13 marzo 2012

MILANO: IL FANTASMA DELLA PARTECIPAZIONE


Da tempo si aggira per Milano una signora molto chic e sempre più inquieta. Non si dà ragione: desideratissima quando non c’è, appena compare quasi tutti la scansano e i più ritrosi sono proprio gli adoratori più intemperanti. Le sembra di essere trasparente, da tanti neppure un cenno, quasi si è convinta di essere un fantasma, un’apparizione non necessariamente spaventosa, ma semplicemente evanescente, inconsistente, priva di una qualche relazione con la vita reale. Qualcuno che la sa lunga sussurra che è il Fantasma della Partecipazione.

Fuor di scherzo, si può parlare seriamente della partecipazione, non come afflato emotivo della campagna elettorale, ma nella sua esistenza concreta, nella prassi dell’amministrazione e della politica? Uno spot fortunato di tanti anni fa diceva che la “fiducia è una cosa seria che si dà alle cose serie”: l’inizio della crisi della fiducia cittadina, quasi un’incrinatura, è il sintomo che quella visione partecipativa non era una cosa seria?

Intanto, un punto va fissato per bene e cioè che in politica il gioco del potere è a somma zero: se i cittadini hanno più potere (la partecipazione) qualcun altro (l’amministrazione e i partiti) ne avrà meno. Ergo, un conto è sollecitare, come benzina elettorale, la partecipazione emotiva dei comitati e altra cosa è condividere con l’intera comunità cittadina, il suo frutto esclusivo: il potere come capacità di disporre delle cose e degli interessi.

Messa sotto pressione da una situazione delicatissima, la giunta Pisapia si è trovata subito in affanno costretta ad assumere decisioni anche impopolari in tempi rapidissimi, e va bene. Ma basta a spiegare la piega che ormai si dipana sotto gli occhi di chi vuol vedere? Sì e no. O meglio sempre meno, man mano che il tempo passa e l’emergenza diviene sempre più il fondale su cui si legittima una prassi che non sembra tenere fede alle promesse, o forse alle illusioni. Ci si attendeva un metodo democratico innovativo, la traduzione in atto della promessa partecipativa, la definizione delle modalità attraverso cui la cittadinanza compartecipa al processo politico, al dibattito e alle decisioni.

La questione è tanto più rilevante se si pensa che Pisapia si dichiarava sostanzialmente al di fuori del tradizionale canale della rappresentanza partitica, ambito dove la delega, la relazione tra cittadino delegante e politico delegato è connaturata, e che trova nel doppio binario della vita di partito e delle istituzioni cittadine il suo modus operandi. Ma che si fa quando, ed è il nostro caso, tra cittadino e sindaco questa relazione non si struttura in queste forme?

Se, come è stato detto più volte, il metodo Pisapia intende andare oltre la rappresentanza partitica per puntare sulla partecipazione diretta del cittadino, ci dovremmo chiedere a che punto siamo oggi e con tanta urgenza quanto più è grave la crisi della modalità tradizionale di rappresentanza su base partitica, che pure coesiste, e diremmo per fortuna.

Non vorremmo insomma dover concludere che in buona sostanza il metodo Pisapia è il metodo dell’ascolto, quel circuito acustico paternalistico in forza del quale il dominus porge sì l’orecchio al popolo, ma non è limitato alla sua decisione se non dalla sua personale cifra etico politica. E neppure si può prendere troppo sul serio la latente autopromozione di alcuni Comitati per Pisapia come organi politici paralleli concorrenti con i Consigli di Zona, una soi disant nuova democrazia diretta contro la vecchia democrazia rappresentativa. Il cortocircuito telefonico Comitato – Limonta – Assessore nel mirino è democraticamente opaco e quanto di meno vicino possibile alla trasparente etica partecipativa.

Eppure non mancano né le riflessioni, né le sperimentazioni di riferimento né le energie per avviare, magari anche solo su terreni pilota a basso rischio politico, innovazioni per l’effettivo coinvolgimento del cittadino nella prassi politico amministrativa. Referendum zonali su questioni decisamente locali (il verde, le iniziative culturali..), come prevede lo stesso Statuto del Comune di Milano o più ardite ipotesi di public company, avanzate su ArcipelagoMilano (Sandro e Piervito Antoniazzi): il terreno sembra fertile, ma l’iniziativa latita.

Certo ora è arrivata la delibera dell’Assessora Benelli, che, ci si dice, definisce un quadro più avanzato dei poteri affidati alle zone, ma a ben vedere tuttora assai limitati, per l’effettivo contenuto, la logica di fondo che li ispira, e l’assenza di meccanismi di partecipazione che ne dovrebbero essere anche solo parziale fondamento. Coscienti della limitatezza del topolino partorito dopo quasi un anno di lavoro, si rimanda a un percorso di cui la delibera sarebbe solo il primo passo, e si sottolinea la stretta relazione tra “poteri delle zone” e mai troppo attesa città metropolitana. La situazione è effettivamente molto complessa, ma a ben vedere la sensazione di un limite di approccio sostanziale non è fuori luogo.

Intanto, parlare di “decentramento” di poteri si configura tuttora come un processo di trasferimento dell’esercizio di una potestà che ideologicamente resta ben salda in capo alla rappresentanza politica cittadina, e al suo Principe. In secondo luogo, non si comprende bene per quale motivo un’innovazione partecipativa debba attendere per forza di cose la sistemazione finale della partita metropolitana per muovere i primi passi, anzi. Siamo davvero lontani da una concezione autenticamente partecipativa che riconosce nel cittadino il dominus primario, e gli riassegna l’esercizio in prima persona del proprio originario diritto politico, fin che può e finché è possibile.

Dunque la situazione è di stallo sostanziale, e la cosa non sembra incidere per ora più che tanto, visto il prestigio tuttora riconosciuto a chi ha battuto Berlusconi: è però legittimo accontentarsi della bonaccia? O non è proprio della politica anticipare i tempi della possibile disillusione e riaggiornare le promesse partecipative con una coraggiosa strumentazione innovativa?

In tutto questo il PD, che ha pur sempre inventato le primarie all’italiana, avrebbe un grande spazio e in diverse direzioni. E se le consultazioni sull’AREA C sono state coraggiose e utili, ma pur sempre giocate dentro il modello prevalente dell’ascolto, in realtà, e per motivazioni diverse da quelle che rimandano al colore arancione, il PD corre il rischio di finire come l’asino di Buridano: sopraffatto dall’abbondanza delle opzioni, delle posizioni, degli interessi, alla fine magari decide di non mangiare, lasciando a dieta con lui anche i cittadini che hanno preso sul serio le parole d’ordine elettorali.

Infine, accorato appello a chi può: invitate a casa vostra la signora chic che avevate tanto arditamente corteggiato nelle “radiose giornate di maggio”, chissà mai che ne venga fuori una bella storia con una persona in carne e ossa. Bene accetti anche finger food nei salotti buoni e partecipativi della zona 1.

 

Giuseppe Ucciero

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti