6 marzo 2012

arte


 

CAPOLAVORI “IMPOSSIBILI” IN ALTA DEFINIZIONE

Botticelli, Leonardo e Raffaello insieme a Milano, fianco a fianco in un’esposizione dove è possibile osservare i loro capolavori da vicino, vicinissimo, e (quasi) toccarli. Impossibile? Di impossibile c’è solo il nome dell’iniziativa, “Visioni impossibili”, un progetto visitabile fino all’11 marzo presso il Museo della Scienza e della Tecnologia. Ospitata presso la Sala delle Colonne, questa rivoluzionaria mostra permette di vedere da vicino e in modo dettagliato, riproduzioni di alcuni tra i capolavori più grandi di tutti i tempi: la “Primavera”, la “Nascita di Venere” e la “Madonna del Magnificat” di Botticelli, la “Annunciazione”, il “Battesimo di Cristo” e il “Musico” di Leonardo, lo “Sposalizio della Vergine” di Raffaello e il “Ritratto di Eleonora da Toledo” di Agnolo Bronzino.

Una nuova modalità di vedere e studiare le opere d’arte sviluppata da Haltadefinizione, che attraverso la digitalizzazione e la ricomposizione di centinaia di singoli scatti fotografici in una unica immagine arriva a creare un nuovo formato, mai prima così nitido e dettagliato, per la visione dei dipinti.

Per la “Primavera” di Botticelli, ad esempio, sono stati riuniti insieme 1519 fotogrammi di altrettante porzioni del quadro, con una risoluzione totale di 28 miliardi di pixel, permettendo cosi di vedere dettagli con dimensioni fino a 15 millesimi di millimetro. Completano l’intervento di clonazione la particolare tecnica di stampa a pigmenti su carte speciali e l’intervento manuale di artigiani per l’applicazione delle dorature presenti nell’opera originale.

Si tratta di tecnologie esclusive, create da Haltadefinizione e collaudate dall’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro di Roma, i cui accorgimenti preservano l’opera durante tutte le fasi della lavorazione. Procedimenti già sperimentati e adottati da numerosi musei italiani, fra cui la Pinacoteca di Brera, la Pinacoteca Ambrosiana e gli Uffizi, e che è stato utilizzato anche per studiare cicli e lavori più complessi come il Cenacolo vinciano, gli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova e la Sacra Sindone di Torino.

Una galleria di riproduzioni in cui il visitatore potrà avvicinarsi alle immagini e vedere nel dettaglio, senza l’incubo di allarmi, vetri o protezioni, capolavori senza tempo, a dimensioni reali, assaporandone ogni centimetro. Un percorso suggestivo e interattivo grazie ai supporti a disposizione del pubblico, che attraverso video HD e strumenti multimediali sveleranno ancor più nel profondo segreti e dettagli altrimenti invisibili, delle opere esposte. I visitatori potranno così viaggiare all’interno dell’Ultima Cena di Leonardo, proiettata in HD su maxischermo multitouch ed effettuare, grazie a dei tablet, una visita guidata del dipinto, zoomando e cercando dettagli e preziosismi.

Postazioni touch screen permettono poi di addentrarsi nelle storie francescane affrescate da Giotto nella Basilica Superiore di Assisi e di vedere un video sul Musico di Leonardo nelle effettive dimensioni del quadro. Ma c’è ancora posto per le emozioni che l’artista ha provato e ci ha voluto trasmettere con il suo lavoro, dopo uno studio così “viscerale” dell’opera d’arte? Per quello rimandiamo agli originali, insostituibili. Per il resto, questi straordinari strumenti tecnologici permettono di studiare, capire e fare grande divulgazione, perché no, delle tecniche e dei gesti pittorici che Leonardo, Raffaello e altri grandi hanno lasciato dietro di sé.

Visioni impossibili. Botticelli, Leonardo e Raffaello – fino all’11 marzo – Museo della Scienza e della Tecnologia – costi: la visita alla mostra è incluso nel biglietto del museo. intero 10,00 euro. ridotto 7,00 euro – orari: da martedì a venerdì 9,30/17. Sabato e domenica 9,30/18,30

 

 

FILM D’AUTORE AL MUSEO DIOCESANO

L’Associazione Culturale Silvia Dell’Orso propone un’interessante iniziativa all’interno del Museo Diocesano di Milano, una rassegna cinematografica di film e documentari d’arte. “Visioni d’arte”, questo il titolo della manifestazione, ha come scopo diffondere e mostrare come l’arte sia spesso protagonista del racconto cinematografico e come questo mezzo di comunicazione così potente sia ottimale per la diffusione, anche presso il grande pubblico, dell’arte stessa, della sua evoluzione e dei suoi protagonisti.

Soprattutto però, la rassegna nasce come volontà di far conoscere film, documentari e produzioni poco note ma dall’alto valore contenutistico e divulgativo. Il programma, ampio e diversificato, ha proposto nei primi due appuntamenti lavori cinematografici interessanti e diversi tra loro.

Nella prima domenica il tema era “I musei vanno in guerra – Capolavori in fuga dai musei italiani”, che grazie a una serie di filmati d’epoca, documentari e servizi dell’Istituto Nazionale Luce e della Settimana Incom, hanno mostrato immagini dell’odissea subita dalle opere d’arte italiane in tempo di guerra, portando alla luce l’eroismo degli addetti ai lavori che tentarono di salvarle e in seguito di riportarle “a casa” dopo spostamenti e trafugamenti fuori dal Paese. La seconda domenica è stata dedicata a Van Gogh e Picasso: due geni di cui i registi francesi Resnais e Clouzot, attraverso le loro “Soggettive d’artista”, hanno raccontato vita, opere e passioni dei grandi artisti.

Gli appuntamenti continueranno poi fino a tutto marzo, con altre tre domeniche dedicate all’arte e al cinema. Domenica 4 marzo saranno proiettati tre documentari su tre grandi artisti moderni: Medardo Rosso, Guttuso e Velasco Vitali, monografie televisive per documentare il cambiamento del modo di raccontare gli artisti e il loro rapporto con le opere.

Domenica 11 marzo il tema sarà “L’arte nella natura. La natura nell’arte”. Il primo documentario sarà dedicato allo scultore Henry Moore, ripreso mentre lavorava ad alcune opere; il secondo sarà su Giuliano Mauri, realizzato da Studio Azzurro; il terzo si intitolerà “Paesaggi rubati”, documentario di Nino Crescenti per la RAI, in cui saranno protagonisti i disastri e la cattiva cura del nostro patrimonio artistico.

Conclude il ciclo, domenica 18 marzo, “Picasso e Braque go to the movies”, documentario coprodotto da Martin Scorsese, mai visto prima in Italia, dedicato al rapporto tra arte e cinema agli inizi del Novecento, per evidenziare come le esperienze cubiste siano state influenzate anche dal cinema stesso.

Una bella iniziativa che ha già riscosso moltissimo successo nei primi appuntamenti e che permetterà di vedere, e riflettere, su film e docufilm inediti o poco trasmessi in Italia. Un programma culturale vario e coerente con gli scopi dell’Associazione Silvia dell’Orso, dedicata al ricordo della figura di Silvia Dell’Orso, storica dell’arte, giornalista e saggista, nonché già collaboratrice di ArcipelagoMilano, scomparsa in prematura età nel 2009.

Visioni d’arte. Rassegna cinematografica” – Museo Diocesano, sala dell’Arciconfraternita. Le proiezioni iniziano alle ore 16. L’ingresso è libero sino a esaurimento posti. Non si accettano prenotazioni. I visitatori del Museo Diocesano muniti di biglietto e i soci dell’Associazione culturale Silvia Dell’Orso potranno accedere a posti a loro riservati.

 

 

DA BELLINI A TIZIANO. NASCITA ED EVOLUZIONE DEL PAESAGGIO

Si è aperta la nuova stagione delle mostre a Palazzo Reale, e a inaugurarla è niente meno che una mostra su Tiziano e il suo secolo. Il Cinquecento veneto è stato dominato in pittura proprio da Tiziano, un artista che a partire dalla lezione di Giovanni Bellini e di Giorgione ebbe il merito di aver portato la natura e il paesaggio sullo stesso piano dei soggetti allora ritenuti più importanti (scene storiche, nudi, racconti sacri), aggiungendo quindi un elemento di grande modernità all’interno dei suoi dipinti.

