13 marzo 2012

LE FONDAZIONI BANCARIE: ESCLUDERE I PARTITI DALLE BANCHE


La politica, e la sua principale articolazione, i partiti, dovrebbe avere come fine il bene comune, tuttavia la gran parte dei politici ha altresì l’obiettivo di cercare consenso per guadagnare e mantenere ruoli decisionali di peso, obiettivo ben presente nelle loro scelte. Il controllo delle banche, o il potere di influenzarne le decisioni, è uno strumento che può far guadagnare consenso poiché permette di indirizzare il credito, di cui beneficiano non solo le imprese, ma anche gli stessi Partiti.

Le Fondazioni bancarie, che detengono “per legge” significative quote azionarie di importanti istituti di credito, potendone dunque influenzare la “governance”, sono espressione di realtà territoriali, e i vertici sono determinati dalle scelte degli Enti Locali e in misura inferiore da Università, gerarchie ecclesiastiche e Camere di Commercio. I politici che scelgono chi guida le fondazioni hanno dunque tutto l’interesse a portare vantaggi alla comunità locale di riferimento della fondazione che coincide spesso con il serbatoio di voti al quale attingere. Possono perseguire questo scopo sia indirizzando le risorse che le fondazioni bancarie destinano a iniziative di carattere sociale sia premendo sui vertici della banca, della quale detengono una quota, perché il credito venga destinato ai “propri” territori o a imprese “amiche”.

Se le banche controllate dalle fondazioni bancarie operassero solo nel territorio di riferimento delle fondazioni non ci sarebbero problemi, o perlomeno questi sarebbero limitati a eventuali illegittime interferenze nella concessione di credito ad alcune imprese rispetto ad altre. Le fondazioni italiane invece controllano o collaborano a determinare la “governance” dei principali gruppi bancari italiani che agiscono su tutto il territorio nazionale, oltre che a livello internazionale, e dovrebbero dunque tener conto di opportunità che tendano ad accrescere il valore complessivo della banca e non di territori da privilegiare. Infine i territori italiani non sono tutti tutelati dalla presenza di fondazioni bancarie ma solo alcuni possono contare su fondazioni presenti nei capitali di Intesa SanPaolo, Unicredit o Monte Paschi, i tre principali istituti bancari italiani.

È normalissimo per il presidente della Fondazione Cariplo Guzzetti, intervistato da Radio Radicale, che Paolo Biasi presidente di Fondazione Cariverona – secondo azionista italiano di Unicredit – abbia affermato che “tale decisione (di partecipare all’aumento di capitale) conferma l’impegno della Fondazione a sostenere, tramite UniCredit, le economie dei territori dove essa opera (…)” (Il Sole24ore 30 dicembre 2011). Non è invece, a parere di chi scrive, accettabile che una persona indicata dalla politica di un territorio suggerisca in maniera esplicita a una banca internazionale di avere un occhio di riguardo per le imprese del “suo” territorio. Le imprese della Calabria o della Val d’Aosta hanno forse una fondazione in Unicredit che raccomanda il credito alle proprie imprese?

Non va dimenticato che una parte rilevante delle entrate delle fondazioni deriva dai dividenti delle banche partecipate, le fondazioni non possono fare a meno di queste entrate, pena ridurre le erogazioni sul territorio, e inevitabilmente tendono a premere sulle banche affinché queste, anche contro il loro interesse, emettano dividendi. In conclusione i principali azionisti delle nostre banche, le fondazioni, non gestiscono i propri soldi o quelli di risparmiatori che scelgono di affidarglieli ma soldi di cittadini che mai hanno scelto di consegnarglieli. Al contrario di un investitore privato di una banca, che si pone l’obiettivo di massimizzarne il valore, una fondazione bancaria con una forte presenza di politici di una regione definita del Paese potrebbe non fare lo stesso.

Le banche devono essere gestite secondo criteri economici e non politici. I politici si occupino di dettare le regole che pongano le condizioni perché le banche libere da condizionamenti risultino essere contendibili nella loro proprietà e in grado di perseguire la massimizzazione del proprio valore. Quando la fondazione MPS, spinta da un miliardo di euro di debito, ha deciso di mettere sul mercato il 15% di Banca Monte Paschi, la quotazione del titolo è schizzata in alto, la Borsa ha dunque accolto bene la cessione di parte della proprietà della banca e alcuni investitori privati italiani e stranieri pare che si siano fatti avanti per acquisire le quote in vendita. Certo è utile capire chi sono i principali candidati all’ingresso nel capitale azionario di banca MPS: tra questi vi è il fondo di private equity Clessidra, fondo che vede tra i sottoscrittori la stessa Fondazione MPS insieme ad altre fondazioni bancarie. Insomma la fondazione MPS in parte esce e in differente forma rientrerebbe insieme ad altre fondazioni. Se poi consideriamo che alcune delle principali fondazioni bancarie detengono quote azionarie in più istituti bancari – non solo nella banca conferitaria, quella cioè dalla quale la fondazione ha avuto in dotazione i capitali nel momento della nascita – comprendiamo come le fondazioni bancarie hanno assunto un ruolo decisivo nel capitalismo inquinato italiano.

