14 febbraio 2012

CASE POPOLARI: IL NUOVO SIA INALIENABILE


Dopo l’ultima guerra lo Stato continuò a finanziare la costruzione delle Case Popolari, e la loro gestione fu affidata agli IACP e in parte minore ai Comuni. Così alla fine degli anni ‘80 si era formato un discreto patrimonio pubblico di case da affittare a canoni moderati, in tutte le città italiane. Una gestione virtuosa avrebbe dovuto soddisfare la crescente domanda di questi alloggi, attraverso le disponibilità che provenivano dal rilascio volontario, dai decessi, ma soprattutto dal superamento dei tetti di reddito che avrebbero provocato la disdetta del contratto; questo sulla base delle Anagrafi dell’Utenza che gli IACP dovevano effettuare ogni due o tre anni. Naturalmente il monte affitti pagava la Gestione, le manutenzioni e anche nuove costruzioni. Chi usciva dalle case popolari poteva acquistare la casa nella categoria dell’edilizia Agevolata-Convenzionata realizzata da imprese e cooperative a prezzi molto convenienti e con la possibilità di un mutuo agevolato dove lo Stato pagava una quota degli interessi.

Ma sulla gestione si scontrarono subito due interpretazioni, la prima, sulla quale era orientata la legislazione, considerava la casa popolare un passaggio temporaneo per arrivare alla casa di proprietà. La seconda mutuata dai paesi del socialismo reale, dove la società era immobile e non prevedeva miglioramenti della qualità di vita, e dove al lavoratore era garantita la stessa casa e lo stesso lavoro per tutta la vita a canoni risibili.

Con l’accesso delle sinistre al governo del paese la seconda interpretazione, diffusa tra i sindacati e i partiti di sinistra, ebbe il sopravvento, così una serie di modifiche alle leggi Statali e Regionali provocarono la cristallizzazione dell’utenza dando la possibilità del subentro parentale nel caso dei decessi e abolendo la disdetta del contratto per gli inquilini che superavano il reddito. Ma a questo punto, cessati i finanziamenti Statali, il Patrimonio Pubblico non fornì che pochi alloggi in rotazione mentre le liste di attesa si allungavano e le morosità aumentavano come anche le occupazioni abusive. Così il patrimonio pubblico non creò più la disponibilità necessaria a una domanda sempre crescente, abolendo di fatto il principio della rotazione degli alloggi.

Nel frattempo gli espropri dei terreni per nuovi quartieri di case popolari a prezzi iniqui per le proprietà diventarono sempre più difficili per i contenziosi giuridici e purtroppo i Comuni italiani, contrariamente a quelli europei, non avevano mai fatto una politica di progressiva formazione di un demanio comunale acquistando aree agricole attorno alla città. Per recuperare disponibilità finanziaria per nuovi alloggi, tutte le forze politiche, con una vera azione presuntuosa e imprevidente, approvarono la legge sulla liquidazione del patrimonio degli Enti Pubblici, estesa anche alle Case Popolari e dei Comuni, pensando che le risorse recuperate dagli alloggi venduti sarebbero bastate per costruirne altrettanti di nuovi.

Ma anche qui la gestione fu pessima, con prezzi di cessione vergognosamente bassi, sconti speciali e dilazioni estreme, i quattrini raccolti non erano sufficienti a rimpiazzare neanche il 10% del venduto e servivano appena a finanziare le manutenzioni straordinarie. Le case popolari non vendute nella loro interezza (la maggior parte) si sono trasformate cosi in condominii dalla difficile gestione. Oltretutto con la vendita si sono sfacciatamente favoriti gli inquilini con disponibilità finanziarie, gli stessi che dovevano essere disdetti per il supero dei limiti di reddito e avrebbero dovuto lasciare la casa a disposizione a chi ne aveva veramente bisogno.

Lo smantellamento del circuito virtuoso per le Case Popolari è stata sicuramente l’azione più vergognosa e incivile di questi ultimi anni e getta sulla classe politica o Casta, come è meglio conosciuta, l’ombra del dubbio su chi in effetti ne ha tratto giovamento. Che fare ora? Non c’è altro che ricostruire un patrimonio pubblico di Case Popolari inalienabile e sufficiente a garantire nel tempo, con grande severità di gestione, la sua funzione di alloggio temporaneo per le classi più bisognose. Oggi il nuovo regime dei suoli, basato sulla perequazione ormai obbligatoria in tutti gli strumenti urbanistici, metterà a disposizione aree per le case popolari a prezzi modesti, purché però le future case che si costruiranno diventino patrimonio pubblico inalienabile.

 

Gianni Zenoni

 

 



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