Suo fu infatti l’uso nell’accezione moderna, del termine “paesaggio”, parola che compare per la prima volta nel 1552, in una celebre lettera dello stesso Tiziano all’imperatore Filippo II. L’“invenzione” del paesaggio in pittura, come realtà a se stante, fu una vera a propria rivoluzione. Dallo sfondo quasi riempitivo dei dipinti degli artisti delle generazioni precedenti, visto a volte come secondo piano su cui relegare episodi secondari e piccoli dettagli, passò a essere un vero e proprio piano autonomo. Paesaggi fantasiosi, spesso inventati, ma che permisero agli artisti, Tiziano in primis, di sperimentare un nuovo rapporto tra i soggetti rappresentati e la natura, di farli interagire e di renderli complementari.

“Fino alla prima metà del Quattrocento, nel Veneto, quasi non esistono aperture paesistiche nei dipinti, che non siano generici fondali di verzura, o stilizzate convenzioni, come le onde a ricciolo dei mari in burrasca. Prima del nuovo termine tizianesco, l’ambiente naturale era “paese” e gli artisti dipingevano “quadri di paesi”, cioè degli spazi, dei luoghi, considerati sotto il profilo delle loro caratteristiche fisiche e ambientali”, spiega il curatore della mostra Mauro Lucco. Ecco perché il cammino iniziato da Bellini e concluso da Tiziano e seguaci è così importante, tanto da aver fatto arrivare a Milano una cinquantina di dipinti e disegni provenienti da alcuni dei maggiori musei americani – il Museum of Fine Arts di Houston, l’Institute of Arts di Minneapolis – ed europei – la National Gallery di Londra, la Gemäldegalerie Alte Meister di Dresda, le Gallerie dell’Accademia di Venezia, gli Uffizi di Firenze.

La mostra è aperta da due capolavori, la Crocifissione nel paesaggio di Giovanni Bellini e La prova del fuoco di Giorgione, che accompagnano un celebre dipinto giovanile di Tiziano, La sacra conversazione. Fu proprio Bellini il primo a inserire nei suoi dipinti sacri il paesaggio sullo sfondo, distinto però dal soggetto principale, e ben delimitato da drappi, cortine o invisibili valli spaziali. Seguendo il modificarsi della funzione del paesaggio, il percorso si sviluppa poi attraverso le sale, in cui le opere di Palma il Vecchio, Cima da Conegliano, Veronese e Jacopo da Bassano, arrivando alla chiusura con il Narciso di Tintoretto, sono accostate ad altri dipinti di Tiziano, interpreti di questa novità: L’Orfeo e Euridice, La Nascita di Adone, Tobiolo e l’angelo, L’adorazione dei pastori.

Un paesaggio che ha avuto anche una sua declinazione letteraria, grazie a Jacopo Sannazzaro, che in quegli anni compose e pubblicò l’Arcadia (la cui prima edizione del 1504 è esposta in a Palazzo Reale), in cui la natura e la campagna sono descritte come luoghi ameni di delizia e gioia, popolate da pastori e contadini lieti. Italiani ma non solo. Importante dal punto di vista artistico fu anche l’arrivo a Venezia di artisti e opere del Nord Europa, con una diversa sensibilità per il paesaggio: una natura più selvaggia e dura, a volte addirittura malinconica o iperdettagliata, come nel caso del disegno di Brüegel dell’Ambrosiana. E allora ecco concludere con l’ultimo Tiziano, in cui la materia e il mondo stesso sono fervore e movimento. L’invenzione del paesaggio, inaugurata da Giovanni Bellini e Giorgione e sviluppato in modo particolare da Tiziano può dirsi completamente conclusa, lasciando alle generazioni a venire questa straordinaria e rivoluzionaria eredità.

Tiziano e la nascita del paesaggio moderno – Palazzo Reale fino al 20 maggio – orari: 9.30-19.30; lun. 14.30-19.30; gio. e sab. 9.30-22.30 – costi: Intero € 9,00. Ridotto € 7,50

 

KLIMT. DISEGNI PER IL FREGIO DI BEETHOVEN TRA MUSICA E ARTE

Il 2012 sarà un anno interamente dedicato all’artista austriaco Gustav Klimt, in vista del suo 150 anniversario di nascita. Klimt (1862-1918), pittore sopraffino ed elegante, inventore dello stile liberty e padre di quella grande rivoluzione artistica che fula Secessioneviennese, verrà celebrato in tutta l’Austria con una serie di mostre ed eventi a lui dedicati, ma anche nel resto d’Europa, da Parigi a Barcellona, da Londra a Milano.

Ed è infatti Milano che apre le danze klimtiane con una mostra incentrata sul grande fregio di Beethoven, eseguito da Klimt nel Palazzo della Secessione costruito da Olbrich. Il Fregio di Beethoven, lungo34 metri, è stato infatti qui ricostruito nelle sue parti fondamentali, e accompagnato da 18 disegni originali correlati a questo misterioso e affascinante affresco.

L’originale, custodito a Vienna, fu dipinto da Klimt nel1902 inoccasione della XIV mostra del movimento viennese. L’esposizione, nata in seguito alla creazione della grande scultura policroma di Max Klinger dedicata a Beethoven, fu tutta dedicata alla celebrazione del compositore tedesco, così amato e ammirato dagli artisti secessionisti. Beethoven era considerato l’incarnazione del genio, colui che aveva creatola Nona Sinfonia, incarnazione dell’amore e dell’abnegazione artistica e spirituale.

Ecco allora l’origine del fregio: ispirato dalla Nona, nella declinazione data da Wagner durante la sua esecuzione del 1846, quando Wagner stesso aveva anche descritto nel libretto le immagini che la composizione gli suggeriva. Secondo Wagner solo l’arte e la poesia avrebbero potuto riscattare l’umanità verso una vita migliore. Il fregio ha dunque la stessa funzione liberatrice della musica, in contrasto alla morte e alla decadenza del mondo terreno. Ecco perché il giorno dell’inaugurazione Gustav Mahler venne chiamato a dirigere propriola Nona Sinfoniaall’interno di quella sala.

L’opera si compone di tre parti: L’anelito alla felicità, le Forze ostili e l’Inno alla gioia, la stessa sinfonia che pervade gli ambienti della mostra. Il fregio si pone quindi come la rappresentazione del percorso che il Cavaliere, l’uomo, dovrà affrontare per raggiungerela Poesia, fanciulla affascinante e sensuale, meta del suo cammino. Ma la strada è tortuosa: il Cavaliere dovrà affrontare le Erinni,la Lussuria,la Malattia, il Dolore, il gigante Tifeo ecc. Il Cavaliere arriverà finalmente nelle braccia della Poesia, circondato da un coro gioioso, traduzione visiva dell’Inno alla gioia di Schiller e musicato proprio da Beethoven.

Un tripudio di oro e decorativismo, figure dalle linee eleganti e sinuose, capelli sollevati dal vento, visi taglienti e occhi espressivi, arabeschi e pietre preziose, per arrivare all’opera d’arte totale, che prevedeva l’integrazione delle diverse discipline artistiche (pittura, scultura, grafica, design, arte decorativa e architettura). Qui sembra esserci tutto.

Fondamentali diventano allora i disegni, schizzi e studi preparatori fatti per i personaggi del fregio e per le figure femminili così amate e a volte sfuggenti, che popolano i dipinti di Klimt. Ragazze esili e sensuali, colte in pose naturali, quasi distratte, un esercito di modelle che si aggirava per l’atelier del maestro viennese.

Completano l’esposizione i manifesti originali della Secessione, realizzati dai compagni di Klimt: Koloman Moser, Alfred Roller, Ferdinand Hodler e Leopold Stolba; con anche alcuni numeri di “Ver Sacrum”, lo strumento di divulgazione realizzato dagli artisti secessionisti, rivista/catalogo/opera d’arte totale della loro estetica.

Gustav Klimt – Disegni intorno al fregio di Beethoven fino al 6 maggio, Spazio Oberdan Orari: Martedì e giovedì: dalle 10.00 alle 22.00. Mercoledì, venerdì, sabato, domenica: dalle 10.00 alle 19.30 – Lunedì chiuso Ingressi: intero 8,00 €, ridotto 6,00 / 7,00 €

 

BRERA MAI VISTA: DUE LAVORI DI GEROLAMO GIOVENONE

In un mese in cui molte mostre stanno per giungere al termine (Artemisia Gentileschi, Oro dai Visconti agli Sforza e l’Arte Povera nella sua sede milanese), continua l’esposizione di capolavori della Pinacoteca di Brera con il ciclo “Brera mai vista”. Fino a marzo sarà possibile vedere due dipinti su tavola dell’artista vercellese Gerolamo Giovenone (1490 – 1555). Le due opere, un’Assunzione della Vergine e una grande ancona raffigurante la Madonna con il Bambino e i santi Giacomo, Giuseppe, Marta e donatore, rappresentano due momenti diversi e successivi della carriera dell’artista.

