5 marzo 2009

EXPO: CO2 E ALTRE PROMESSE AL VENTO


Il “dossier” Expo è un lungo documento formalmente elegante, scritto in toni “aulici”, ma anche assai vago, sia per quanto riguarda i temi specifici dell’iniziativa (nutrire il pianeta – energia per la vita), sia per le previsioni di visitatori, costi ed investimenti.

Consideriamo ad esempio il capitolo 16, dedicato a “politiche e programmi per il clima”. Si dice che Milano è impegnata ad elaborare, attuare e gestire (in accordo con i paesi ospiti!) “Clean Development Mechanisms” (CDM) e “Joint Implementations”  (JL), come previsto dal protocollo di Kyoto. Il testo nulla dice sui possibili contenuti di questi CDM e JL nè su quale ente dovrebbe elaborarli. Dove sono le competenze? Milano ha davvero i numeri ed il prestigio per presentarsi al mondo come un innovatore nel campo del controllo delle emissioni nocive?

A questo proposito, impressiona leggere sul Corriere della Sera (24 febbraio) un articolo dal titolo “Milano capitale europea dello smog – E’ la prima città a superare i limiti imposti dalla UE per il Pm10”. Se questa è la situazione, lascia perplessi pensare che proprio da Milano possano partire iniziative d’avanguardia nello sviluppo di tecnologie per ridurre le emissioni, da esportare anche nei paesi in via di sviluppo. Non rischiamo di attirarci l’ironia della stampa internazionale, ora o in prossimità dell’Expo?

Il “dossier” menziona iniziative milanesi che dovrebbe inserirsi ed aggiungersi ad “una serie organica di azioni intese a ridurre le emissioni di gas effetto serra”: ancora un linguaggio altisonante senza alcuna indicazione a cosa di specifico si riferisca.

L’unico impegno concreto che viene indicato è quello di ridurre le emissioni di CO2 nell’area milanese del 15% nel 2012 e del 20% nel 2020, rispetto al 2000. Le emissioni di gas con effetto serra dovrebbero cioè ridursi dall’equivalente di 6.330 tons di CO2 nel 2000 a 5.380 nel 2012 e 5.060 nel 2015. Programma magnifico, ma come verrà realizzato?

Le fonti principali di CO2 sono per il 55% usi domestici, 29% trasporti, 8% industria. Data la “cementificazione” in corso (Citylife, Varesine, Santa Giulia etc.) ed il progetto dell’assessore Masseroli di incrementare l’indice di edificabilità per accrescere la popolazione residente, risulta assai difficile immaginare che si riesca a ridurre di molto le emissioni da usi abitativi, di gran lunga la principale fonte di inquinamento. Secondo il “dossier” la riduzione delle emissioni da abitazioni verrebbe ottenuta “attraverso la promozione di un uso più razionale dell’energia da parte del pubblico” (lasciando al lettore immaginare come ciò possa avvenire) ed il “redevelopment” delle abitazioni esistenti (tanto per restare nel vago).

Si dice che l’ampliamento del metrò dovrebbe ridurre dell’8% le emissioni entro il 2015: ma si può davvero pensare che migliori trasporti pubblici portino di per sé ad una riduzione sensibile del traffico automobilistico in città, mentre si pianifica un sensibile incremento della densità abitativa?

Non manca neanche, nel “dossier”, il riferimento di maniera alle energie rinnovabili ed alternative che dovremmo istallare negli edifici pubblici e nelle società controllate dal comune (immagino un impiantino eolico su qualche tetto, e voila!).

La drammatica situazione di Milano e della Lombardia richiederebbe già da tempo l’elaborazione di un serio ed articolato programma di contenimento delle emissioni; questo sarebbe anche il modo migliore per rispondere all’impegno, sia pure tanto generico, espresso nel documento dell’Expo. Non pare però che questo tema sia minimamente entrato negli argomenti di cui stanno interessandosi sinora gli organizzatori dell’iniziativa.

“L’EXPO sarà un grandissimo evento anticrisi, una leva per lo sviluppo dell’intero sistema Paese con ricadute positive su tutto il  territorio nazionale che la Camera di Commercio ha stimato in 44 miliardi di euro e 70.000 nuovi posti di lavoro”. Parola di Letizia Moratti..

