28 febbraio 2012

musica


UN VIOLONCELLO MERAVIGLIOSO

Raramente accade di “sentire” che un concerto è stato accettato – più che accolto – con entusiasmo totale e senza alcuna riserva dall’intero pubblico in sala, con testimonianze incontrovertibili di grandi emozioni provate e con unanimi giudizi di eccellenza, relativi sia alla scelta del programma che alla sua esecuzione. E questa felice circostanza si è verificata giovedì scorso – il giovedì grasso del rito ambrosiano – nella sala tristemente semivuota del Conservatorio, a opera di uno dei maggiori violoncellisti viventi, l’inglese Steven Isserlis, accompagnato dal bravissimo pianista russo-americano Kirill Gerstein, in un concerto tutto beethoveniano organizzato fuori abbonamento dalle Serate Musicali.

Il programma, magnificamente impaginato, prevedeva dapprima le 12 Variazioni su tema di Händel (dal Judas Maccabeus) e le 12 Variazioni su tema di Mozart (il celeberrimo couplet di Papageno del Flauto Magico, che i bambini tedeschi cantano a Natale girando di casa in casa) e poi tre Sonate, rispettivamente la prima e la terza delle cinque scritte originariamente da Beethoven per violoncello e pianoforte e, fa le due, quella per corno e pianoforte che lo stesso Beethoven poi riscrisse per il più usuale strumento ad arco.

Con alcune famose eccezioni – come le Suite di Bach (che Beethoven non conosceva) e le opere di Boccherini e dei fratelli Duport (che erano grandi virtuosi di quello strumento) – nel diciottesimo secolo il violoncello era impiegato, insieme al clavicembalo o all’organo, quasi esclusivamente nel ruolo di basso continuo, come sostegno armonico alle parti melodiche, oppure – con Mozart e Haydn in particolare – in piccole formazioni da camera (trii, quartetti, ecc.) con il ruolo più di accompagnamento a violini e viole che con voce propria. Nel 1795, con la Sonata n. 1 dell’opera 5, Beethoven inventa dunque un genere musicale che avrà poi molta fortuna lungo tutto l’arco dell’ottocento, e che porterà lui stesso a creare dapprima quel capolavoro che è la Sonata n. 3 (l’opera 69, del 1807) e più avanti, nel 1815, le rarefatte, concettuali e difficilissime ultime due sonate, la 4 e la 5 dell’opera 102.

Isserlis e Gerstein non hanno voluto enciclopedicamente farci ascoltare dall’A alla Z l’opera beethoveniana dedicata al violoncello, ma farci capire come – a partire dai primi passi – Beethoven sia arrivato a comporre la più bella, godibile ed entusiasmante opera per quello strumento costruendo nuovi equilibri fra archetto e tastiera. Inoltrandoci nel programma, infatti, poco a poco cambia il paesaggio sonoro: nella prima Sonata il pianoforte è ancora la voce dominante e il violoncello gli fa da spalla; le Variazioni, di due anni più tardi, e specialmente quelle sul tema del “Flauto”, sembrano consentire a Beethoven di sperimentare, nel gioco delle parti, diversi piani sonori e diverse possibilità di dialogo fra i due strumenti. Poi, nella riscrittura della Sonata per corno (siamo già nel 1800) il passaggio dal potente ottone allo strumento ad arco porta a inusuali e feconde riflessioni sulle diverse sonorità dei due strumenti e nel loro rapporto con il pianoforte che, ricordiamo, era lo strumento più familiare a Beethoven. Il pubblico segue passo passo questo percorso, con crescente entusiasmo ed eccitazione, e ne percepisce lo strepitoso risultato quando l’incipit della straordinaria terza sonata fa esplodere tutta la potenzialità emozionale del violoncello solo.

Concerti come questi ci dicono quanto sia importante “costruire” con intelligenza e con sensibilità il programma di una serata e quanto sarebbe utile che i programmi di sala aiutassero il pubblico a svelarne il senso invece di raccontare le solite stereotipate (e solitamente noiose e illeggibili) biografie degli artisti e – quanto alle opere – fornire analisi frettolose e superficiali o insignificanti aneddoti sui loro autori. Delle opere è importante conoscere la data e il luogo della loro composizione, come si collocano fra le altre dello stesso autore, nel contesto della sua storia personale e nel più generale contesto storico, sociale, culturale degli anni che la videro nascere.

Vorremmo chiedere alle nostre istituzioni musicali, e in particolare alle Serate Musicali che si prodigano con grandissima generosità per offrire concerti in gran numero e quasi sempre di ottima qualità, di curare di più i programmi di sala, cominciando a pretendere dagli artisti invitati che raccontino di più e meglio la loro storia personale, il loro percorso artistico, i loro orientamenti e attitudini. Gli ascoltatori che vogliono essere consapevoli e informati non chiedono di conoscere tutte le orchestre con cui hanno suonato o i teatri e i festival che li hanno invitati; vorrebbero piuttosto sapere dove si sono formati, in quali luoghi hanno vissuto, quali sono i loro autori preferiti e quale repertorio maggiormente frequentano. Soprattutto vorrebbero che quando vengono espressi giudizi e opinioni – sulle opere, sugli autori, sugli esecutori – se ne sveli sempre l’autore (anche per potercela prendere con qualcuno quando non si è d’accordo!). Ricordate i programmi di sala firmati da Enzo Beacco per la Società del Quartetto di qualche anno fa? Il pubblico arrivava mezz’ora prima per concentrarsi sulla loro lettura e alla fine dell’anno li rilegava per farne preziosi volumetti di storia e di critica musicale.

 

Musica per una settimana

*giovedì 1 e sabato 3 al Teatro Dal Verme l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali diretta da Tito Ceccherini in un concerto totalmente dedicato a Béla Bartòk: Schizzi, Rapsodie n.1 e n.2 per violino e orchestra (violinista Marco Rizzi), Canti contadini ungheresi e Suite di danze

*giovedì 1, venerdì 2 e domenica 4, all’Auditorium, l’Orchestra Verdi diretta da Wayne Marshall esegue “The perfect Fool” di Gustav Holst, il Concerto per pianoforte e orchestra in mi bemolle maggiore di John Ireland (pianista Piers Lane) e la Quarta Sinfonia opera 48 di Alexander Glazunov

*sabato 3 alle ore 17 nella Sala 8a della Pinacoteca di Brera, per la Società del Quartetto il Trio Broz esegue la Serenata per archi opera 8 di Beethoven e il Divertimento per archi in mi bemolle maggiore K. 563 di Mozart

*domenica 4, alle ore 16 alla Scala, i “Violoncellisti della Scala” eseguono” Kol Nidrei” op. 47 di Max Bruch, Sette canzoni popolari spagnole di Manuel De Falla, Fantasia su Iberia di Isaac Albeniz e “Le grand tango” di Astor Piazzolla (trascrizioni dell’ensemble e di Stefano Nanni)

*lunedì 5 al Conservatorio (Serate Musicali) il pianista Alexander Lonquich esegue il Klavierstück IX di Karlheinz Stockhausen e due Sonate di Schubert: in la minore D. 845 e in si bemolle maggiore D. 960

*lunedì 5, alla Scala, in una serata a favore della Fondazione F. Rava, la pianista Sofya Gulyak esegue musiche di Schubert-Liszt e di Wagner-Lizt, la Wanderer Fantasie di Schubert e la Sonata in si minore di Liszt

*martedì 6 al Conservatorio (Società del Quartetto), il pianista Rafal Blechacz in un programma che prevede Bach (Partita n. 3), Beethoven (Sonata opera 10 n. 3 in re maggiore), Chopin (Ballata n. 1 opera 23 e due Polacche opera 26) e Szymanowski (Sonata n. 1 opera 8 )

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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