Giovenone nasce e cresce in una vera e propria stirpe d’artisti: il padre Amadeo era maestro di legname, così come lo fu il fratello, mentre furono pittori il fratello minore del Giovenone, Giuseppe (allievo e poi collaboratore di Gaudenzio Ferrari), e i figli di Gerolamo stesso, Giuseppe il Giovane e Giovanni Paolo. La formazione di Giovenone avviene quindi in un contesto caratterizzato dalle esperienze familiari e locali, ed è stata infatti ipotizzata una formazione presso Martino Spanzotti, documentato a Vercelli a fine Quattrocento, e il suo discepolo Defendente Ferrari, con il quale collabora in diverse occasioni nei primi decenni del Cinquecento.

Presto però lo stile di Giovenone cambia, venendo condizionato dall’incontro con Gaudenzio Ferrari, che aveva già operato a Vercelli per la prima volta agli inizi del secolo. L’influenza di Gaudenzio si avverte nelle opere di Gerolamo fin da subito, ma diventa particolarmente importante in quelle del decennio successivo, quando sono ripetutamente documentati i rapporti del maestro valsesiano con la famiglia Giovenone. A questa fase appartiene l’Assunzione della Vergine, giunta a Brera nel 1903/1904 con il dono della collezione del mercante Casimiro Sipriot, e che si ipotizza dipinta per la cappella dell’Assunta in San Marco a Vercelli. Nel 1525 infatti il testamento di Nicolino de Lancis ne disponeva la decorazione, destinando agli eredi duecento fiorini per la realizzazione di un’ancona entro sei anni.

Ma un nuovo artista si inserisce sulle scene vercellesi negli anni trenta, dominata a tutto tondo dai Giovenone: è Bernardino Lanino, giovane pittore allievo e collaboratore di Gaudenzio Ferrari che diviene presto il più importante divulgatore della poetica gaudenziana. I rapporti di Lanino con la famiglia Giovenone sono documentati dal 1530, e diventano via via più fitti fino ad arrivare al matrimonio, dieci anni dopo, tra la figlia di Gerolamo, Dorotea, e il Lanino.

Inizia da questo momento un intenso rapporto di scambio tra suocero e genero, del quale è esempio la Madonna con il Bambino e i santi Giacomo, Giuseppe, Marta e donatore (ca. 1543), entrata in Pinacoteca nel 1808 con le soppressioni napoleoniche degli ordini religiosi e già in Santa Maria delle Grazie a Novara. L’impostazione ha infatti numerosi punti di contatto con la pala dipinta da quest’ultimo per la cappella della Maddalena in San Francesco a Vercelli (1543, ora alla National Gallery di Londra). Il motivo del baldacchino, inoltre, si trova nella Madonna con il Bambino, santi e angeli, opera di Lanino per la chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Borgosesia. Nel paesaggio si riconosce invece il Sacro Monte di Varallo Sesia come si presentava all’epoca, opera in cui giocò la parte del protagonista lo stesso Gaudenzio Ferrari.

Un artista dal linguaggio sobrio e misurato, forse privo di grandi invenzioni ma che incontrò grande favore da parte della committenza, come dimostra la fiorente bottega vercellese. Due opere provenienti dai depositi della Pinacoteca ed esposte per la prima volta al grande pubblico.

Brera mai vista – fino al 18 marzo 2012 – Orari: 8.30 -19.15 da martedì a domenica. chiuso lunedì – Biglietti: € 6,00 intero, € 3,00 ridotto

 

 

ABO E LA TRANSAVANGUARDIA ITALIANA

ABO (Achille Bonito Oliva) vs Germano Celant. I due giganti della critica d’arte si sfidano con due mostre diversissime ma non troppo nella città meneghina. Se Celant ha proposto la sua Arte Povera sparsa per l’Italia, con sede principale presso la Triennale, ABO propone una grande retrospettiva sulla sua Transavanguardia, con seguito di mostre personali in giro per l’Italia. Cinque i protagonisti di ieri e di oggi, riuniti sotto l’etichetta di Transavanguardia proprio da Bonito Oliva alla fine degli anni ’70: Cucchi, Chia, Clemente, Paladino e De Maria. Di ciascuno dei cinque protagonisti raccoglie 15 opere, selezionate dal curatore in collaborazione con gli artisti, scegliendole tra le loro più significative, inedite o particolari.

