24 aprile 2012

LA NEBBIA HA CHIESTO IL DIVORZIO


Solitamente l’impatto del forestiero con Milano tende al bicromatismo: o bianco, o nero. O la ami, o la odi. Le sfumature di grigio, infatti, aderiscono meglio ad altre realtà, magari di dimensioni ridotte e con una natura intrinsecamente meno complessa. Il capoluogo lombardo, con i suoi pregi e difetti, non si presta bene alle vie di mezzo. Per ogni detrattore c’è uno Stendhal che ne tesse le lodi. Da cosa dipende tutto questo? Chi lo sa. Per chi proviene da certe zone d’Italia, in cui i ritmi e lo stile di vita sono totalmente differenti, non è facile adattarsi in breve tempo. Gli autoctoni, al contrario, non capiscono cosa ci sia di strano nel marciare spediti o nel darsi appuntamento per cena alle 20.10.

Ciò premesso, quello che mi preme sottolineare in questa sede è la fine di un matrimonio. Non si tratta di un matrimonio normale, come i tanti che vanno in malora oggigiorno, ma della storica e indissolubile unione che ha riempito di aspettative, per secoli, i viaggiatori in direzione Milano: è ufficiale, Milano e la nebbia si sono lasciati.

La nebbia, che i milanesi d’importazione non riescono a capire, o tollerare, nemmeno dopo trent’anni, era la moglie fedele di una metropoli in piena e costante evoluzione. Milano era la nebbia, e la nebbia era Milano, inutile negarlo. La nebbia era la moglie affascinante e inquietante che ben si adattava alla natura per certi aspetti esoterica di Milano. I milanesi doc, al contrario, la amano, o per lo meno la rispettano. Tralasciando le lamentele degli automobilisti relative alla scarsa visibilità, argomenti peraltro molto poco poetici, vedere comparire dal nulla una sagoma sfuocata che fende la coltre bianca e ovattata, per poi scomparire nuovamente e ricomparire da un’altra parte, era qualcosa di familiare a cui nessuno faceva mai molto caso.

A pensarci bene, era un bello spettacolo.

Adesso però che la nebbia se n’è andata di casa, lasciandosi dietro solamente capricci, si è creato un vuoto. Non si tratta di una separazione consensuale, dovuta a un amore finito, bensì di un divorzio coi fiocchi, di quelli che fanno felici gli avvocati. La nebbia se n’è andata portandosi via tutto, o quasi, quello che Milano possedeva: dialetto, trattorie con tavolacci in legno, il taleggio che si scioglieva da solo, la fiera degli “Oh bej Oh bej” attorno a sant’Ambrogio, l’abito buono per passeggiare in galleria il sabato pomeriggio.

La nebbia se n’è andata perché Milano l’ha tradita con una ragazza più giovane. Gli aperitivi scadenti e i sushi che sorgono come funghi hanno soppiantato la tradizione culinaria. La cassoela la sanno fare solo certe nonne, i risotti buoni sono cosa per pochi, le persone sono un po’ meno orgogliose di essere milanesi, “farsi da soli” è diventata soltanto un’espressione suggestiva, figlia delle eroiche imprese dei nostri avi ricostruttori.

Sarebbe facile dare la colpa alla classe dirigente, come va di moda fare adesso, ma la realtà è che la nebbia se n’è andata perché Milano ha perso la sua natura.

Ma che cos’è Milano? Beh, siamo tutti noi, nativi e nuovi venuti. Abbiamo inseguito, e purtroppo stiamo tuttora inseguendo, il mito della modernità europea: modello londinese, modello olandese, modello austriaco. La realtà è che quando la nebbia era al suo posto, accanto alla sua metà naturale, c’era il modello milanese, e tanto bastava. Milano non è Londra, qua i milanesi ci sono ancora, e sono tanti, nonostante qualcuno sia portato a pensare il contrario. La nostra colpa, quindi la colpa di Milano, è avere permesso che la giusta integrazione e la ricerca di una realtà convulsamente internazionale (che di interessante e fascinoso ha ben poco) abbia permesso alla nebbia di andarsene, lasciando la città in mutande. Milano era moderna anche quando c’era la nebbia.

Milano dovrebbe fare una cosa: chiedere scusa in ginocchio e pregare la sua compagna di sempre di tornare a casa. Piuttosto la implori, compia un gesto d’amore, faccia una pazzia.

Se però questo non dovesse bastare, se entrambi si accorgessero che l’amore non è sufficiente, ci riprovino almeno per il bene dei loro figli.

Si può vivere con un solo genitore, ma farlo con entrambi è comunque meglio.

 

Alessandro Bongiorni

 

[contact-form-7 id=”18305″ title=”Modulo di contatto 1″]

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti