17 aprile 2012

C’ERA UNA VOLTA LA LEGA


Luca Beltrami Gadola mi ha chiesto un ricordo della “Lega di una volta”. Lo faccio volentieri. Dico subito che il movimento che ho conosciuto all’inizio degli anni ’90 non era nemmeno un lontano parente del partito politico di cui in questi giorni leggiamo sui quotidiani. Ho conosciuto la Lega nel 1990 per merito di IDOM – Impresa Domani, una associazione tra imprenditori di diversi settori. A una riunione del consiglio direttivo a casa di Roberto Meregaglia il bravissimo e saggio Giorgio Galli aveva sollevato il problema del fenomeno Lega. A quei tempi IDOM organizzava degli incontri per i soci, e così abbiamo deciso di invitare qualcuno della Lega.

Era venuto un signore che malgrado la giacca sgargiante e la cravatta impossibile ci aveva parlato di una cosa molto seria: la necessità di cambiare le regole della finanza derivata. Dopo quell’incontro con Francesco Speroni ho cominciato a frequentare la sede di Milano della Lega in piazza Massari. Le regole erano queste: ci incontravamo una volta la settimana, il Lunedì sera. Qualche volta c’era Bossi, qualche volta c’era Formentini, ma il vero padrone di casa, il “leghista” sempre presente, si chiamava Roberto Ronchi (purtroppo è morto nel 1999). Tutti i partecipanti erano persone sostanzialmente digiune di politica che per campare lavoravano: dunque non “facevano politica” e non “vivevano di politica”. Al lunedì sera si andava in quella sede della Lega per discutere, ascoltare, imparare e proporre. E Ronchi prendeva diligentemente nota delle idee che “giravano” in quella sala.

Il documento più fotocopiato e discusso era la pagina 19 del Sole 24 Ore di domenica 9 dicembre 1990. C’erano due articoli, uno di Marco Vitale (Una Costituzione per rifare l’Italia) e uno di Valerio Zanone (Meglio riformare i partiti) che commentavano il libro “Una Costituzione per i prossimi trent’anni” di Gianfranco Miglio.

Da quelle discussioni era nato il “Decalogo di piazza Massari”. Eccolo:

1. Limitare il potere di tassazione dello Stato e degli enti locali, identificando nella Costituzione un tetto massimo alla pressione fiscale complessiva. Invertire i flussi fiscali, eliminando l’intermediazione dello Stato e statuire che le Pubbliche Amministrazioni di ogni Regione devono coprire almeno l’80% di tutte le loro spese, incluse quelle previdenziali. Solidarietà e perequazione possono coprire il rimanente 20% solo in assenza di sprechi e di significativa evasione fiscale nelle Regioni che ricevono la solidarietà dalle altre Regioni.

2. Riconoscere nella Costituzione l’impresa, e tutelarla

3. Limitare la presenza dello Stato nell’economia.

4. Regolamentare il diritto di sciopero.

5. Imporre obblighi di trasparenza e di rendiconto ai sindacati.

6. Tutelare come valore fondamentale la professionalità, l’imparzialità e l’indipendenza della pubblica amministrazione.

7. Togliere gli attuali limiti all’esercizio dei referendum.

8. Statuire con molta chiarezza che il debito pubblico potrà essere trasferito alle generazioni future solo a fronte di investimenti.

9. Passare gradualmente dall’attuale, assurdo sistema pensionistico “a ripartizione” a un più razionale e responsabile sistema “a capitalizzazione”.

10. Sancire nella Costituzione il principio dell’assoluta uguaglianza tra pubblico e privato, che devono essere considerate due sfere parimenti sovrane. Prevedere che se tra queste due sfere sorgono gravi conflitti, a decidere sia la volontà popolare, attraverso un referendum. Sancire che il cosiddetto “primato della politica” é un’idea falsa, e che una società libera e aperta é sempre dualistica: poggia cioè su una assoluta uguaglianza tra privato e pubblico.

Un altro punto di riferimento costante era la Costituzione Svizzera e la cosiddetta “formula magica”: maggioranza e opposizione assieme al governo.

All’inizio degli anni ’90 qui a Milano questi dieci punti erano la “sostanza” del movimento Lega. La “forma” era più gridata e più banale: questa, purtroppo, era (ed è!) la regola del gioco per farsi sentire e per farsi conoscere in un paese, come scrive Ostellino “culturalmente arretrato, politicamente bigotto e moralmente ambiguo la cui élite culturale è lo specchio del paese: o reticente (per incompetenza e opportunismo) o dogmatica o subalterna agli interessi organizzati“.

Con gli anni quel movimento caratterizzato da idee (o, se preferite, da utopie) di gente “che per campare lavorava” si è completamente trasformato: è entrata, sempre più numerosa, gente “che per campare faceva politica”. Oggi mi sembra che gli obiettivi del partito Lega Nord “siano nel vento”, e che di quei dieci punti in via Bellerio e dintorni non ne parli più nessuno.

Per finire, sono convinto che il partito politico Lega Nord oggi non sia (molto) peggiore degli altri partiti. Sui mercati finanziari internazionali da qualche anno Grecia è un nome in codice che significa Italia e di questo dobbiamo ringraziare in modo uguale la Lega Nord e gli altri partiti.

 

Giancarlo Pagliarini*

 

*Segretario Unione Federalista

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti