30 aprile 2012

Scrivono vari 02.05.2012


Scrive Maria Grazia Campari a Walter Marossi – Le descritte giravolte di Boeri penso interessino veramente poco i cittadini milanesi. Più interessanti le evoluzioni politiche del PD su scandali come quello di Penati che riguardano la struttura dirigente del partito. Su queste l’articolo mantiene un riserbo francamente incomprensibile.

 

Scrive Federica Guaglio a Luca Beltrami Gadola – Etichettare il tema della riqualificazione della rete dei Navigli come semplice intervento paesaggistico vuol dire non aver colto l’opportunità, oltre alla necessità, di questo intervento e l’occasione che – dopo tanto tempo e tanta fatica – si viene finalmente ad aprire con Expo e che difficilmente potrà ripetersi in futuro. Molti cittadini, comitati e associazioni (tra cui la nostra) lavorano da anni a progetti per restituire i Navigli ela Darsena di Milano alla città e ai suoi abitanti; l’idea da cui si è partiti (e a mio parere più condivisa) è proprio quella che ripensare ai Navigli e all’ambito urbanistico di riferimento può essere l’occasione per una nuova concezione del territorio e per una sua rigenerazione che orienti le trasformazioni urbane verso i temi della sostenibilità, dell’agricoltura di prossimità e di un’alimentazione di qualità con lo scopo di favorire e promuovere percorsi, connessioni e infrastrutture (come la mobilità ciclabile, pedonale e fluviale) che mettano in rete e valorizzino tutto il territorio di Milano e del sud Milanese e che siano il volano per lo sviluppo di una nuova economia (del tempo libero, del turismo locale, dello sport e altro ancora) e di una proposta culturale ed educativa nel campo della sostenibilità e dell’innovazione.

Di tutto questo si può parlare prima e a prescindere della riapertura dei canali, su cui certo si può discutere, ma non in fondo a tutte le priorità e le urgenze che la città reclama; il tema dei soldi e degli investimenti non è da sottovalutare ma la valorizzazione di un sito di pregio urbanistico, archeologico e ambientale come quello dei navigli è un tema ben più ampio del suo “banale” valore paesaggistico. (Presidente Associazione Bei Navigli)

 

Scrive Carla Maria Casanova a Luca Beltrami Gadola – Priorità nelle opere cittadine. Prima quelle di impellente necessità, poi il paesaggio, ovvio. Ma le norme (per esempio igieniche) che le USL impongono sono spesso così demenziali e di costi astronomici così totalmente inutili, da frenare qualsiasi progetto e soprattutto realizzazione. Si direbbe che leggi e norme vengano dettate da extraterrestri che non vivono la nostra realtà quotidiana. Esattamente come le incongruenze della privacy (che hanno fruttato miliardi solo a chi le ha inventate).

 

Scrive Monica Simeoni a Maria Berrini – in compenso: a) noi che non viviamo in Area C non abbiamo più spazio per parcheggiare (tutti arrivano in città con le loro belle macchine e siccome (giustamente) non vogliono pagare l’Area C, ce le lasciano tutte a noi e se poi, costretto dall’impossibilità di parcheggiare decentemente lasci la macchina dove puoi, ci pensano i vigili a bastonarti con le multe (da noi in periferia non ci danno le strisce gialle dei residenti); b) l’inquinamento da noi semmai è peggiorato (non foss’altro per quanta benzina lasciano giù tutti quanti quelli che cercano disperatamente parcheggio (e non lo trovano); c) solo per i colloqui con i professori, pagelle e pagellini di mia figlia mi sono andati più di 40 euro (ma se c fossi andata coi mezzi me ne sarebbero andai ben di più in ore di permesso. questa a casa mia si chiama l’alternativa del diavolo!); d) vogliamo parlare di chi ha la sfortuna di avere un negozio in Area C?; e) vogliamo parlare dell’assurdità di dare 90, dico 90 euro, di multa se per caso ti dimentichi di pagare il grattino entro la mezzanotte? E menomale che Pisapia è di sinistra, chissà se era un fascio come ci conciava!

 

Scrive Gianluca Bozzia a Mario Ricciardi – Il tema del finanziamento pubblico ai partiti mi pare semplice, a volerlo affrontare. Una democrazia rappresentativa ha dei costi: la collettività stipendia (esageratamente) i rappresentanti europei, nazionali e regionali, di cui copre spese di segreteria e di attività politica, e (modestamente) quelli provinciali e cittadini. La collettività può anche farsi carico delle spese rendicontate per le competizioni elettorali che le libere associazioni di cittadini chiamate partiti sostengono di volta in volta. Queste libere associazioni di cittadini che si candidano a gestire temporaneamente la res pubblica (stabilendo leggi e norme, indirizzando la spesa e gli investimenti pubblici e mediando idealità e interessi collettivi) possono anche ricevere contributi per sostenere le loro attività di ricerca, formazione e organizzazione della partecipazione e del consenso. La prima condizione necessaria e sufficiente è che i partiti dichiarino da chi ricevono i soldi, quando viene superata una certa cifra, diciamo 50 euro. Così praticamente tutti quelli che, iscritti o meno, vogliono liberamente partecipare e sostenere un partito lo farebbero tranquillamente e apertamente. La seconda condizione è che vi sia un limite ai contributi annuali di una persona o organizzazione, diciamo 500.000 euro, in modo che nessuno possa influenzare troppo un partito e che, se lo facesse, sarebbe comunque molto evidente a tutti. Possiamo anche mettere una soglia di deducibilità totale a 50.000 euro. Ma vogliamo proprio esagerare e formalizziamo il 5×1000 ai partiti in modo da dare la possibilità al cittadino contribuente e agli iscritti, di indirizzare una piccola parte delle proprie imposte a un partito. Naturalmente, non dimenticherei bilanci certificati e massima informazione possibile sulla spesa, oltre alla relazione di bilancio. Possiamo discutere sulle cifre, ma il principio mi sembra chiaro: trasparenza pubblica in cambio di sostenibilità per chi si vuole occupare della cosa pubblica.

