3 aprile 2012

NUOVA OCCUPAZIONE. VENTURE CAPITAL IN LOMBARDIA


Per Venture Capital, si intende ogni forma di capitale di rischio, messo a disposizione da investitori professionali a supporto di imprese di recente costituzione, nelle fasi iniziali del proprio sviluppo. La nascita dell’industria del Venture Capital risale agli anni cinquanta negli Stati Uniti, in particolare a Boston, e successivamente negli anni ottanta, con l’importante sviluppo dell’Informatica, si è espansa sia sulla costa ovest del territorio americano che in altre parti del mondo dove sono progressivamente sorte le cosiddette “valli tecnologiche” popolate da aziende in fase di avvio e di investitori professionali e privati pronti a cogliere nuove opportunità di business.

Ancora oggi le più importanti concentrazioni di Venture Capitalist e Start up, a distanza di trenta anni, sono rappresentate dalla California e da Israele, gli unici stati del globo in cui la filiera della ricerca, della tecnologia, dell’industria bellica e dei capitali si sono integrate in senso verticale, complementare e sinergico, garantendo l’efficienza del sistema, nel corso dei decenni.

In Italia, il fenomeno del Venture Capital, propriamente detto, ha un origine molto più recente e si accoppia con la nascita della Net Economy alla fine degli anni ’90. In realtà, molte aziende erano nate già dagli anni ’60 grazie a imprenditori e investitori non professionali che avevano creduto nel progetto aziendale di crescita. Basti pensare a un esempio per tutti che è rappresentato da Esselunga nata su idea e con capitali italiani e americani apportati dalla famiglia Caprotti, da Rockfeller e da altri soci minori.

Con la fine ingloriosa della Net Economy, il Venture Capital in Italia ha perso la sua spinta propulsiva. A oggi si contano una decina di soggetti definiti tali, oltre a qualche incubatore, eredità del passato, di matrice prevalentemente pubblica o universitaria e ad alcuni gruppi di Angels, ovvero di investitori privati, che si sono recentemente messi a sistema per investire in aziende nascenti.

La domanda sulle ragioni che hanno portato a uno scarso sviluppo del Venture Capital in Italia, e in particolare in Lombardia, motore dell’economia nazionale, nasce spontanea. Le risposte sono molteplici e sono riconducibili a sei filoni di pensiero:

1) Il Venture Capital negli Stati Uniti e in Israele, esempi di eccellenza a livello mondiale, si è sviluppato grazie a una precisa politica industriale a livello governativo che ha investito nei decenni per dotare le aziende di capitali e competenze funzionali allo sviluppo dell’economia e dell’occupazione. In Italia, il Venture Capital è nato su iniziativa privata e solo recentemente il governo ha istituito un bando funzionale alla nascita di alcuni VCs focalizzati in prevalenza al Sud Italia, i cui frutti sono al di là da venire, anche alla luce di quanto emergerà nell’analisi dei punti successivi.

2) Il Venture Capital in Italia è nato traslando le esperienze americane e israeliane ovvero focalizzandosi sull’industria dell’High Tech e più in generale della tecnologia. In Italia, la tecnologia, a parte qualche caso isolato, da Olivetti in avanti, non è mai stata un fattore determinante e propulsivo della nostra economia quanto piuttosto terreno di conquista di player stranieri da IBM in poi. Alcune storie di successo degli ultimi anni, nel mondo del Venture Capital, come Mutui on line, Yoox e Gioco Digitale nulla hanno a che fare con la tecnologia “povera” che caratterizza le piattaforme sottostanti quanto piuttosto a fenomeni di inefficienza del mercato e della filiera di riferimento.

L’industria bellica in Italia non è trainante e in continua evoluzione come in Israele e negli Stati Uniti e la ricerca non va in quella direzione. Più recentemente, gli altri filoni su cui in VC a livello globale si è attivato sono il Biotech e il GreenTech ovvero, alla base, la ricerca medico-farmaceutica e energetica. L’Italia a livello medico farmaceutico è sicuramente più avanzata rispetto alle tecnologie ma anche in tale ambito le principali case farmaceutiche mondiali non sono di matrice italiana. Nel GreenTech qualche soddisfazione superiore l’abbiamo avuta basandosi sulla natura e sulle caratteristiche del nostro territorio, favorevole all’energia alternativa e pulita, anche se, dal punto di vista burocratico e procedurale, il nostro Paese è tra i più complessi al mondo.