Teorizzata nel 1979 da Achille Bonito Oliva con un saggio su Flash Art e da questi presentata per la prima volta al pubblico alla XIII Rassegna internazionale d’arte di Acireale, la Transavanguardia ha la propria consacrazione ufficiale nella sezione Aperto ’80 della 39ª Biennale di Venezia, segnando un punto di rottura con le ricerche minimaliste, poveriste, processuali e concettuali che avevano dominato gli anni Sessanta e Settanta. Un movimento artistico che sin dal suo nascere ha saputo e voluto puntare sull’identità della cultura italiana, inserendola a pieno titolo, e con una sua peculiare originalità, nel dibattito culturale internazionale degli ultimi quarant’anni. Nello stesso tempo ha portato l’arte contemporanea italiana a un livello di attenzione, da parte di collezionisti, musei e critici stranieri, del tutto nuovo.

All’idealismo progressista delle neo-avanguardie il nuovo movimento risponde con il ritorno alla manualità dell’arte e alle sue tradizioni. All’utopia del modernismo e del moderno in cui tutto è internazionale, multinazionale e globalizzato, la Transavanguardia, nel suo trans-attraversamento di linguaggi, tecniche e scelte, oppone il genius loci del singolo artista, ossia il territorio del suo immaginario, nonché una rivalutazione del proprio nomadismo culturale e dell’eclettismo stilistico, che si nutre di memorie del passato (vedi i riferimenti longobardi beneventani di Paladino) e di citazioni dalla storia dell’arte, contribuendo così al più generale processo di rielaborazione della Storia e della soggettività avviato negli anni ottanta.

L’evento milanese ruota attorno ad alcune tematiche comuni, che attraversano le diverse poetiche dei cinque artisti: il ritorno alla manualità della pittura, delle tecniche semplici e “primitive”, il narcisismo dell’artista, il doppio e l’altro, la violenza, la natura, l’incertezza della ricerca, l’inconscio, l’immagine tra disegno e astrazione, il tutto in bilico tra bi e tridimensionalità. La mostra raccoglie in tutto 66 opere: 44 provenienti da musei, fondazioni, gallerie e collezioni private italiane, e 22 da musei e collezioni europee.

Si potranno mettere così a confronto le opere dei cinque artisti, appartenenti sì a un’unica corrente ma sicuramente diversi nella propria ricerca personale: le “cupole”, i fiori e i colori sgargianti di De Maria; i dipinti un po’ espressionisti e alla Bacon di Francesco Clemente, nella sua visone dell’”arte come catastrofe”; i riferimenti a Chagall, Picabia, Picasso e De Chirico di Sandro Chia; le memorie storiche, tra forme organiche, simboliche e arcaiche di Mimmo Paladino; infine i riferimenti alla morte e alla decadenza fatti da Enzo Cucchi, in una profusione di teschi e immagini precarie sui suoi fondali desertici.

La mostra di Palazzo Reale è parte di un ciclo progressivo di sei mostre dedicato alla Transavanguardia. In concomitanza con la mostra milanese, sei importanti istituzioni italiane organizzeranno alcune giornate di approfondimento sulla Transavanguardia presiedute da uno dei cinque filosofi del comitato scientifico composto da Massimo Cacciari, Giacomo Marramao, Bruno Moroncini, Franco Rella, Gianni Vattimo, e contestualmente esporranno le opere della Transavanguardia presenti nelle loro collezioni. Alle giornate di studio prenderanno parte critici d’arte, curatori e direttori di musei. Di seguito il calendario delle giornate ancora a venire:

Le mostre personali saranno ospitate in altrettante città italiane tra le più rappresentative della storia e dell’identità italiana, oppure legate alle vicende stesse della Transavanguardia. Le varie mostre saranno incentrate sulla recente produzione dei singoli protagonisti, partendo da un primo nucleo di opere storiche per poi seguire l’evolversi nel tempo e gli esiti ultimi delle loro ricerche artistiche.

1 marzo 2012, ROMA – MIMMO PALADINO: Roma, ex-GIL di Luigi Moretti, a cura di Achille Bonito Oliva e Mario Codognato e l’organizzazione di Civita.

Marzo 2012, PALERMO – FRANCESCO CLEMENTE: Palermo, Palazzo Sant’Elia, a cura di Achille Bonito Oliva e Francesco Gallo e l’organizzazione di Civita.

