27 marzo 2012

musica


 

DIRIGERE E SUONARE INSIEME

Capita abbastanza raramente, per fortuna, che i concerti siano così poco gradevoli da decidere di abbandonare la sala durante l’intervallo avendo perso ogni interesse ad ascoltarne la seconda parte. Lunedì 19 marzo il Conservatorio era pieno in tutti i suoi posti per un concerto che si annunciava mirabile, sia per il nome dell’interprete – il violinista Shlomo Mintz, ben noto e amato dagli abbonati alle Serate Musicali – che per il programma molto accattivante: il Concerto per violino e orchestra in re maggiore opera 61 e la Sinfonia n. 2 opera 36, anch’essa in re maggiore, di Beethoven. Musiche di grande appeal, che parlano direttamente al cuore e alla pancia degli ascoltatori, dai più raffinati ai più naïfs, i cui temi sono fra i più cantabili del catalogo beethoveniano.

Inoltre l’orchestra “Camerata Ducale” – dignitosa compagine da camera vercellese nata per lavorare sulle musiche inedite di G. B. Viotti, che avevamo già avuto modo di ascoltare – ci è parsa anche in questa occasione attenta e concentrata benché forse alle prese con un programma a lei non proprio congeniale.

Un grande violinista, una buona orchestra, un programma delizioso e … un risultato sconfortante. Tanto che molte persone – e noi fra quelle – hanno abbandonato la sala durante l’intervallo. Non ci era mai capitato di ascoltare un Concerto per violino di Beethoven così piatto, lagnoso e noioso. E se ne è subito capita la ragione: la pretesa del violinista di fare anche il direttore d’orchestra, vezzo e abitudine che sta dilagando e di cui si vedono sempre più le nefaste conseguenze.

Avevamo già osservato che dirigere e suonare insieme produce molto raramente buoni risultati e abbiamo anche cercato di indagarne i motivi: il concerto per strumento solista e orchestra nasce dalla Sonata in cui l’orchestra “accompagna” lo strumento ma si sviluppa – con Haydn e Mozart e poi lungo tutto l’ottocento – come dialogo fra due diversi soggetti (si pensi al significato dei termini “concertare”, “concertazione”). Quando il solista fa anche il direttore dell’orchestra nega il significato più profondo del Concerto, lo riporta alla vecchia Sonata, toglie all’orchestra il ruolo di coprotagonista o meglio di antagonista e lo riduce a quello molto più banale del mero accompagnamento, privando l’opera della sua stessa essenza.

Inutile dire che i musicisti che si cimentano in questo esercizio (e sono diventati tanti, da Accardo a Schiff, da Ashkenazy a Ughi e a tanti altri) si giustificano dicendosi in grado di sostenere entrambe le parti, del solista e dell’orchestra, ma si tratta di una evidente contraddizione in termini; non si può “concertare” fra sé e sé, l’appiattimento diventa inevitabile. A prescindere ovviamente dalla difficoltà di concentrarsi sul proprio strumento – che come tutti sanno è già cosa estremamente impegnativa e assorbente – e di trasmettere contemporaneamente all’orchestra l’impulso di cui ha bisogno per dialogare con il solista e per contrapporgli i propri argomenti.

Shlomo Mintz ha dato una dimostrazione plateale di questa impossibilità proponendoci un Beethoven totalmente privo di tensione, scialbo, tutto incentrato sulla parte solistica e dunque fatalmente orientato al mero virtuosismo dell’esecutore. Si intuiva perfettamente che il violinista era interessato solo alla sua parte, conosceva assai poco quella “avversa” – che peraltro tendeva a sottomettere alla sua – non dava all’orchestra ciò che essa si aspetta dal direttore, la sintesi interpretativa della scrittura musicale, l’indirizzo unitario del fraseggio, soprattutto la passione e l’emozione del “suonare insieme”: lui suonava per conto suo e all’orchestra dava solo il tempo, così come poteva, con i soli cenni del capo. E infatti l’Allegro con brio ha perso il brio ed è diventato un Allegro ma non troppo, il Larghetto si è tramutato in Adagio e persino quel meraviglioso Rondò è diventato noioso e ripetitivo. Povero Beethoven.

Ma perché un bravo musicista incorre in errori così macroscopici? Azzardiamo una spiegazione: quando si è bravi e celebri, se non si è dotati di una corazza di umiltà e di spirito autocritico, si può facilmente essere vittime del sentimento di onnipotenza e si può provare grande insofferenza nei confronti di sensibilità o approcci diversi. Dà fastidio misurarsi alla pari con altri musicisti per cercare un sentire e un linguaggio comuni con i quali tessere il dialogo. E così si preferisce fare da soli, dimenticando che la musica non è sempre e soltanto un canto solitario ma spesso – e il caso dei concerti di Beethoven è esemplare, si pensi all’Imperatore – la magìa e l’incantesimo nascono proprio dalla tensione acuta fra sentimenti opposti e dal successivo sciogliersi delle contraddizioni.

 

 

Musica per una settimana

*mercoledì 28 al Conservatorio (Società dei Concerti) la Sudwestdeutsche Philaharmonie diretta da Vassilis Christopoulos esegue l’Ouverture tragica in re minore opera 81 di Brahms, il Concerto n. 3 in do minore opera 37 per pianoforte e orchestra di Beethoven (pianista Andrea Lucchesini) e la Sinfonia n. 4 in fa minore opera 36 di Čajkovskij

*giovedì 29, venerdì 30 e domenica 1, all’Auditorium, l’Orchestra Verdi diretta da Sir Neville Marriner in un programma che inizia con la Fantasia su un tema di Tallis di Vaughan-Williams, al centro ha il Concerto n. 4 per corno e orchestra K. 495 di Mozart (cornista Radovan Vlatkovic) e si conclude con la Sinfonia n. 3 in la minore opera 56 (la Scozzese) di Mendelssohn

*giovedì 29 e sabato 31 al Teatro Dal Verme l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali diretta da Giancarlo De Lorenzo esegue la Sinfonia de “La cambiale di matrimonio” di Rossini, il Concerto per flauto e orchestra (flautista Gianpaolo Pretto) di Mozart e la Sinfonia n. 2 D. 125 di Schubert

*lunedì 2 al Conservatorio (Serate Musicali) il pianista Eduard Kunz esegue 10 Sonate di Domenico Scarlatti e brani vari di Liszt (Consolations, Un sospiro, Soirées de Vienne e Rapsodia ungherese n. 12)

*martedì 3 al Conservatorio (Società del Quartetto) il Trio di Parma prosegue l’integrale dei Trii di Dvorak con il n. 1 in si bemolle maggiore opera 21 e il n. 4 in si minore opera 90 (Dumky)

*martedì 3, mercoledì 4 e venerdì 6, all’Auditorium, l’Orchestra e il Coro della Verdi diretti rispettivamente da Ruben Jais ed Erina Gambarini eseguono la Passione secondo Giovanni per soli, coro e orchestra BWV 245 di Johann Sebastian Bach

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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