8 maggio 2012

musica


 

BRITTEN E BRUCKNER

Accostare due opere sinfoniche tanto diverse, si direbbe contrastanti, come la Sinfonia da Requiem opera 20 di Benjamin Britten alla Sinfonia numero 9 in re minore di Anton Bruckner, come ha fatto Claus Peter Flor la scorsa settimana all’Auditorium, ci è parso geniale; un confronto diretto fra due modi opposti di intendere la musica, e in particolare la sinfonia, negli anni immediatamente precedenti e seguenti la produzione dell’imponente corpo sinfonico di Mahler che siamo abituati a pensare come unico legittimo epigono del genere frequentato dai grandi compositori classici e romantici.

Intanto le opere: brevissimo il Requiem di Britten (20 minuti), lunghissima la Nona di Bruckner (60 minuti, nonostante sia limitata ai soli primi tre tempi). Musica “a programma” la prima, musica “pura” la seconda. Opera giovanile (nel 1939, quando la scrisse, Britten aveva ventisei anni e scarsissima esperienza come compositore) l’una, opera senile e conclusiva l’altra (la Nona è l’ultima, scritta nel 1889 e rimasta incompiuta, da un Bruckner già arrivato ai sessantacinque anni). Ancor più significativa la differenza fra il tempo di guerra – peggio, fra due guerre! – e di grandi tensioni politiche e sociali che fa da sfondo all’opera dell’inglese, e quello dell’«Austria Felix» che trasuda dai temi e dalle armonie della sinfonia bruckneriana. I cinquant’anni esatti che dividono le due opere sono quelli che hanno letteralmente cambiato l’Europa e il mondo.

Poi i due autori: un giovane anticonformista Britten, che in quegli anni viveva con l’amico tenore Peter Pears negli Stati Uniti (sia per godere liberamente la propria omosessualità che per stare vicino al venerato poeta W. H. Auden), e devoto uomo di chiesa Bruckner (organista e autore di tanta musica sacra) che proprio “al buon Dio” dedica la sua ultima Sinfonia. Dunque un confronto pieno di interesse e anche di intrighi, musicali e umani.

Venendo all’esecuzione e dunque all’interpretazione che Flor ha offerto delle due opere, siamo rimasti molto sorpresi, diciamolo subito, da un altro tipo di contrapposizione: da una parte la raffinatezza della lettura di Britten e dall’altra la ruvidezza con la quale ha affrontato Bruckner.

Nella Sinfonia da Requiem si sentiva, insieme alla mestizia per la recente scomparsa dei genitori, l’angoscia del compositore inglese di fronte alla guerra e alla violenza che stavano per abbattersi sull’Europa: con una direzione partecipe e fortemente concentrata, Flor ha saputo far nascere dal dramma e dall’orrore della tragedia il sentimento pudico e sereno della morte e della pace con cui si chiude la Sinfonia. Eseguendola senza pause, tutta d’un fiato, con il sostanziale apporto di inappuntabili e coinvolgenti percussioni e ottoni, questo direttore nato e cresciuto nella Germania orientale, nei luoghi in cui la musica e la guerra hanno lasciato i segni più forti – la Turingia e la Sassonia (Lipsia, Weimar, Dresda) e la Berlino ancora dietro al muro – deve aver capito profondamente il sentire di Britten e ha saputo rendercene partecipi con grande ed encomiabile empatia.

Al contrario, nella seconda parte del concerto, Flor si è come smarrito: la mano meno sicura (aveva diretto Britten senza bacchetta, l’ha ripresa in mano per dirigere Bruckner), alla ricerca di un bandolo che non è riuscito a trovare, con una orchestra conseguentemente meno disciplinata, il direttore tedesco sembrava essere idealmente distante dall’autore austriaco e come inadatto a restituircene la poetica.