“Transavanguardia”– Palazzo Reale, fino al 23 marzo 2012 Orari: lunedì 14.30 – 19.30, martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30 – 19.30, giovedì e sabato 9.30 – 22.30 Biglietti: € 9,00 intero, € 7,50 ridotto

 

 

LE “GALLERIE D’ITALIA” NEL CUORE DI MILANO

Dopo il Museo del Novecento, apre a Milano, in centro che più centro non si può, un altro museo destinato a diventare una realtà importante del panorama artistico milanese. Hanno infatti debuttato in pompa magna le “Gallerie d’Italia”, museo-polo museale in piazza Scala, ospitato negli storici palazzi Anguissola e Brentani, restaurati per l’occasione. Un avvenimento cittadino, che ha avuto un’intera nottata di eventi e inaugurazioni dedicate.

Si è iniziato con “Risveglio”, videoproiezione sui palazzi di piazza Scala, a cura di Studio Azzurro, ispirate all’omonimo dipinto Risveglio (1908-23) di Giulio Aristide Sartorio (di proprietà della fondazione Cariplo), artista liberty e simbolista, esposto all’interno del museo. C’è stato poi un incontro con il filosofo Remo Bodei, con una riflessione sul bello e sul valore dei musei, per poi passare alle visite gratuite per il grande pubblico del Teatro alla Scala.

Una serata fitta d’impegni, che si è protratta fino all’una di notte, per permettere ai tanti visitatori in fila nonostante la pioggia battente, di visitare gratuitamente il nuovo museo. E in effetti valeva la pena di aspettare per vedere le tredici sezioni di questo museo che comprende, cronologicamente e per temi, tanti capolavori del nostro passato per approdare poi ai Futuristi. Un ideale partenza per visitare poi il vicino Museo del Novecento.

Un museo voluto e creato, nonostante i tempi poco propizi, da Intesa Sanpaolo e Fondazione Cariplo, da sempre attente all’arte e alla cultura, che grazie al progetto architettonico di Michele de Lucchi, ospita 197 opere dell’Ottocento italiano, in particolare lombardo, delle quali 135 appartenenti alla collezione d’arte della Fondazione Cariplo e 62 a quella di Intesa Sanpaolo. Il percorso espositivo di 2.900 mq, curato da Fernando Mazzocca, propone un itinerario alla scoperta di una Milano ottocentesca, assoluta protagonista del Romanticismo e dell’industrializzazione, ma anche di altre scuole artistiche e correnti.

Aprono il percorso i tredici bassorilievi in gesso di Antonio Canova, che già di per sé varrebbero la visita, ispirati a Omero, Virgilio e Platone; si passa poi ad Hayez e alla pittura romantica, con il suo capolavoro “I due Foscari”; largo spazio è stato dedicato a Giovanni Migliara e Giuseppe Molteni, per passare a Gerolamo Induno; alla sezione dedicata al Duomo di Milano e alle sue vedute prospettiche e quella dedicata ai Navigli. Se a palazzo Anguissola tutto era un trionfo di stucchi, specchi e puttini, l’ambientazione cambia quando si passa al contiguo palazzo Brentani, con la pittura di genere settecentesca, i macchiaioli, con Segantini e Boldini, i divisionisti, il Simbolismo di Angelo Morbelli e Previati, per arrivare all’inizio del ‘900 con quattro dipinti di Boccioni, ospitati in un ambiente altrettanto caratteristico ma più neutro e museale.

Al centro, nel cortile ottagonale, troneggia un disco scultura di Arnaldo Pomodoro. Ma non è finita qui. Al settecentesco Palazzo Anguissola e all’adiacente Palazzo Brentani, si affiancherà nella primavera del 2012 la storica sede della Banca Commerciale Italiana, che ospiterà la nuova sezione delle Gallerie e vedrà esposta una selezione di opere del Novecento.

Insomma un progetto importante che, in un momento di crisi e preoccupazione globale, vuole investire e rilanciare arte, cultura e il centro città, facendo di piazza della Scala un irrinunciabile punto di riferimento, un “salotto cittadino” adatto ai turisti, ma, si spera, non solo.

Gallerie d’Italia – piazza della Scala – entrata libera fino all’apertura della sezione novecentesca del Museo, prevista nella primavera 2012 – Orari: Da martedì a domenica dalle 9.30 alle 19.30. Giovedì dalle 9.30 alle 22.30. Lunedì chiuso

  

 

questa rubrica è a cura di Virginia Colombo

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



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