13 marzo 2012

MILANO E IL VII COMANDAMENTO


Sul Corriere della Sera tra venerdì e sabato scorso abbiamo letto uno scambio di opinioni tra Stefano Boeri – assessore alla cultura del Comune – e Raffaele Cattaneo assessore ai Trasporti della Regione. Per chi volesse leggersi gli interventi clicchi qui. Boeri critica il modello formigoniano e Cattaneo ribatte tirando fuori la vecchia querelle tra “statalismo” e “liberismo”. Sul modello formigoniano non posso che essere d’accordo con Boeri ma non è questo il punto.

Statalisti e liberisti si scannano da sempre su quale delle due dottrine garantisca meglio il benessere e il progresso e, spesso travolti dal loro fondamentalismo, tralasciano una semplice considerazione che va fatta: sì a statalismo non invasivo e dove non c’è vero mercato e sì a liberismo temperato da regole. Insieme dunque, sommariamente. L’aspetto che entrambi le fazioni dimenticano sempre è però quello che concerne, laici e religiosi che si sia, il settimo comandamento: non rubare.

Se il buon Dio lo ha scolpito nelle Tavole prima di darle a Mosè è segno che il problema è vecchio e serio e certo invade il campo degli statalisti come dei liberisti e nessuno dei due campi può garantire di essere meno fertile. Da quando Mosè mostrò le tavole le cose si sono molto complicate perché i modi di rubare tendono a crescere con l’evolversi di modelli organizzativi della società. Non si rubano più armenti, oro e donne ma di tutto, dai beni materiali a quelli immateriali. Farne un elenco? Sfogliare le pagine dei Codici?

Fatica inutile. Oggi ci si mette in tasca quel che è a portata di mano, dai contributi elettorali alle bustarelle, dalle tasse non pagate alle piantine appena messe a dimora nelle aiuole pubbliche. Oggi si ruba l’aria, l’acqua, il sole, il silenzio, il sapere, la voglia di vivere, la speranza e così elencando. Che dobbiamo fare? Rassegnarci certo no e nemmeno andar in giro come frati predicatori chi a minacciar l’inferno e chi, forse più disarmato ma con in mente Diderot, a tentare di risvegliare il buon selvaggio che dovrebbe essere in noi. Per almeno arginare il fenomeno una strada, anzi due, non risolutive ma a portata di mano, ci sono: la trasparenza e l’avvicendamento nelle funzioni pubbliche sia elettive che amministrative.

La trasparenza ad esempio dovrebbe essere obbligatoria per tutti coloro che direttamente o indirettamente ricevono soldi pubblici, una trasparenza che comporta un’accertata facilità di accesso ai dati. L’ultimo episodio concernente un pacco di milioni di rimborsi elettorali alla Margherita è stupefacente, non solo perché non è credibile che i vertici di quel Partito fossero tanto distratti da non accorgersi di nulla, ma perché si pone lo stesso interrogativo per tutti gli altri Partiti.

Ma cosa sono tutte queste “fondazioni” che ricorrono inesorabilmente quando saltano fuori magagne? Come sapere chi sono stati gli “utilizzatori finali” di questo torrente di denaro pubblico? A parte il fatto che si ripropone l’annoso tema del finanziamento ai Partiti che eliminato da un referendum e rientrato dalla finestra dei rimborsi elettorali. Dobbiamo fare un altro referendum per abolire anche questi?

E ci siamo limitati a considerare solo una frazione minima dell’illegalità che ruota attorno alla politica. La trasparenza non basta ci vuole sia un avvicendamento nelle cariche elettive – leggasi un limite ai mandati ma senza eccezioni – sia un avvicendamento in tutti quei ruoli amministrativi che possono essere suscettibili di tentativi di corruzione o concussione o che, per la loro staticità, generino il formarsi di “caste”.

Ci si fa un gran domandare sul come riformare i Partiti e la domanda si pone quando scoppiano gli scandali più che non quando la politica non riesce più a governare decentemente un Paese e le due cose sono legate a doppio filo. L’altro ieri a Milano, ieri a Genova i cittadini sembra abbiano imboccato con decisione la seconda strada della quale abbiamo parlato, quella dell’avvicendamento. Oggi dunque Milano potrebbe cominciare a riflettere sulla prima: un progetto di vera trasparenza. Insomma la “capitale morale” d’un tempo potrebbe riscoprire la via dell’ossequio al VII comandamento.

Luca Beltrami Gadola

 



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