esperienza intima con l’artista.

Immagini emozionanti, che mostrano come ogni essere umano reagisca in modi assolutamente diversi: chi rideva, chi stava serio, chi aveva una faccia dubbiosa e coloro che invece, molti, si lasciavano andare alle emozioni, piangendo silenziosamente davanti all’artista.

Concludono il percorso una selezione di video con le performance più famose della Abramović, come “Dozing Consciousness“, 1997, “Nude with Skeleton“, 2002, “Cleaning the Mirror I e II“, 1995, “The Kitchen. Homage To Saint Therese“, 2010 e tanti altri.
La scoperta di Marina Abramovic continua poi presso la galleria Lia Rumma, con la personale “With eyes closed I see Happyness“, fino al 5 maggio.

MARINA ABRAMOVIČ The Abramovič Method – fino al 10 giugno orari: lunedì 14.30 – 19.30, da martedì a domenica 9.30 – 19.30, giovedì 9.30 – 22.30; orari turni performance: lunedì 15.00/ 17.30, dal martedì alla domenica 10.00/ 12.30/ 15.00/ 17.30; giovedì 10.00/ 12.30/ 15.00/ 17.30/ 20.00;costi: biglietto unico performance + mostra dal 25 marzo: € 12 Biglietto mostra: € 8 intero, € 6 ridotto

 

 

DA BELLINI A TIZIANO. NASCITA ED EVOLUZIONE DEL PAESAGGIO

Si è aperta la nuova stagione delle mostre a Palazzo Reale, e a inaugurarla è niente meno che una mostra su Tiziano e il suo secolo. Il Cinquecento veneto è stato dominato in pittura proprio da Tiziano, un artista che a partire dalla lezione di Giovanni Bellini e di Giorgione ebbe il merito di aver portato la natura e il paesaggio sullo stesso piano dei soggetti allora ritenuti più importanti (scene storiche, nudi, racconti sacri), aggiungendo quindi un elemento di grande modernità all’interno dei suoi dipinti.

Suo fu infatti l’uso nell’accezione moderna, del termine “paesaggio”, parola che compare per la prima volta nel 1552, in una celebre lettera dello stesso Tiziano all’imperatore Filippo II. L'”invenzione” del paesaggio in pittura, come realtà a se stante, fu una vera a propria rivoluzione. Dallo sfondo quasi riempitivo dei dipinti degli artisti delle generazioni precedenti, visto a volte come secondo piano su cui relegare episodi secondari e piccoli dettagli, passò a essere un vero e proprio piano autonomo. Paesaggi fantasiosi, spesso inventati, ma che permisero agli artisti, Tiziano in primis, di sperimentare un nuovo rapporto tra i soggetti rappresentati e la natura, di farli interagire e di renderli complementari.

“Fino alla prima metà del Quattrocento, nel Veneto, quasi non esistono aperture paesistiche nei dipinti, che non siano generici fondali di verzura, o stilizzate convenzioni, come le onde a ricciolo dei mari in burrasca. Prima del nuovo termine tizianesco, l’ambiente naturale era “paese” e gli artisti dipingevano “quadri di paesi”, cioè degli spazi, dei luoghi, considerati sotto il profilo delle loro caratteristiche fisiche e ambientali”, spiega il curatore della mostra Mauro Lucco. Ecco perché il cammino iniziato da Bellini e concluso da Tiziano e seguaci è così importante, tanto da aver fatto arrivare a Milano una cinquantina di dipinti e disegni provenienti da alcuni dei maggiori musei americani – il Museum of Fine Arts di Houston, l’Institute of Arts di Minneapolis – ed europei – la National Gallery di Londra, la Gemäldegalerie Alte Meister di Dresda, le Gallerie dell’Accademia di Venezia, gli Uffizi di Firenze.

La mostra è aperta da due capolavori, la Crocifissione nel paesaggio di Giovanni Bellini e La prova del fuoco di Giorgione, che accompagnano un celebre dipinto giovanile di Tiziano, La sacra conversazione. Fu proprio Bellini il primo a inserire nei suoi dipinti sacri il paesaggio sullo sfondo, distinto però dal soggetto principale, e ben delimitato da drappi, cortine o invisibili valli spaziali. Seguendo il modificarsi della funzione del paesaggio, il percorso si sviluppa poi attraverso le sale, in cui le opere di Palma il Vecchio, Cima da Conegliano, Veronese e Jacopo da Bassano, arrivando alla chiusura con il Narciso di Tintoretto, sono accostate ad altri dipinti di Tiziano, interpreti di questa novità: L’Orfeo e Euridice, La Nascita di Adone, Tobiolo e l’angelo, L’adorazione dei pastori.