La Nona è un’opera-testamento, i due temi del primo tempo sembrano contenere presagi di morte, ma ha anche momenti di ribellione, come nello Scherzo con Trio (del quale Giacomo Manzoni dice addirittura che “si libra in una danza variopinta ricca di accenti umoristici e quasi mai sardonici”) mentre nell’Adagio si apre un canto luminoso e pieno di fiducia e di serenità. Eppure di tutto ciò non vi era traccia nel fraseggio di Flor che invece era frammentario e metteva in evidenza, forzandoli, i chiaroscuri e le asperità, come per annullare il lirismo di cui la Sinfonia è intessuta. Bruckner nasce quando Schubert ha già ventisette anni (morirà solo quattro anni dopo) e Wagner appena undici (ma morirà dieci anni prima della nascita di questa Sinfonia); benché Schubert e Wagner non abbiano nulla in comune fra loro, Bruckner sembra percorrere la strada che va dall’uno all’altro, tanto che alla fine risulta essere vicino a entrambi. Ed è così che – proprio da loro – assorbe quel meraviglioso lirismo che Flor ha voluto in qualche modo negare. Chissà perché.

 

Musica per una settimana

*mercoledì 9 al Conservatorio (Società dei Concerti) il pianista Radu Lupu esegue “Preludio, Corale e Fuga” di César Franck seguiti dagli Improvvisi opera 142 (postuma) e dalla Sonata in la minore D. 845 di Schubert

*mercoledì 9 all’Auditorium, la Verdi Barocca diretta da Ruben Jais esegue di Vivaldi il Concerto per violino archi e continuo in re maggiore e il Concerto per due violini e due violoncelli in sol maggiore, seguiti dalla cantata “Ich habe genug” (Ho abbastanza) per basso solo (baritono Christian Senn)

*giovedì 10, venerdì 11 e domenica 13, all’Auditorium, l’Orchestra Verdi diretta Zhang Xian esegue la Sinfonia n. 2 in do minore di Čajkowskij e la Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore di Beethoven

*giovedì 10 e sabato 12 al Teatro Dal Verme l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali diretta da Jean Deroyer in un programma che prevede “La création du monde” e “Le boeuf sur le toit” di Milhaud, il “Concertino da camera” per sassofono (Marco Albonetti) e orchestra di Ibert e la “Petite suite” di Roussel

*venerdì 11 al Conservatorio (Serate Musicali) il violinista Gil Shaham e il pianista Akira Eguchi eseguono la Sonatina n. 2 in la minore di Schubert, la Sonata n. 3 in do maggiore di Bach, la Suite n. 3 di Dorman (prima esecuzione in Italia) la Sonata “In the country of lost things” di Milone e la Fantasia sulla Carmen di De Sarasate

*domenica 13 alle ore 11 alla Palazzina Liberty l’Orchestra da camera Milano Classica esegue la Serenata in mi minore di Elgar, il Contrafactus per flauto ed archi di Sollima, la “Saint Paul’s suite” di Holst e la “Simple Synphony” opera 4 di Britten

*domenica 13 alla Scala concerto della Sächsische Staatskapelle di Dresda diretta da Sir Colin Davis che eseguirà la Serenata notturna n. 6 K. 239, il Concerto per violino e orchestra in re maggiore K. 218 (violinista Nikolaj Znaider) e la Sinfonia in sol minore K. 550 di Mozart

*lunedì 14 alla Scala recital della soprano Edita Gruberova che, accompagnata al pianoforte da Alexander Schmalcz, canterà lieder di Franz Schubert, di Hugo Wolf e di Richard Strauss

*lunedì 14 al Conservatorio (Serate Musicali) il pianista Olli Mustonen esegue la Partita n. 5 in sol maggiore di Bach, la Sonata n. 2 in si minore di Šostakovič e i 13 Preludi opera 32 di Rachmaninov

*martedì 15 al Conservatorio (Società del Quartetto) la pianista ventenne Yuja Wang esegue un programma che mette insieme Rachmaninov, Fauré, Skrjabin, Brahms, Albeniz, Debussy e Bizet (la locandina dice che “il prodigioso talento tecnico e musicale di Yuja Wang riesce a tenere insieme elementi così diversi offrendo al pubblico un viaggio molto suggestivo attraverso territori musicali sempre nuovi e cangianti”… Mah …)

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



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