20 marzo 2012

PGT: MEGLIO MENO MA MEGLIO


All’epoca della “Milano da bere” circolava una battuta-apologo per qualche verso ancora attuale. La moglie del commenda: “Sai caro, oggi ho risparmiato cinquanta milioni”. “Brava cara, e come hai fatto?”. “La boutique mi ha offerto due pellicce per cento milioni, ma io ne ho ordinata una sola!”. Al povero neo-ricco non restava che mettere una mano al cuore e l’altra al portafoglio. Ora qualcosa di simile rischia di accadere nel Consiglio Comunale alle prese con le osservazioni sul PGT. Lo sforzo della maggioranza di tagliare e ridimensionare le previsioni ereditate, abnormi per quantità e qualità, non mette al riparo la città dal pagare un prezzo comunque troppo elevato, per quanto la ex-maggioranza ridotta a minoranza faccia mostra di stracciarsi le vesti come da copione.

Questo esito risulta per altro inevitabile davanti al macigno del documento adottato il 14 luglio 2010, non ostante nel frattempo la crisi abbia ampiamente dimostrato come la stessa “mano invisibile” si incarichi di fare tabula rasa delle potenziali velleità edificatorie, sempre più spesso ridotte a virtuali operazioni bancario/finanziarie. La cruda realtà dei rapporti di produzione e di scambio rivela che la novecentesca rivoluzione del mattone – forza trainante, insieme all’automobile, dell’intera economia per più di mezzo secolo – dopo il colpo di coda di questo infelice primo decennio ha esaurito ogni spinta propulsiva.

La più classica delle crisi di sovrapproduzione appare evidente man mano che si allarga lo sguardo verso l’ambito metropolitano, ossia il bacino reale del mercato immobiliare (e del quasi parallelo mercato del lavoro); quanto più ci si allontana dalla frenetica fabbrica della cattedrale nel deserto (Garibaldi-Repubblica) verso la vasta e desolata landa delle gru inerti e dei cantieri abbandonati, densa di inutili appelli “vendesi” e “affittasi”. La stessa dove centinaia di sindaci, apparentemente ignari delle ricadute sui loro territori e sulle loro economie delle scelte del PGT milanese, con poche lodevoli eccezioni, proseguono imperterriti a gonfiare con vane appostazioni volumetriche i rispettivi PGT, spesso in concorrenza tra di loro con l’accanimento dei polli di Renzo.

La rinuncia a ricercare coerenze nei confronti del sistema insediativo metropolitano e tra lo stesso e il sistema della mobilità, rinviato a un successivo PUM (Piano Urbano della Mobilità), non consente purtroppo di rimediare all’errore metodologico di fondo, ereditato dalla Giunta Moratti ma per altro congenito nella legislazione regionale in materia, ancora di recente aggiustata in senso de-regolatorio. Il percorso logico avrebbe dovuto procedere all’inverso: partire da un possibile Piano Interurbano della Mobilità (che per sigla fa PIM con richiamo a una fausta memoria!) e conseguentemente distribuire i pesi insediativi nonché le salvaguardie del verde residuo nell’area più ampia, con qualche speranza allora di governare congestione e inquinamento, aggredendoli alle origini – oltre la cerchia delle tangenziali – invece di essere costretti a battere in ritirata dentro l’estrema trincea dell’Area C.

Necessario dunque ma non sufficiente eliminare le più grossolane e provocatorie invenzioni del Piano Masseroli – dal tunnel Expo-Linate alle volumetrie generate (?!) dal Parco Sud – e mettere accuratamente sotto esame le numerose osservazioni. Difficilmente questo PGT, per come è stato concepito, consentirà di mutare significativamente indirizzo e pensare a una grande Milano del futuro, capace di allinearsi alle consimili realtà metropolitane europee. Si rischiano per altro potenziali incongruenze anche gravi, persino su aree strategiche ed essenziali, come efficacemente emerso dal dibattito organizzato da Italia Nostra (Urban Center, 4/2/2012) in particolare dagli interventi di Giuseppe Boatti e Jacopo Gardella.

Constatato dunque che, a discapito della proclamata volontà di rinnovamento, pesa l’impaccio di un assetto istituzionale regionale e sub-regionale anacronistico, un involucro logoro e sdrucito da illusioni “federaliste” e degenerazioni particolariste, sarebbe allora il caso di spostare l’agenda politica? Fare della città metropolitana e del parallelo decentramento nelle municipalità il fulcro delle politiche che accompagnino, da Milano, l’avvio di una più virtuosa terza Repubblica?

Impresa titanica (“la semplicità è difficile a farsi” ricordava il vecchi Brecht) ma non impossibile se finalmente nel gioco è entrata, con la vittoria elettorale di Pisapia e con tanti altri segnali di volontà di cambiamento presenti in tutto il Paese, una spinta nuova con la partecipazione spontanea di cittadini consapevoli, informati e determinati a far valere ragioni collettive e interessi diffusi ben oltre il giardino di casa propria. A Milano si sono infatti attivati una molteplicità di gruppi, comitati, associazioni attenti al destino dei quartieri e della città (una parte dei quali si riconosce nel forum www.forumcivicometropolitano.it sorto come sede di confronto e partecipazione in questa nuova fase), impegnati a fornire volontariamente – a costo zero per il bilancio Tabacci – idee ed energie utili per cercare nuovi filoni di sviluppo e promuovere un virtuoso cambiamento nell’amministrazione e nella politica cittadina e metropolitana. A cominciare proprio da un uso ponderato del territorio e dalla qualità delle istituzioni locali: minor consumo e miglior governo.

 

Valentino Ballabio

 

 



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