24 aprile 2012

L’ULTIMA FABBRICA DEL CINEMA


A vederla da fuori non sembra una fabbrica. Due vetrine senza sfarzo sulla strada e, di fianco, un cancello con il cartello di divieto di sosta. Un condominio in mezzo agli altri su viale Campania. Anche la scritta grigia Cinemeccanica non si nota quasi, confusa in alto sui muri sporchi di smog. Fuori non si sentono rumori assordanti e chi abita qui accanto non si accorge nemmeno che i ritmi sono quelli dell’industria. Ma dentro, ogni giorno, suona la campana che scandisce i turni. Alle otto si attacca, a mezzogiorno pausa pranzo di un’ora, alle sei del pomeriggio tutti a casa. Per esportare in tutto il mondo proiettori per il cinema. L’ultima fabbrica di Milano. «Forse c’è ancora aperto qualcosa in via Savona», dicono all’ingresso. Forse. Tra i loft e le esposizioni di design.

Entrare qui è come fare un tuffo indietro nel passato. Una fabbrica moderna, con macchinari avanzati, in una scatola vecchia di decenni. Niente capannoni, un unico grande edificio. «Nel 1920, quando fu fondata Cinemeccanica, qui c’era la campagna», racconta l’amministratore delegato Massimo Riva, che lavora qui da oltre trenta anni. «La fabbrica fu costruita su tre piani, con logiche che rispondevano all’industria di quegli anni e che ormai sono obsolete. Per noi è molto difficile lavorare oggi in queste condizioni». Sull’altro lato della strada c’è il nuovo Museo del Fumetto. Spazi recuperati e riqualificati dal vecchio stabilimento Motta chiuso ormai da trent’anni. Eppure Cinemeccanica continua a produrre proiettori.

Quella del cinema è stata un’industria profondamente conservativa per oltre un secolo. Fino al 2004 la pellicola scorreva dentro al proiettore che trasmetteva le immagini sullo schermo. Ora gli strumenti sono diversi. Per gestire quel fascio di luce che esce dalla cabina del proiezionista, non basta più una sola macchina. Sono necessari computer, server e tecnologie d’avanguardia. «È un momento di profonda trasformazione. Non dobbiamo stare solo al passo coi tempi, dobbiamo anticiparli», spiega Riva. «Per sopravvivere siamo noi i primi a dover sapere quello che succederà domani. Finanziamo la ricerca e lo sviluppo in maniera totalmente autonoma, per il sette per cento del nostro fatturato». E questa evoluzione costa cara. La messa in opera di un proiettore digitale, tra macchinario, schermo e audio, comporta rispetto al passato un investimento dieci volte superiore. Che si può sopportare solo aumentando gli incassi. «La crisi ci colpisce in maniera indiretta, perché sono i nostri clienti a esserne danneggiati per primi», continua l’ingegner Riva. E con il prodotto, anche il lavoro è cambiato. Pochi decenni fa i forgiatori arrivavano alla mattina, alimentavano la brace, aspettavano che il metallo diventasse incandescente e poi iniziavano a battere con i martelli. Il processo di produzione era completamente manuale. «Cinemeccanica dal 1920 al 2009 ha costruito solo proiettori meccanici, mentre negli ultimi tre anni ha prodotto quasi solo quelli digitali», spiega Riva. «Sono cambiate le competenze, sta cambiando lo staff. Trent’anni fa solo io e il direttore generale di allora eravamo laureati in ingegneria. Gli altri lavoratori erano tutti periti. Avevano bisogno di una sensibilità manuale che ora non serve più. Oggi assumiamo solo giovani con profonde conoscenze informatiche. Ingegneri con almeno la laurea breve».

È la storia dell’industria. Dove prima erano necessarie cinque persone per far funzionare una sola macchina, è poi bastata una persona per gestire cinque macchinari automatizzati. E ora il salto è stato ancora più grande. Chi lavora in Cinemeccanica deve saper programmare il lavoro di uno strumento che nemmeno si vede, perché troppo piccolo o lontano. Il prossimo passo sarà creare un centro operativo in grado di collegarsi con tutti i proiettori installati nel mondo e poter fare una diagnosi di eventuali guasti. Monitorare tutto è l’unico modo per supportare i clienti all’estero e migliorare i prodotti. Riva lo definisce un «taglio verticale» nella tipologia di lavoro. E il problema più grande è come riciclare l’attività umana: un problema «industriale, generazionale, economico». Finora Cinemeccanica è riuscita a pilotare il calo di personale e a riutilizzare quei lavoratori che non sono più al passo coi tempi. Molti sono andati in pensione, ad altri sono stati affidati nuovi incarichi.

Guardandosi intorno, non si vedono operai con tute sporche che infilano le mani in grandi macchine, ma giovani che battono le dita su una tastiera. Nel cuore di Milano. «Siamo una strana realtà. Abbiamo grossi problemi di tipo logistico, con l’edificio disposto su tre piani e gli accessi limitati in mezzo ai condomini. Non abbiamo spazio per far parcheggiare i tir. Finora abbiamo convissuto con questi limiti, ma vogliamo spostarci, anche se non sappiamo ancora quando». Che sia presto o tardi, pochi residenti si accorgeranno del trasloco. Niente fumo. Nessun rumore. Solo una campanella per scandire i turni.

 

Alvise Losi

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