3 aprile 2012

WELFARE: CHI NE HA BISOGNO NON HA LOBBY


Non si può più rinviare una discussione politica sul futuro del nostro sistema di protezione sociale. Il modello di Stato sociale che conosciamo non è più sostenibile. È necessario ripensarlo, in una visione integrata e allargata. Oggi tale copertura è affidata solo alla tassazione: ne consegue la riduzione della protezione stessa e la conseguente divisione tra protetti e non protetti, con questi ultimi che diventano un’arma contro lo stesso stato sociale.

Soggetti politici, economici e sociali sono chiamati, perciò, a ragionare insieme sullo stato del Welfare italiano, sulle sue criticità, sulle proposte concrete e attuabili per renderlo più adeguato a bisogni collettivi sempre più acuti. Al centro dell’agenda politica deve esserci un’idea di sviluppo che veda nel Welfare una leva economica e sociale, un fattore di crescita qualitativa e quantitativa, una nuova idea di responsabilità pubblica.

Negli ultimi anni l’inadeguatezza delle risorse ha reso sempre più acuta la mancanza di una riforma, come invece è avvenuta in quasi tutti i paesi europei più simili al nostro: solo in Italia e in Grecia questa riforma non c’è stata. In Germania si cominciò a legiferare su questo argomento già negli anni ’90, con l’istituzione di un fondo e una gestione pubblico – privato. Anche nel nostro paese si parla di non autosufficienza dagli anni ’90, proposte di legge ne sono state presentate, ultimamente c’è stata anche una raccolta di firme da parte della CGIL, ma a parte qualche legge regionale non c’è un piano organico.

Praticamente, le grandi questioni sociali, come salute, vecchiaia, non autosufficienza, sono state finora soprattutto argomenti di convegni, studi, dibattiti. Oggi il dirompente bisogno di protezione dei cittadini chiede che esse entrino tra le priorità della politica per ridefinire il Welfare del nostro Paese, inteso come uno degli strumenti strategici in termini di qualità della vita, di benessere individuale e collettivo e dunque per individuare modelli adatti per realizzarlo.

Ha affermato il sottosegretario alle politiche sociali del ministero del Lavoro, Maria Cecilia Guerra “Penso che il Welfare possa essere il motore della crescita, bisogna investire in servizi che rappresentano anche posti di lavoro, ma questa non è la posizione dominante né nei partiti, né nei sindacati e neanche nelle posizioni che si confrontano all’interno del governo”. Per Guerra bisogna quindi portare avanti una vera e propria “battaglia culturale” su questi temi. Mentre lo Stato taglia la spesa, il finanziamento del nostro benessere è al centro delle preoccupazioni degli italiani per la sfida che, specie i giovani, hanno di fronte pensando a ciò che per essi saranno in futuro la salute, la vecchiaia, la dipendenza.

Ed é una sfida che deve fare i conti con l’impatto economico sulla competitività e la riduzione del debito pubblico. Occorre spezzare la spirale di impoverimento e di esclusione, ritessere la politica di rinnovamento della cittadinanza, trovare un nuovo equilibrio tra responsabilità e solidarietà, tra l’individuo e la collettività, lo Stato e il mercato. In definitiva reinventare il “contratto sociale”. A fronte del nuovo insieme di bisogni e di domande sociali è necessario ridisegnare un nuovo Welfare meno costoso e perciò più accettabile dai contribuenti, ma anche creare modelli di fornitura dei servizi più concorrenziali attraverso una pluralità di fornitori e maggiori possibilità di scelta per i cittadini, che rispondano a esigenze diverse.

In una fortemente auspicabile riforma del Welfare, qualunque sia l’opzione proposta, una possibile collaborazione pubblico – privato – volontariato è necessaria. L’alternativa è che tutto il peso sociale ricada sulla famiglia, e vien quasi da pensare che per difendere a tutti i costi un’idea di famiglia alternativa alla società la si carichi apposta di ulteriori pesi. Probabilmente il ritardo culturale è dato dal fatto che collegato alla non autosufficienza c’è anche l’argomento “tabù”, anche nel centrosinistra, del fine-vita. L’amministrazione del Comune di Milano potrebbe cominciare a creare un tavolo tra vari soggetti interessati alla gestione del problema per la creazione di una partnership pubblico – privato – volontariato, ricordandosi che di quest’ultimo esiste anche quello laico.

 

Giovanna Menicatti

 



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