1 maggio 2012

“SPENDING REVIEW” LOCALE: AVANTI TUTTA


“Pinocchio mangia lo zucchero, ma non vuol purgarsi: però quando vede i becchini … allora si purga. Poi dice una bugia e per gastigo gli cresce il naso.” Pare che simile poco commendevole condotta colga la classe politica nostrana allorché debba affrontare il cosiddetto “spending review” ovvero la indifferibile, in tempi di crisi, razionalizzazione dei centri di spesa pubblica, centrale e periferica. Se il primo tempo dell’intervento “salva Italia” si è infatti concentrato sul versante delle entrate si attende ora di seguito un secondo tempo che intervenga con altrettanta urgenza ed efficacia sul lato della spesa. Evitando che la politica dei “due tempi” si esaurisca nella vana promessa del secondo per far meglio inghiottire il primo (invertendo la sequenza zucchero/medicina amara).

Vedi la questione delle province (abolirle? ridimensionarle? assorbirle?) che acquista attualità soltanto quando lo spread supera la soglia critica per poi ricadere nel dimenticatoio appena scatta il cessato allarme. Dare mano al ridisegno del sistema istituzionale è invece compito non rinviabile che – se va oltre gli obiettivi di un governo di emergenza e a termine – dovrebbe essere in cima alle preoccupazioni di un sistema partitico che pretenda di ricandidarsi a pieno titolo a guidare il Paese da qui a poco meno di un anno. Senza entrare nel merito, per altro ormai ritrito, dei costi della politica e della revisione della spesa a livello centrale, proviamo a riflettere, per sommi capi, su quattro temi attinenti il sistema delle autonomie regionale e sub-regionale, qui in casa nostra.

Regione Lombardia. Va bene invocare il “cambio delle sedie”. Doveroso il ricambio del personale politico (purtroppo non unilaterale: nel derby delle ultime elezioni hanno giocato di là la squadra di Formigoni e di qui quella di Penati) ma il problema è strutturale.La Regione ha tradito la sua missione originaria di entità intermedia tra lo Stato e le autonomie locali, avente compiti essenzialmente di legislazione, programmazione e alta amministrazione, capace di garantire autonomia e pluralismo nella geografia politica di un Paese unificato nel segno del centralismo. Purtroppo gli oltre quarant’anni che ci separano dalla sua istituzione hanno registrato una progressiva ipertrofia e una deleteria tendenza a un proprio centralismo, per altro complicata dalla revisione costituzionale del Titolo V del 2001 (ambiguo nella parte immediatamente applicata ovvero il rapporto Stato-Regioni e invece rigoroso nella parte non applicata riguardante Comuni Province e Città Metropolitane!). La gestione del capitolo “sanità”, in cui il livello politico è concentrato nell’Assessorato regionale, vertice piramidale di pretese “aziende” (allorché la riforma del 1978 prevedeva Unità sanitarie in capo ai Comuni singoli o associati) è la dimostrazione macroscopica di una insostenibile bulimia gestionale e degenerazione funzionale.

12 Province. In origine erano 9. Sono cresciute di numero (e rischiato di crescere ancor di più) proprio nel fuoco dell’offensiva abolizionista. Nello stesso tempo in cui pressoché tutti i leader politici (escluso Bossi che avrebbe invece abolito le Prefetture!) ne proclamavano la condanna, nuove province spuntavano come funghi. L’ultima infornata tri-partisan ne creava una senza capoluogo (Trani-Barletta-Andria), un’altra senza abitanti (Fermo) e una terza senza territorio (Monza, distante4 km. in linea d’aria dal confine di Milano mentrela Brianza resta divisa in tre). Incerte e confuse inoltre, per tutte dodici, le competenze spesso sovrapponibili a quelle comunali; mentre quelle attinenti i necessari poteri sovra-comunali (governo del territorio, mobilità, inquinamento, ambiente) pressoché vacue e inconcludenti. Qui la cura può consistere, in luogo di invocazioni all’improbabile abolizione tout-court, nel dimezzamento. Dimezzarne il numero (6 più la città metropolitana) e dimezzare le Giunte in relazione alle tre o quattro competenze essenziali sopraccitate, rese però affidabili e cogenti (per una specifica ipotesi al riguardo – prima di farselo dire dalla BCE! vedi ArcipelagoMilano del 27/7 e 14/12/2011).

1543 piccoli e medi Comuni. Resistono da quasi un secolo con poche variazioni (recente la separazione tra Baranzate e Bollate ma invece fallita la fusione tra Verderio Superiore e Verderio Inferiore: rispettivamente 2719 e 2967 abitanti!). Piccoli comuni pullulano anche in piena area metropolitana, non solo nelle valli alpine, per quanto numerose funzioni (dai servizi sociali a quelli bibliotecari) non possono evidentemente essere svolte in forma singola e richiedono organi associativi ad hoc. Nella periferia della regione si è voluto inoltre infierire sulle Comunità Montane laddove queste avrebbero rappresentato un’alternativa più razionale ed efficiente rispetto ai singoli comuni-campanile, risalenti alle pievi medioevali con confini territoriali definiti se va bene dal catasto di Maria Teresa. Riaccorpare i piccoli e piccolissimi comuni secondo un criterio di economia di scala non può più trovare – nell’era della telematica e della mobilità totale – obiezione nelle distanze e nei collegamenti. Come non hanno più senso presunte “identità” di luogo in un villaggio divenuto globale.

Comune di Milano. Al contrario rimane l’ultima “azienda fordista” attiva, con circa 16.000 dipendenti e 130 dirigenti, e un mega-bilancio pressoché ingestibile. Troppo grande per rapportarsi con i bisogni specifici dei quartieri e con l’ascolto dei cittadini, almeno sin tanto che i Consigli di Circoscrizione rimangono entità “aggiuntive”, prive di organi esecutivi dotati di poteri e mezzi analoghi ai normali Comuni. Pertanto occorrono Municipalità vere, con personale e bilancio “a somma zero” rispetto all’elefantiaca struttura centralizzata, tendenzialmente destinata sparire (insieme alla Provincia) se contemporaneamente le poche ma essenziali funzioni attinenti l’inquadramento urbanistico, la mobilità, le risorse ambientali, l’alta cultura e l’innovazione fossero concentrate nella istituenda (da 22 anni!) Città Metropolitana. Infatti sul versante delle politiche strategiche Milano è troppo piccola, necessita di ampliare il proprio raggio di visione e di azione almeno su tutta l’area centrale della regione, proseguendo la virtuosa tendenza che portò la borghesia illuminata e il socialismo riformista, a cavallo dei due secoli precedenti, a espandere la nuova città sino alla la “cinta daziaria”, coraggiosa innovazione allora congeniale alla crescita industriale e commerciale. Ma nel 2012 il confine amministrativo è ancora quello sebbene il “dazio comunale” sia stato abolito nel 1973!

Cura da cavallo? Purtroppo più la malattia viene trascurata tanto più richiede terapie energiche e organiche. Controindicazioni? Indubbiamente la medicina è amara perché riduce posti e postazioni “politiche” (e burocratiche), ma il tempo del “paese dei balocchi” è scaduto e la metamorfosi del burattino, se non si ravvede, è nota.

 

Valentino Ballabio

 

 



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