3) La filiera Ricerca, Imprenditoria e Finanza non è compatta nel nostro paese come altrove. I mercati finanziari e il settore del Private Equity non hanno le dimensioni e la struttura dei paesi anglosassoni, in particolare;

4) La figura del giovane imprenditore, nel nostro paese non è sempre apprezzata. Le posizioni di rilievo a livello privato e pubblico, nel nostro Paese, non sono coperte, se non in limitata misura da giovani manager e imprenditori e spesso la gioventù fino ai quaranta anni è considerata sinonimo di competenze in formazione e soprattutto inesperienza.

5) L’investimento in fenomeni quali il Venture Capital e il Private Equity da parte di investitori privati in Italia, non è fenomeno diffuso come negli Stati Uniti e in altre parte del mondo. La cultura finanziaria è molto più limitata e i capitali si dirigono prevalentemente verso strumenti differenti come i titoli di Stato e prodotti di origine bancaria. Gli investitori istituzionali italiani e stranieri non sono interessati in modo massivo al Venture Capital all’italiana.

6) Il sistema fiscale e il Codice Civile, non aiutano sicuramente, in Italia, la nascita di nuove aziende, anche se con le semplificazioni avviate dal Governo Monti, una strada in questa direzione sembra essere iniziata.

Quali possono essere le soluzioni a un problema che se diventasse di ampia portata aiuterebbe sicuramente lo sviluppo dell’economia e l’occupazione in particolare delle risorse giovanili? Alcune risposte possono trovarsi nelle seguenti riflessioni che rispondono ai punti precedentemente elencati:

1) Il Venture Capital deve diventare uno strumento di politica industriale a livello governativo e regionale. Sicuramente la Lombardia può rappresentarsi come area di sperimentazione e di successo in tale direzione per le sue caratteristiche intrinseche e per la capacità finanziaria;

2) Il Venture Capital in Italia deve fondarsi sui settori tipici del nostro Paese. Non solo tecnologia, Biotech e GreenTech ma, forse limitando in parte i ritorni dell’investimento, deve puntare sugli asset italiani ovvero cosa noi italiani sappiamo fare. Alcune aziende di recente successo, in Italia sono state costruite in settori nettamente differenti. Basti pensare alla moda (Dolce e Gabbana per fare un esempio), all’abbigliamento (Yamamay, Geox), all’arredamento (da Cassina a Ipe Cavalli), alla ristorazione (Rosso Pomodoro, Grom), alla distribuzione (Natura Si). Il Venture Capital da noi deve puntare a 360 gradi dove gli italiani sono distintivi da generazioni nel fare industria e impresa.

3) La filiera, soprattutto finanziaria, deve cambiare, aprendosi all’esterno e ai mercati internazionali con maggior vigore e dare modo alle aziende che escono dallo start up di continuare a crescere e a svilupparsi in modo più efficiente e rapido, assicurando una maggior probabilità di uscita all’investitore iniziale.

4) La fiducia agli imprenditori giovani e meno giovani deve essere più aperta anche se la nuova classe imprenditoriale italiana deve parimenti uscire dal guscio nazionale, ragionando e operando a livello globale sin dalle prime fasi.

5) Gli investitori privati e istituzionali devo crescere culturalmente e soprattutto devono essere garantiti dal sistema. In una prima fase il pubblico deve fare la sua parte ma il privato certamente seguirà sulla base dei primi casi di successo.

6) Il sistema fiscale e regolamentare devo continuare a percorrere la strada della semplificazione e dell’agevolazione per favorire l’innestarsi di nuove aziende che saranno le realtà di domani.

Solo seguendo tali percorsi sarà forse possibile rifondare il Venture Capital in Italia e, come in altri casi di successo, farne uno dei motori dello sviluppo, della crescita e dell’occupazione del nostro Paese.

 

Andrea Bardavid

 



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