Questi grandi eventi (da “Italia ’61” al Giubileo alle Olimpiadi invernali), e non solo in Italia, sono sempre stati un’occasione per generose elargizioni di fondi pubblici nei territori interessati, anche ben al di là delle necessità specifiche dell’evento. A consuntivo, i bilanci si rivelano quasi sempre largamente passivi, come nel caso delle Olimpiadi di Torino, ma almeno restano alcune infrastrutture nel territorio che altrimenti lo Stato non avrebbe finanziato. Sarà così anche per l’EXPO 2015?

Il Ministro Tremonti, coi tempi che corrono, non sembra (comprensibilmente) per nulla disposto ad allargare più di tanto la cassa per finanziare le opere connesse (metropolitane, ferrovie, autostrade). Lo stesso sottosegretario Castelli ha chiaramente detto che non ci sarà alcuna corsia preferenziale per le infrastrutture connesse, i cui fondi dovranno essere reperiti nell’ambito delle risorse previste a livello nazionale per le grandi opere. I tempi e le incertezze che hanno sempre caratterizzato la ripartizione di questi fondi, per la molteplicità di appetiti e pressioni in gioco, non possono che indurre scetticismo sulla futura disponibilità dei finanziamenti per realizzare le opere previste, nei tempi previsti.

Ancor più grave è l’incertezza che riguarda la disponibilità dei 3,2 miliardi (di euro) per investimenti destinati ad infrastrutture essenziali relative proprio al luogo dell’EXPO, previste dal dossier di candidatura. Questi dovrebbero essere finanziati per 1,5 miliardi dallo Stato, 850 milioni dagli enti locali e 890 da capitali privati. Ma la stessa Corte dei Conti (nella sua ultima relazione sulle leggi di spesa) avverte che v’è molta incertezza sulla effettiva disponibilità di questi fondi.

La quota statale è prevista dall’art. 14 del dl 112/2008, ma per il triennio 2009-2011 sono stanziati solo 134 milioni: il grosso della spesa è rimandato al 2013-2014, e la ricerca delle coperture è quindi, in  realtà, rinviata al futuro; quale sarà allora la situazione della nostra finanza pubblica?

Sugli esborsi previsti dagli enti locali pesa l’incertezza sulle compatibilità con il patto interno di stabilità: è di questi giorni l’allarme suscitato dal divieto di usare per investimenti i proventi da alienazioni di cespiti e dividendi straordinari, per i prossimi tre anni. Quanto ai capitali privati, la Corte dei Conti osserva: “non sono espressamente indicati modalità e tempi di tale intervento né risulta chiarito come si intendano sopperire le relative risorse in caso di mancato coinvolgimento dei capitali privati per i quali non v’è nemmeno la previsione obbligatoria della garanzia fidejussoria”.

Anche la “redditività” dell’iniziativa, fin dall’inizio basata sull’assai ottimistica previsione di 29 milioni di visitatori, mentre le ultime edizioni in Europa non hanno superato i 20 milioni (17 milioni ad Hannover), è quanto mai incerta, date le fosche prospettive che incombono sull’economia mondiale. Chi si farà carico degli eventuali disavanzi?

Milano e l’Italia si sono gettati in un’avventura di prestigio ma occorre riconoscere che l’inaspettato sopraggiungere della crisi finanziaria e della recessione che coinvolge tutto il mondo rende molto più difficile ed incerto sia il finanziamento dell’iniziativa che il suo successo “commerciale”. Se peggiorasse la situazione del nostro debito pubblico, che incombe come una “spada di damocle”, difficilmente l’Expo potrebbe sfuggire a drastici tagli della spesa pubblica.

Sarebbe forse il caso di ripensare seriamente all’opportunità di questa Expo. La Francia non ritenne di mettere in gioco il suo prestigio quando decise, due anni prima dell’evento, di rinunciare all’Expo 2004 di Dugny. C’è ancora del tempo (poco) per verifiche e ricognizioni a tutto campo.

In ogni caso, sarebbe prudente ridurre di molto le aspettative di visitatori (pensiamo davvero che il tema della fame del mondo susciterà tanto entusiasmo da far accorrere masse di visitatori a Milano, con la crisi che c’è oggi?) e quindi ridurre anche le strutture e relative spese, ed al contempo iniziare a lavorare, con serietà e modestia, sui contenuti dei temi dell’Expo. Incontri e comunicati stampa possono servire (nell’immediato) alla popolarità del politico di turno, ma è un castello di carta destinato ad afflosciarsi miseramente, se non si elaborano veri contenuti.

Giorgio Ragazzi



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