24 aprile 2012

LA MEMORIA TRADITA DI MILANO


In tempi di dibattito sul diritto all’oblio negato dalla diffusione dell’accessibilità web, appare inevitabile che anche la memoria collettiva delle società contemporanee venga affidata in misura sempre maggiore a testimonianze immateriali. L’attualizzazione della nota metafora di Victor Hugo, secondo cui il libro avrebbe soppiantato la cattedrale nel ruolo di custode della memoria storica, determina oggi una crescente disaffezione verso i luoghi, anche quelli carichi di forti valori identitari, soprattutto in contesti urbani.

Milano vede esasperarsi questa tendenza, come dimostra il disprezzo con cui nel recente passato sono stati trattati alcuni luoghi simbolo della città. Il carattere a tratti patologico del disinteresse dimostrato dall’opinione pubblica spinge a interrogarsi su quale sia la considerazione che la città ha di se stessa e della propria storia. Se la forma fisica della città è, nelle parole di un celebre milanese, il “dato ultimo verificabile” della sua struttura e quindi delle forze che si agitano nell’animo dei suoi cittadini, dovremmo forse preoccuparci per l’imbarbarimento di cui siamo quotidianamente testimoni.

Il caso della Stecca degli Artigiani nel quartiere Isola è in questo senso esemplificativo. Dopo una brillante riabilitazione da un passato di abbandono postindustriale, fondata su associazionismo e partecipazione, la Stecca visse un repentino declino causato dall’infiltrazione di gruppi malavitosi nella sua struttura, per natura aperta e permeabile. Si generò col tempo una situazione di degrado e illegalità diffusa, cresciuta fino a livelli intollerabili, tali da fornire un pretesto per l’abbattimento e la successiva realizzazione di un imponente comparto residenziale. L’intervento, tardivo e radicale, ben illustra il clima politico-culturale in essere nello scorso decennio, quando la tragica incapacità degli amministratori sposava gli appetiti suscitati dagli indici di edificabilità, rendendo spesso ancor più inconsistente il già labile confine tra incompetenza e malaffare.

Sull’altare della speculazione è stato sacrificato anche il tratto finale di Largo Corsia dei Servi, oggi inglobato in un negozio di abbigliamento. Quello spazio aperto, un piano terra pubblico disegnato dallo studio BBPR attorno ad una scultorea doppia rampa di scale, offriva in primo luogo un esempio dell’alto livello del professionismo milanese in architettura. Eppure la sua qualità principale risiedeva nella forza aggregativa che aveva saputo esercitare su più di una generazione. Era infatti un luogo mitico per l’unica subcultura italiana con un certo riscontro internazionale, quella dei paninari, a testimonianza di un periodo storico che eleggeva Milano a città mondiale. A partire dagli anni ’90 un altro movimento, questa volta d’importazione, ne aveva fatto il proprio tempio: “il muretto” era il principale luogo di ritrovo per la comunità hip-hop della città, offrendo per altro uno dei più riusciti esempi di integrazione per i milanesi di una nuova generazione multietnica. Ma quando il puntuale inserimento di borchie metalliche sulla pavimentazione ha reso impossibile la pratica della breakdance, quel laboratorio sociale autoistituito ha cessato ogni attività, condannando uno spazio vitale al più totale abbandono, fino alla triste sorte odierna.

In molti casi gli interessi immobiliari non sono stati la sola driving force della dubbia gestione del patrimonio, come dimostra il caso del monumento a Pertini di via Croce Rossa. L’opera, già al centro di ampi e in gran parte sterili dibattiti in merito alla sua qualità e collocazione, rappresenta pur sempre un opportuno omaggio della città a un italiano emerito. Un omaggio rimpacchettato, verrebbe da dire, dato che il monumento giace transennato a causa di inesistenti lavori in corso e privo della più ordinaria manutenzione da più di un anno. Sebbene sembri ormai scongiurata l’ipotesi di sostituire l’opera con un volume edilizio di dimensioni ben maggiori, come proposto un paio d’anni fa da un gruppo di illuminati imprenditori, il monumento in memoria del presidente partigiano sembra colpito da una maledizione dovuta forse al suo essere uno spazio rigorosamente pubblico nel cuore della Milano più devota al lusso e al consumo.

A Milano la geografia dell’oblio non ha confini chiaramente definiti, abbraccia il centro come l’estrema periferia e coinvolge testimonianze di istanze storiche e culturali assai eterogenee. Benché sia chiaro che una città assume valore nella stratificazione dei segni e nelle trasformazioni, ciò non può giustificare gli abusi che si sono consumati negli ultimi anni sull’eredità culturale del recente passato, perché è proprio sulla solida base di questa eredità che la città è tenuta a costruire il proprio futuro.

 

Fabio Zinna

 

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