20 marzo 2012

BREVE STORIA DELLA RIFORMA DELLE PENSIONI


Il Governo Monti ha avuto come priorità la riforma delle pensioni, tanto che presentando il decreto “Salva Italia”, ha dichiarato: “Penso di agire rapidamente, so che ci sono modalità consolidate di rapporto con il Parlamento e le forze sociali ma queste due forze sanno che dietro di loro ci sono i cittadini e ne dovranno tenere conto”, insomma ha dovuto fare in fretta.

Vediamo una breve storia della “ristrutturazione” previdenziale nel nostro paese o del “chi tocca muore”. Il primo Governo Berlusconi cadde anche a causa della riforma delle pensioni, pesantemente osteggiata dalla Lega. La Presidenza del Consiglio Dini nacque per portare a termine quel progetto e da allora non si contano gli aggiustamenti. Ma nessun governo sia di centrodestra sia di centrosinistra è stato capace di risolvere i problemi che concorrono alla difficoltà dello stato sociale, che si riflettono nella crisi del debito sovrano che oggi colpisce tutti i paesi dell’Unione.

I sistemi di welfare sono stati messi in crisi non da scelte e non scelte politiche, ma dalla demografia. La piramide dell’età si è rovesciata, la base cioè la nuova generazione si riduce e la popolazione al di sopra dei 65 anni cresce rapidamente. Ricordiamoci che in Europa solo cento anni fa l’aspettativa di vita era di 50 anni, ora più di 80.

Ma torniamo alla riforma Dini del 1995 che segue un calendario applicativo al rallentatore nello smussare le disparità di trattamento. L’obiettivo è un equilibrio di sistema, garantito quando la pensione che si riceve è proporzionale ai contributi versati durante la vita lavorativa. Il vecchio retributivo è più generoso, perchè lega l’importo della pensione ai livelli retributivi degli ultimi anni di lavoro, mentre il contributivo è più sostenibile, perchè misura la rendita sulla base dei contributi versati.

È importante chiarire che il contributivo ipotizzato dal nuovo aggiustamento è “pro rata” perchè vale solo per il futuro e non modifica i risultati previdenziali degli anni lavorati fino al 2011. Ad esempio, chi ha iniziato a dedicarsi a un’attività nel 1975, con la riforma Dini avrebbe dovuto vedere il retributivo abbracciare l’intera vita lavorativa, con la nuova ipotesi in previsione dovrebbe fare i conti con il contributivo per gli anni dal 2012 in poi. Praticamente avrebbe questo tipo di trattamento per il 7% della propria carriera professionale.

Un capitolo interessante riguarda gli immigrati, nonostante il parere dei leghisti. I contributi versati all’INPS dai lavoratori extracomunitari sono di circa 8 miliardi di euro. Un impatto previdenziale importante, relativo a circa 3 milioni di lavoratori, che equivale al 5,6 per cento del totale. Il dato conferma l’importanza dell’occupazione straniera in Italia, che darà grandi benefici al sistema pensionistico.

Ma non è detto che in futuro abbiano la rendita: ipotizzando come dati i 65 di età e il sistema contributivo puro, perchè gli extracomunitari lavorano da pochi anni, si pensa che nel 2025 sarà pensionato uno straniero residente ogni 12,5, a fronte di una percentuale generale di un pensionato ogni 3,5, abitanti in Italia. Ciò significa che per almeno 15 anni la distanza tra le due proporzioni resterà alta e quindi il beneficio apportato dai lavoratori stranieri al sistema previdenziale italiano sarà molto positivo. Comunque, se gli immigrati aiuteranno il sistema previdenziale, le loro condizioni di vita in cambio peggioreranno, infatti recenti studi evidenziano che lo stipendio di un immigrato è circa il 33% del reddito di un italiano. Per due motivi: vengono pagati di meno e una parte del salario è in nero.

Per concludere, come sottolineato dal Presidente del Consiglio la riforma sarà l’applicazione definitiva della Dini con l’eliminazione di disparità e privilegi: quello che mi domando, era necessario aspettare quasi 20 anni, praticamente una generazione, e il default del nostro paese?

 

Massimo Cingolani



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