17 aprile 2012

NAVIGLI: LA RICREAZIONE È FINITA?


La ricreazione è finita? Temo di sì. Da qualche tempo su queste pagine si è sviluppato un ampio dibattito sul problema della riapertura dei Navigli e più in generale sul destino dei canali milanesi e lombardi. Molto se n’è discusso, molto si è progettato, anche se non credo si sia ancora giunti a confrontare le varie soluzioni proposte sia in termini di costi diretti che in termini di disagi e costi indiretti che i progetti di questo tipo generano.

Sul tema delle acque attorno a Milano è utile comunque spaccare la questione in due tronconi ben distinti anche se qualche punto di contatto ovviamente c’è. Da un lato mettiamo la regimazione delle acque che esondano e provocano danni e dall’altra quelle il cui ripristino si configura come ricupero di un paesaggio del centro urbano lentamente scomparso a partire dai primi decenni del ventesimo secolo.

Per le prime non ho alcun dubbio: sono opere che vanno fatte perché incidono negativamente sulla vita della città e sulla sua affidabilità. Per le seconde si pone, oggi più che mai, il problema della priorità di queste opere rispetto ad altre delle quali Milano e la sua collettività hanno grande bisogno e urgenza. Il patrimonio pubblico, case “popolari” – per usare un termine del quale non dobbiamo vergognarci – ma anche scuole, asili, ricoveri per anziani e via via salendo sino ad arrivare ai musei cittadini, agli spazi pubblici, all’arredo urbano e per finire la rete dei trasporti pubblici, vengono prima di un intervento il cui principale obbiettivo è di carattere paesaggistico.

Voglio parlare solo della città costruita perché se nell’elenco della spesa introduciamo anche il finanziamento ai servizi sociali o agli stimoli per la crescita economica e l’occupazione, la scala delle priorità diventa così lunga che il gradino “Navigli” scivolerebbe ancora più in basso. Pur restando nell’ambito delle sistemazioni del territorio urbano, io ritengo che si debba in primo luogo procedere al riequilibrio tra centro e periferia usando tutte le strategie possibili tra le quali vedo in primo piano la sistemazione degli spazi pubblici e del loro arredo, considerato che lo spostamento o la ricollocazione di funzioni pregiate sembra impossibile per la dura opposizione di chi attorno alle attuali funzioni pregiate ha trovato una sistemazione per lui funzionale. Ma quando lo si è fatto – spesso sulla spinta d’interessi immobiliari – è stato qualcosa di diverso dalla riqualificazione di una periferia.

L’esempio più clamoroso è la collocazione delle nuove strutture sanitarie oggi esistenti e di quelle programmate. D’un balzo si è scavalcata la periferia e si è andati in un “altrove” scomodo soprattutto per i pazienti e i loro parenti. La periferia è un terreno di difficile confronto perché richiede una capacità progettuale di ricucitura che tenga conto di moltissime variabili e di grande interdisciplinarietà.

Riannodare i fili sociali con strumenti edilizi è una delle pratiche più difficili e il pericolo è sempre dietro l’angolo: immaginare l’altrui vita sociale condizionati dalle caratteristiche della propria e liberarsi contemporaneamente dalle astrazioni culturali delle quali si è facili prede. Dunque, se anche solo per ragioni strettamente di “bilancio” – magari supportati pure da qualche riflessione sul versante costi benefici – dobbiamo mettere per qualche anno nel cassetto la riapertura dei Navigli che tanto cultura e sapere hanno mobilitato, credo che questa cultura e questo sapere non potranno tirarsi indietro rispetto al riequilibrio tra centro e periferia. Non sarà una banale ricreazione.

Luca Beltrami Gadola



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