27 marzo 2012

IL ‘TURATI’ DI MAURIZIO PUNZO: PER NON DIMENTICARE


Nel 1918, subito dopo la fine della ‘grande guerra’ Filippo Turati, neutralista convinto, ma non anti-italiano, prosegue nella sua azione politica e ideale, il lavoro di una vita, per tentare di portare il socialismo italiano fuori dalle ‘secche’ del massimalismo inconcludente che ne avrebbero determinato la sconfitta.

Il proletariato avrebbe dovuto “… respingere tutte le proposte di giochi d’azzardo sedicenti rivoluzionari … per la riconquista delle libertà elementari … il rispetto <postbellico> per l’autodecisione dei popoli … e per tutte le rivendicazioni politiche, economiche, sindacali e culturali, inscritte da gran tempo nei programmi socialisti … “. <La scelta è> “… fra pace democratica sincera e definitiva, e rivoluzione universale. Il dilemma, anche pei vincitori, si riassume nell’alternativa di due nomi simbolici: Wilson o Lenin.”

Maurizio Punzo – nel suo saggio storico “L’esercizio e le riforme” (1) nel quale si riporta l’attenzione sull’opera del ‘leader’ socialista per la costruzione del socialismo riformista italiano – fa parlare Turati. Emerge la grandezza del capo politico, dell’uomo di pensiero, del lottatore contrario all’uso della violenza, ma sempre pronto a battersi per il riscatto del mondo del lavoro e per la conquista degli spazi di libertà e di democrazia che sono i nutrimenti indispensabili per la crescita del movimento socialista.

Viene seguita, passo dopo passo, l’evoluzione politica e ideale che porta Turati alla fondazione del Partito socialista nella netta separazione dall’anarchismo – che mette in rilievo la sua posizione ‘intransigente’ nei primi anni di vita del partito rispetto alle possibili alleanze con i partiti democratici considerati deboli e ambigui di fronte alle leggi repressive di Francesco Crispi e del marchese Di Rudinì – che lo vede rinchiuso nel carcere di Pallanza dopo i fatti del 1898 – che lo trova di nuovo nel 1899 alla direzione della ‘Critica Sociale’ dopo la forzata assenza.

Con la crisi di fine secolo, com’è noto, si apre un periodo favorevole per il riformismo socialista e per la stessa democrazia italiana. Turati, affiancato da Anna Kuliscioff, Claudio Treves e Leonida Bissolati (direttore dell’Avanti!) comincia a tessere il filo delle riforme stabilendo un dialogo, spesso conflittuale, con la parte più aperta dello schieramento liberale, Zanardelli e Giolitti, ottenendo risultati importanti sul piano della legislazione sociale e delle libertà. Il Partito socialista diventa un interlocutore per conquistare vantaggi concreti per il proletariato, per rendere più democratica la politica italiana, in vista, tra l’altro, del suffragio universale che potrebbe dare più peso al socialismo italiano.

L’autore ripercorre questa strada ‘turatiana’, che si sviluppa raccogliendo vittorie e sconfitte, anche attraverso compromessi positivi, a vantaggio dei lavoratori e senza mai rinunciare all’obbiettivo della costruzione della società socialista, da raggiungersi con il metodo democratico. Questa linea viene contrastata dai ‘rivoluzionari’ che progressivamente conquistano la maggioranza del partito e negano la validità del gradualismo. Turati difende la sua azione: “… E non tutte le riforme sono d’una stessa famiglia. Ve n’ha che devono essere sudata conquista dei lavoratori … con la loro vigilanza, ma ve n’ha anche – poniamo le pensioni di vecchiaia, le assicurazioni contro gli infortuni ecc. – che, comunque ottenute, sono benefizi sicuri …”.

Arriva a compimento anche il suffragio universale, malgrado i riformisti siano ormai in minoranza nel partito, ma arriva anche la guerra. Il neutralismo socialista è interpretato dai ‘rivoluzionari’ o ‘massimalisti’ (come ormai si chiamano in ossequio al programma ‘massimo’ contrapposto al programma ‘minimo’ delle riforme) in forma aggressiva e talora antinazionale anche durante la disfatta di Caporetto. Invece i riformisti, senza diventare interventisti, si schierano con la maggioranza degli italiani nel momento in cui è necessaria l’unità del Paese.

L’autore dedica diverse pagine a Milano su questo periodo, mettendo in rilievo le posizioni del sindaco Emilio Caldara del tutto corrispondenti a quelle di Turati per la difesa dei confini italiani. Nel testo sono molti i riferimenti al capoluogo lombardo, nella cui rappresentanza comunale era presente il leader socialista prima con la minoranza consigliare e poi con la maggioranza che nel 1914 portò Caldara sindaco. E vengono messi in evidenza i contrasti con i ‘rivoluzionari’ che controllavano il partito e la giunta che proprio durante la guerra, senza rinunciare al proprio programma socialista, aveva saputo attirare il consenso dei milanesi con una ampia azione di assistenza verso la popolazione, i profughi e i militari di stanza in città. Naturalmente nel libro altre pagine sono dedicate al ‘socialismo municipale’, embrione della società socialista – con l’utilizzo dei servizi pubblici, di una politica fiscale progressiva, la calmierazione dei prezzi dei generi di consumo, la difesa dei diritti dei lavoratori come strumenti di modificazione del potere a vantaggio del proletariato.

Punzo conclude con un commento al discorso di Turati, ‘Rifare l’Italia’, del 1920, ritenuto comunemente uno dei più avanzati programmi per il rinnovamento in chiave socialista e democratica del nostro Paese. Anzi alcuni hanno visto in quella impostazione, sia pure tenendo conto della differenza epocale, la politica del centro sinistra PSI, DC, PSDI, PRI dei primi anni ’60, con la nazionalizzazione dell’energia elettrica, la scuola media unica, la riforma delle pensioni, la grande redistribuzione dei redditi verso le classi lavoratrici.

Perché Turati è stato in parte dimenticato? Perché ha perso contro il fascismo? Non era il solo e si era battuto con lucidità auspicando una grande coalizione antifascista. Forse si deve a una parte rilevante della sinistra italiana (eccezion fatta per Giuseppe Saragat) se fino a Bettino Craxi nessuno aveva riconosciuto al fondatore del PSI l’importanza che aveva avuto nella storia del socialismo e nella maturazione della democrazia italiana. Una sinistra a lungo dominata dal massimalismo e dal comunismo che, quando ha cominciato, per necessità, a imboccare la strada del gradualismo e delle riforme, non ha voluto ammettere i propri errori e ha ignorato i protagonisti del riformismo.

 

Carlo Tognoli

 

(1) Maurizio Punzo, L’esercizio e le riforme, l’Ornitorinco edizioni, Milano, 2011)

 

 



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