Un paesaggio che ha avuto anche una sua declinazione letteraria, grazie a Jacopo Sannazzaro, che in quegli anni compose e pubblicò l’Arcadia (la cui prima edizione del 1504 è esposta in a Palazzo Reale), in cui la natura e la campagna sono descritte come luoghi ameni di delizia e gioia, popolate da pastori e contadini lieti. Italiani ma non solo. Importante dal punto di vista artistico fu anche l’arrivo a Venezia di artisti e opere del Nord Europa, con una diversa sensibilità per il paesaggio: una natura più selvaggia e dura, a volte addirittura malinconica o iperdettagliata, come nel caso del disegno di Brüegel dell’Ambrosiana. E allora ecco concludere con l’ultimo Tiziano, in cui la materia e il mondo stesso sono fervore e movimento. L’invenzione del paesaggio, inaugurata da Giovanni Bellini e Giorgione e sviluppato in modo particolare da Tiziano può dirsi completamente conclusa, lasciando alle generazioni a venire questa straordinaria e rivoluzionaria eredità.

Tiziano e la nascita del paesaggio moderno – Palazzo Reale fino al 20 maggio – orari: 9.30-19.30; lun. 14.30-19.30; gio. e sab. 9.30-22.30 – costi: Intero € 9,00. Ridotto € 7,50

 

 

LE “GALLERIE D’ITALIA” NEL CUORE DI MILANO

Dopo il Museo del Novecento, apre a Milano, in centro che più centro non si può, un altro museo destinato a diventare una realtà importante del panorama artistico milanese. Hanno infatti debuttato in pompa magna le “Gallerie d’Italia”, museo-polo museale in piazza Scala, ospitato negli storici palazzi Anguissola e Brentani, restaurati per l’occasione. Un avvenimento cittadino, che ha avuto un’intera nottata di eventi e inaugurazioni dedicate.

Si è iniziato con “Risveglio”, videoproiezione sui palazzi di piazza Scala, a cura di Studio Azzurro, ispirate all’omonimo dipinto Risveglio (1908-23) di Giulio Aristide Sartorio (di proprietà della fondazione Cariplo), artista liberty e simbolista, esposto all’interno del museo. C’è stato poi un incontro con il filosofo Remo Bodei, con una riflessione sul bello e sul valore dei musei, per poi passare alle visite gratuite per il grande pubblico del Teatro alla Scala.

Una serata fitta d’impegni, che si è protratta fino all’una di notte, per permettere ai tanti visitatori in fila nonostante la pioggia battente, di visitare gratuitamente il nuovo museo. E in effetti valeva la pena di aspettare per vedere le tredici sezioni di questo museo che comprende, cronologicamente e per temi, tanti capolavori del nostro passato per approdare poi ai Futuristi. Un ideale partenza per visitare poi il vicino Museo del Novecento.

Un museo voluto e creato, nonostante i tempi poco propizi, da Intesa Sanpaolo e Fondazione Cariplo, da sempre attente all’arte e alla cultura, che grazie al progetto architettonico di Michele de Lucchi, ospita 197 opere dell’Ottocento italiano, in particolare lombardo, delle quali 135 appartenenti alla collezione d’arte della Fondazione Cariplo e 62 a quella di Intesa Sanpaolo. Il percorso espositivo di 2.900 mq, curato da Fernando Mazzocca, propone un itinerario alla scoperta di una Milano ottocentesca, assoluta protagonista del Romanticismo e dell’industrializzazione, ma anche di altre scuole artistiche e correnti.

Aprono il percorso i tredici bassorilievi in gesso di Antonio Canova, che già di per sé varrebbero la visita, ispirati a Omero, Virgilio e Platone; si passa poi ad Hayez e alla pittura romantica, con il suo capolavoro “I due Foscari“; largo spazio è stato dedicato a Giovanni Migliara e Giuseppe Molteni, per passare a Gerolamo Induno; alla sezione dedicata al Duomo di Milano e alle sue vedute prospettiche e quella dedicata ai Navigli. Se a palazzo Anguissola tutto era un trionfo di stucchi, specchi e puttini, l’ambientazione cambia quando si passa al contiguo palazzo Brentani, con la pittura di genere settecentesca, i macchiaioli, con Segantini e Boldini, i divisionisti, il Simbolismo di Angelo Morbelli e Previati, per arrivare all’inizio del ‘900 con quattro dipinti di Boccioni, ospitati in un ambiente altrettanto caratteristico ma più neutro e museale.

Al centro, nel cortile ottagonale, troneggia un disco scultura di Arnaldo Pomodoro. Ma non è finita qui. Al settecentesco Palazzo Anguissola e all’adiacente Palazzo Brentani, si affiancherà nella primavera del 2012 la storica sede della Banca Commerciale Italiana, che ospiterà la nuova sezione delle Gallerie e vedrà esposta una selezione di opere del Novecento.

Insomma un progetto importante che, in un momento di crisi e preoccupazione globale, vuole investire e rilanciare arte, cultura e il centro città, facendo di piazza della Scala un irrinunciabile punto di riferimento, un “salotto cittadino” adatto ai turisti, ma, si spera, non solo.

Gallerie d’Italia – piazza della Scala – entrata libera fino all’apertura della sezione novecentesca del Museo, prevista nella primavera 2012 – Orari: Da martedì a domenica dalle 9.30 alle 19.30. Giovedì dalle 9.30 alle 22.30. Lunedì chiuso

 

 

 

questa rubrica è a cura di Virginia Colombo

rubriche@arcipelagomilano.org


 



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