Il capitalismo nostrano del resto è dominato da intrecci che vedono sempre gli stessi protagonisti determinare le dinamiche di un sistema dove gli “insider”, grazie al sistema di relazioni creato, si difendono dagli “outsider” ai quali è spesso precluso trovare spazio. Va ricordato che le banche, e indirettamente le fondazioni bancarie, prestano soldi a imprese delle quali detengono quote azionarie. Aldilà di un potenziale enorme conflitto d’interessi questo aspetto dimostra il peso degli istituti bancari sulle imprese.

Inoltre, alcune fondazioni bancarie sono titolari di quote azionarie di Mediobanca, che a sua volta è creditrice verso di esse, il debitore è quindi nello stesso tempo azionista. Fondazione CARIBO, detentrice del 2,5% e debitrice di Mediobanca, ha da ottobre il suo presidente addirittura nel CdA dell’Istituto che fu di Cuccia dopo aver battuto la concorrenza di Francesco Giavazzi proposto dai Fondi. È infine difficile comprendere che significato strategico possa avere, visti i fini delle fondazioni, la presenza diretta nei media, ebbene la Fondazione Cassa di Risparmio di Trieste ha il 2% del Gruppo Editoriale l’Espresso.

Le Fondazioni Bancarie sono state introdotte nel nostro ordinamento con la Legge Amato-Carli (n° 218/1990). A seguito delle riforme successive degli anni 90′, Dini e Ciampi, volte a far uscire le fondazioni delle banche, riforme dunque inefficaci, nel 2002 Tremonti quando diede vita alla riforma che ha dato le fondazioni in mano ai partiti tramite gli enti locali rispose, a chi gli chiese se la politica rientrava dalla finestra: “non la politica ma la democrazia (…)”, “le Fondazioni si mettono a fare il loro mestiere. Ma con un controllo democratico“. Su questo punto è interessante notare come in molti statuti delle fondazioni approvati dal ministero di Tremonti si afferma che i membri indicati dagli enti locali non rappresentano gli enti e, di conseguenza, i cittadini che gli hanno letti, smentendo clamorosamente il ministro. Lo statuto della fondazione MPS riporta che “I membri della Deputazione Generale non rappresentano gli Enti dai quali sono stati nominati, né rispondono a essi del loro operato“. Tremonti nel 2002 conclude che “(…) la confusione tra mercato e non profit non ci sarà più (…)” e aggiunge “Primo passo: Le Fondazioni fuori dalle banche, che vanno sul mercato“. Sono passati dieci anni.

È dunque urgente che si arrivi alla completa uscita dall’azionariato delle banche e da qualunque impresa delle fondazioni che se proprio vorranno continuare a investire in questo ambito potranno sempre, come suggerito da Tito Boeri, acquisire azioni “risparmio” che non prevedono il diritto di voto. In questa direzione, ma da intendere solo come primo passo verso l’obiettivo appena menzionato, va condivisa la proposta volta a impedire alle fondazioni di detenere azioni di banche diverse da quella conferitaria. Nessuno dovrà ricoprire ruoli in società tra loro concorrenti, banche comprese. Separiamo economia e partiti, restituiamo alla politica il ruolo nobile che la partitocrazia le ha scippato.

Si tratta di una battaglia vitale per la nostra economia e per la tenuta sociale del capitalismo italiano: rimuovere il conflitto d’interessi tra l’esercizio dell’attività economica e finanziaria e coloro che sono chiamati dai cittadini a svolgere un ruolo politico di guida e di governo del paese. Solo così potranno porsi quelle condizioni necessarie per un ripristino di competitività della nostra economia, per la necessaria apertura del nostro sistema finanziario e, soprattutto, per una democrazia liberata dal soffocante intreccio tra le oligarchie economiche e politiche.

 

Valerio Federico

 

N.B.

Le fondazioni di origine bancaria, comunemente dette fondazioni bancarie, sono enti privati, considerando la loro forma giuridica, ma di fatto a controllo pubblico.

Le fondazioni sostengono in ambito locale realtà del terzo settore (no profit). Gli ambiti d’intervento sono vari: cultura, arte, ricerca, istruzione, welfare, assistenza al disagio sociale, sanità, sport.

La loro attività è resa possibile dal possesso di un capitale (loro attribuito con la privatizzazione delle banche pubbliche) che genera delle rendite. Le risorse a disposizione delle fondazioni sono dunque costituite essenzialmente da interessi derivanti da operazioni finanziarie e dai dividendi delle banche partecipate.

I componenti dei board decisionali sono in grandissima parte designati dagli enti locali, regioni, provincie e comuni, dalle gerarchie religiose, dalle camere di commercio e dalle università.

Le fondazioni bancarie sono attualmente 88.

A titolo di esempio:

Fondazione Cariplo – detiene il 4,68% delle azioni di Intesa SanPaolo, dispone di un patrimonio di circa 7 miliardi di euro e distribuisce ogni anno circa 200 milioni di euro.

Compagnia di SanPaolo – al 31 dicembre 2008 il valore del portafoglio ammontava a 6,2 miliardi di euro.

Fondazione Cariverona ha un patrimonio netto di 4,268 miliardi di Euro e distribuisce dai 100 ai 150 milioni di Euro all’anno, spende quasi 4 milioni all’anno per compensi e rimborsi agli organi statutari e ai consulenti e 4 milioni e mezzo per il personale.



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