27 marzo 2012

IL TRADIMENTO DELL’ARCHITETTURA DI VETRO


Nel 1914 Paul Scheerbart nel testo Glasarchitektur scriveva “Siamo rattristati dalla cultura del mattone; il vetro porta con sé una nuova epoca; la luce vuole il cristallo; il vetro colorato elimina l’odio; senza un palazzo di vetro la vita diventa un peso” (1). E il vetro nel corso dei cento anni che sono ormai trascorsi da quando i provocatori aforismi del poeta scrittore tedesco sono stati pubblicati si è certamente affermato come uno dei protagonisti, se non il protagonista indiscusso, dei processi di trasformazione che hanno cambiato il volto di molte città contemporanee. E il vetro, lo possiamo osservare quotidianamente, si sta imponendo anche nel cantiere della Milano del 2015. Ma sono forse per questo le nostre città migliori di quanto non lo fossero in passato?

Ciò che possiamo affermare è che negli ultimi decenni del percorso evolutivo che ha caratterizzato l’impiego del vetro in architettura, raramente si sono palesate interpretazioni così efficaci da consentirci di riaffermare oggi quella fiducia nella capacità dell’architettura di sollecitare e imporre, con la sua trasparenza, un radicale rinnovamento e un’affermazione dei valori collettivi e democratici, che connotava il programma culturale delle avanguardie.

Al contrario, nelle più recenti realizzazioni, siano esse parti integranti di complessi programmi di trasformazione urbana, oppure episodi occasionali situati all’interno dei tessuti consolidati o nelle degradate aree periferiche, il vetro è l’attore principale di una rappresentazione nella quale le dimensioni tecnica ed economica del costruire hanno ormai preso il sopravvento sulle implicazioni sociali e culturali dell’architettura (2).

Ma la responsabilità di questa situazione non può essere imputata esclusivamente all’aggressività e alla prevaricazione delle istanze della produzione rispetto a quelle del progetto. Oggi le tecnologie degli involucri vetrati presentano livelli prestazionali di tutto rispetto e le soluzioni tecniche non sono un a-priori imposto dall’industria, ma l’esito di un confronto dialettico tra i diversi soggetti coinvolti nel processo costruttivo. Sempre maggiore è la capacità di adattamento della tecnica alle peculiari esigenze contestuali e la disponibilità del mondo della produzione a studiare soluzioni in grado di corrispondere a problemi sempre più specifici. Pertanto, il rischio dell’omologazione del linguaggio in risposta agli imperativi della standardizzazione e dell’unificazione imposti dall’industria, oggi non costituisce certo più un problema.

Le motivazioni dell’insoddisfazione nei confronti di molte architetture di vetro contemporanee devono essere piuttosto ricercate nel sempre più profondo scollamento tra il contenitore e il contenuto, nella crescente indifferenza tra l’architettura e il contesto con il quale si confronta, nella diffusa rinuncia da parte del progetto ad affrontare con coerenza e sincerità i problemi che attendono con urgenza una risposta. E in questa direzione devono essere criticati duramente quegli esempi di architettura di vetro nei quali le ragioni dell’efficienza energetica e ambientale vengono illegittimamente richiamate per giustificare scelte di immagine che con l’efficienza energetica e ambientale hanno ben poco a che vedere.

È proprio in questi casi che si configura un duplice tradimento dell’architettura di vetro. Il primo tradimento è quello perpetrato dall’architettura di vetro nei confronti della città. In queste architetture è difficile riconoscere quei paradigmi della trasparenza, dell’onestà, del rigore, della sobrietà, dell’essenzialità, dell’apertura nei confronti del contesto che dal vetro attendevano una risposta.

Il secondo tradimento è quello che l’architettura di vetro ha subito da parte di una progettualità che in questi casi sembra più tesa all’operatività che disposta a riflettere sul senso del proprio agire e del proprio essere nella società (3). Una progettualità ormai lontana da quell’impegno civile che caratterizzava il pensare all’architettura dell’avanguardia del Novecento e che riconosceva nel vetro e nella sua trasparenza una grande opportunità.

 

Andrea Campioli

 

 

(1) Paul Scheerbart, Glasarchitektur. Verlag Der Sturm, Berlin, 1914 (tr. it, Architettura di Vetro, Adelphi, Milano, 1982.

(2) Vittorio Gregotti, L’architettura nell’epoca dell’incessante, Laterza, Roma-Bari, 2006

(3) Marco Biraghi, Parole contro il vuoto, in Marco Biraghi e Giovanni Damiani, a cura di, Le parole dell’architettura, Einaudi, Torino, 2009.

 



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