18 marzo 2009

S.O.S. PICCOLE E MEDIE IMPRESE


Nel nostro paese le piccole e medie imprese costituiscono più del 90% del totale degli operatori economici. Tutte sono nate con capitale proprio (cioè messo dai titolari) insufficiente e si sono sviluppate facendo massiccio ricorso al finanziamento bancario.

Negli anni in cui hanno guadagnato, i proprietari non hanno reinvestito gli utili nelle loro imprese, li hanno prelevati portandoli altrove, all’estero presso banche e istituti finanziari o trasformandoli in beni di consumo di lusso o in immobili a uso personale.

Ora le banche, avendo perduto somme enormi (di cui non confessano l’ammontare) nelle speculazioni finanziarie internazionali, hanno imposto alle piccole e medie imprese di rimborsare i loro debiti e rifiutano di finanziare nuove operazioni industriali o commerciali, anche se serie e documentate. La prima reazione dei nostri imprenditori è stata di far rientrare i soldi che tenevano all’estero. Nei mesi scorsi un notevole flusso di denaro dalla Svizzera è rientrato in Italia, specialmente in Lombardia.

A San Marino è successa la stessa cosa, con un particolare buffo (c’è sempre qualcosa di comico anche nei fatti molto seri): un certo giorno tutti i “Bancomat” sono stati chiusi perché le banche locali avevano esaurito gli euro…

Purtroppo, tutto questo denaro è stato già speso per pagare stipendi ai dipendenti, acconti ai fornitori strategici, altri debiti correnti. Ora le piccole e medie imprese, anche quelle sane, ben gestite, con prodotti validi e ordini nel cassetto, sono “alla canna del gas”.

“La metà delle piccole aziende italiane è a rischio chiusura”; non lo dico io, ma il presidente nazionale dei giovani imprenditori della Confartigianato Marco Colombo (vedi Il Sole 24 ore del 7 marzo). “Il nostro sistema economico rischia di crollare non perché alle imprese sia venuta meno la voglia di rischiare, ma per la crisi di liquidità”, dice il presidente della Confartigianato Giorgio Guerrini su Il Sole 24 ore del 7 marzo. Il vice amministratore delegato di Unicredit gli ha risposto: “Non facciamo mancare liquidità al mercato, ma non ce n’è per tutti e in una fase di questo tipo è indispensabile selezionare”.

Per dirla più chiaramente, le banche, come appunto Unicredit, che hanno bruciato somme enormi in speculazioni finanziarie internazionali sbagliate sono disposte a finanziare ancora FIAT e ALITALIA, ma negano il credito corrente alle piccole e medie imprese, che sono il tessuto connettivo del nostro sistema economico.

Nella sola Lombardia, nel mese di gennaio la percentuale dei crediti revocati dalle banche agli artigiani è aumentata del 40%, mentre le linee di credito concesse sono scese dal 50% degli importi richiesti nel 2008 al 30% di quelli richiesti nei primi 40 giorni di quest’anno.

Se le banche, tutte, non solo le popolari e quelle di credito cooperativo, che contano poco in termini finanziari, non riapriranno subito le linee normali di credito nei confronti delle piccole e medie imprese, nell’arco di poche settimane assisteremo a centinaia di chiusure e migliaia di licenziamenti.

Ma c’è di più: nelle imprese con meno di 15 dipendenti non è prevista la cassa integrazione straordinaria, che è stata invece applicata alle migliaia di dipendenti della vecchia Alitalia non riassunti dalla CAI.

Pietro Nenni diceva molti anni fa che il nostro è uno stato forte con i deboli e debole con i forti.

Mi sembra che la situazione, da allora, non sia affatto cambiata.Altro che Ponte sullo stretto!

Giuseppe Amoroso

(*) Avvocato specialista in ristrutturazioni aziendali



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