 

Scrive Paolo Ranci Ortigosa ad Andrea Bonessa – Al di là della proposta dei Radicali, che forse non meriterebbe neanche di essere commentata se non altro per la sua sostanziale impraticabilità, alcune note all’articolo Concorsi per tutti: il fumo fa male:

1) Il progetto City Life sull’area l’ex Fiera non è il risultato di un Concorso di Progettazione o di un Concorso di Idee, ma di una gara su offerta economica in cui il progetto architettonico rappresentava solo di fatto un allegato. Con un concorso avrebbe senz’altro vinto il progetto di Renzo Piano, che rimpiangeremo tutti nei secoli futuri come una occasione mancata per la città.

2) I concorsi sono appannaggio dei grossi studi o di chi se lo può permettere perché in Italia non esistono sostanzialmente Concorsi di Idee, ma solo Concorsi di Progettazione, in cui viene richiesta in modo indebito una mole di lavoro spropositata, a fronte di premi esigui e soprattutto spesso riservati ai soli vincenti. Se al posto di progetti completi, già al livello che la legge definisce “definitivi”, venissero chieste soluzioni progettuali preliminari, limitate a poche tavole e a una relazione sintetica, forse i concorsi diventerebbero davvero uno strumento per affidare opere pubbliche a tutti i meritevoli senza privilegiare realtà professionali consolidate e dotate di mezzi economici superiori.

3) D’accordo sulla progettazione partecipata, ma dove sta scritto che la progettazione partecipata sia alternativa ai concorsi progettuali?

4) Per quale motivo la scelta di professionisti dagli elenchi per gli incarichi sotto soglia dovrebbe essere più trasparente della selezione tramite concorso? Mi sembra un’ipotesi misteriosa. L’esperienza di qualsiasi professionista che lavora nel campo della progettazione può testimoniare come gli elenchi di professionisti siano solo un contenitore da dove pescare, con criteri discrezionali in linea con le prescrizioni legislative, gli amici e gli amici degli amici.

5) I concorsi non vanno eliminati. Al contrario andrebbero moltiplicati, resi dei veri concorsi di idee, trasparenti nelle aggiudicazioni e con premi proporzionati. Solo così, con meno partecipanti per singolo concorso e con una quantità di lavoro proporzionata da produrre e poi da valutare, diminuirebbe la mole di lavoro sprecato e aumenterebbero le possibilità per i professionisti di vincere e per la collettività di avere buoni progetti.

 

Replica Andrea Bonessa – Gentile Ranci Ortigosa, citare la proposta dei Radicali era chiaramente strumentale anche se purtroppo penso che abbia delle possibilità di essere accolta o quanto meno presa in considerazione. In risposta alle sue osservazioni penso però che:

1) Il progetto di City Life rappresenta benissimo una tipologia di concorso “privato”, con alcune diversità da quello proposto dai radicali, ma con delle interessanti similitudini.

2) Il concorso di Idee, comunque complesso, non risolve certamente la qualità del progetto. Pensare che un progetto si concluda con la sola proposta di un’idea, con due o tre tavole di supporto, è un modo ancestrale di pensare l’architettura, come espressione di un singolo apporto creativo. Ammesso e non concesso che questi concorsi vengano vinti dai citatissimi “giovani”, questi non sarebbero in grado di garantire la qualità dell’opera realizzata. Non per inferiorità intellettuale o conoscenze teoriche ma per inesperienza e mancanza di mezzi nella gestione delle specializzazioni ormai necessarie a soddisfare ogni tipologia di clientela. E la qualità che chiedono i cittadini non è solo quella formale dell’Idea ma quella, ben più solida, dell’opera realizzata. Continuare a illudere i “giovani” che bastino delle buone idee per essere architetti vuol dire condannarli all’eterna precarietà della professione, e a essere economicamente dei sottoproletari senza il diritto di lamentarsi viste le molteplici occasioni messe a loro disposizione (i mitici concorsi).

3) Un concorso che preveda la progettazione partecipata diventerebbe un processo talmente energivoro di risorse e tempo che non oso neanche calcolarne la portata.

4) La pratica della scelta dei professionisti sotto soglia è premiale per il processo di formazione di una “scuola di architetti” che progressivamente progettino interventi sempre più complessi e formino sul campo la loro esperienza. Il regolamento del Comune di Milano, infatti prevede quattro fasce di qualifica, dai 25.000 ai 100.000 euro per permettere ai giovani professionisti di cimentarsi gradualmente con interventi alla loro portata. Sta all’Assessora Castellano, ma secondo me anche a Boeri e De Cesaris, far propria questa prassi e pubblicizzarla il più possibile

É una metodologia trasparente ma soprattutto democratica perché prevede una continua rotazione degli studi coinvolti, con elenchi che dovrebbero essere pubblici. É una scelta per la città perché prevede che il maggior numero di interventi siano studiati e realizzati sotto la guida di chi ha dedicato anni della propria vita per poter fare solo questo. Ed è infine un processo aperto alla partecipazione perché il committente (il Comune) potrebbe inserirne la necessità nei diversi bandi.

5) Il primo concorso che dovremmo indire e vincere è quello di sviluppare nuove idee per migliorare la qualità delle nostre città invece che continuare a cercare di far funzionare qualcosa che non ha mai dato i frutti sperati, o meglio, ha garantito le solite élite.

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti