17 aprile 2012

teatro


 

KARAMAZOV

Liberamente tratto da I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij

adattamento e regia César Brie con César Brie, Mia Fabbri, Daniele Cavone Felicioni, Gabriele Ciavarra, Clelia Cicero, Manuela De Meo, Giacomo Ferraù, Vincenzo Occhionero, Pietro Traldi, Adalgisa Vavassori

scene Giancarlo Gentilucci, costumi Mia Fabbri, musiche originali Pablo Brie, luci Paolo Pollo Rodighiero, pupazzi bambini Tiziano Fario, produzione ERT Fondazione Emilia Romagna Teatro

 

César Brie arriva a Milano con uno spettacolo suggestivo e avvincente capace di portare per due ore il pubblico in uno spazio vuoto che si popola di personaggi, immagini e azioni. La scena è spoglia e gli attori non escono mai, si cambiano gli abiti (appesi a grucce che, tenute da fili che arrivano fino al soffitto, pendono come croci e delimitano lo spazio) e si scambiano i ruoli, in un vortice di movimento che, con grande forza evocativa, attraversa il romanzo di Dostoevskij.

Ogni messa in scena, naturalmente, è vista, decifrata e apprezzata in modo unico e diverso dagli altri da parte di ogni spettatore, ma in questo caso è possibile che ci siano due grossi sotto-insiemi di pubblico che hanno assistito a due spettacoli completamente diversi: il sotto-insieme di chi ha letto il romanzo e quello di chi non l’ha letto. Chi non l’ha letto potrebbe apprezzare in pieno il gran lavoro di César Brie e godersi uno spettacolo decisamente riuscito, soprattutto dal punto di vista estetico. Chi l’ha letto, invece, rischia di rimanere un po’ deluso. Perché l’aspetto più sacrificato, forse, è proprio quello che rende I fratelli Karamazov un’opera così importante e amata, e cioè il grande spessore di personaggi che, partendo da conflitti di natura emotiva, danno vita a dialoghi indimenticabili per le tematiche filosofiche che trattano e per come lo fanno. Di questi dialoghi (e dell’azione emotiva che provocano e da cui sono generati) restano solo pochi accenni, utilizzati più che altro come spunto funzionale per lanciare azioni fisiche che gli attori sono molto bravi a compiere l’uno sull’altro, ma che poco hanno a che fare, forse, con l’opera scelta come punto di partenza.

L’aver voluto mantenere quasi tutti gli avvenimenti narrati nel romanzo ha costretto a un largo utilizzo di narratori che, seppur cambiando (in modo da rendere organico il passaggio da una scena all’altra) hanno frenato in parte la fluidità della vicenda che sicuramente è troppo ampia per essere contenuta in modo soddisfacente in due ore e venti. César Brie avrebbe potuto fare come Stein con I demoni, e cioè produrre uno spettacolo di dieci ore (che però rende onore al romanzo) oppure mettere in scena l’esito del suo lavoro di studio con gli attori su i corpi e gli spazi, evitando di tirare in ballo Dostoevskij.

In questo’ultimo caso il risultato sarebbe stato senza dubbio altrettanto bello e godibile, perché lo spettacolo, anche così, è di grande valore e rappresenta un esempio riuscito di incontro fra processo laboratoriale e finalizzazione estetica. Gli attori, giovani e provenienti da esperienze formative e lavorative diverse, ma tutti molto bravi, sono riusciti a trovare un linguaggio del corpo comune e omogeneo che viene mantenuto per tutta la durata e li fa essere parte viva del tableau vivant teatrale di un maestro come César Brie.

Teatro Elfo Puccini dal 10 al 22 aprile.

 

In scena

Al Piccolo Teatro Strehler fino al 6 maggio Giulio Cesare di Shakespeare, regia di Carmelo Rifici.

Al Teatro I dal 19 al 21 aprile Physique du rôle, di Nicola Russo.

Al Crt Teatro dal 17 aprile al 6 maggio Memorie del sottosuolo, tratto dal romanzo di Dostoevskij, regia di Marco Sgrosso.

 

 

questa rubrica è a cura di Emanuele Aldrovandi

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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