14 febbraio 2012

BELLEZZA URBANA: LA SINTASSI DEL PIANO


Che la bellezza di una città cominci a venire considerata l’obiettivo prioritario di un piano regolatore non può che farmi piacere, dal momento che questa tesi la sostengo nei miei libri da vent’anni. Il motivo di questa convinzione è semplice: noi continuiamo a visitare e ad apprezzare l’ambiente materiale che ci hanno lasciato i nostri antenati, corriamo spesso nelle nostre vacanze a visitare le città europee, soprattutto il pittoresco centro storico ma anche quei loro quartieri progettati prima del 1950, trascurando di solito le periferie moderne, dalle quali invece di consueto, quando ci capitiamo, prendiamo le distanze. E poi la città costruita fino ad allora è più accogliente, chi abita nelle periferie di quei tempi vive in un ambiente visibile analogo a quello delle zone più centrali e più pregiate, dove dopotutto i boulevard e le passeggiate compensano la lontananza di piazza del Duomo.

A stringermi il cuore non è dunque questa rinnovata attenzione, ma la diffusa ignoranza di come siano realmente fatte queste città, che ammiriamo e forse in qualche modo vorremmo riprodurre. A partire dal Duecento i documenti disponibili ci dicono con molta precisione che cosa sia stato deliberatamente deciso da una città per renderla più bella e ciò che i cittadini di una città consideravano il motivo della loro bellezza: sui criteri che hanno guidato la costruzione della città che costituisce il tema del nostro affetto sappiamo tutto, proprio tutto. Solo che questo tutto è l’argomento di ricerche e di libri e di conoscenze specifiche che spesso nessuno fa la fatica di studiare, sicché all’atto pratico quanto dovrebbe essere rispettoso della bellezza di Milano è frutto di considerazioni letterarie, non di quella competenza specifica che sorregge un mestiere.

Quando noi sottolineiamo la specificità della città europea – e dunque suggeriamo di rispettarla e di riprenderne la ratio – come sostiene il nostro amico Mario Botta, sarebbe meglio conoscere bene, con competenza, in che cosa precisamente consista questa sua bellezza. Perché altrimenti, addolcita la bocca con queste mozioni affettive, vengono poi progettati nuovi quartieri che ignorano spesso quali siano le regole che presiedono alla bellezza delle città.

Tutte le città europee sono state costruite con le medesime regole, che a conoscerle sono proprio come le regole del linguaggio verbale – un lessico, una grammatica, una sintassi – e come con il nostro comune linguaggio possiamo esprimere tutti i messaggi immaginabili così le città con quel medesimo linguaggio sono poi tutte sono diverse tra loro. Per riprendere il filo di questa tradizione millenaria – come molti dichiarano di volere – occorre conoscere questo linguaggio, altrimenti rischiamo di produrre o delle imitazioni che toccano soprattutto la sfera dell’architettura, come Plessis Robinson vicino a Parigi, con revival per loro natura discutibili, o comunque dei progetti che con questa tradizione così invocata non hanno nulla a che vedere, come quello di Renzo Piano sulle aree Falck a Sesto San Giovanni.

Il mestiere del disegnatore di città – sempreché le si voglia belle – è un mestiere modesto, tant’è che nessuno conosce chi abbia progettato quelle che tanto ammiriamo, mentre l’architettura è un dono che apre la porta a imperitura fama: sempreché dalle biografie dei più noti architetti di oggi vengano cancellate le loro arrischiate lottizzazioni. Su come sia strutturato questo linguaggio ho scritto una sintesi su ArcipelagoMilano del 30 novembre, ma descrizioni più ampie ed esaurienti sono accessibili sul mio sito, www.esteticadellacitta.it, con qualche esempio di come possano venire messe in pratica.

 

Marco Romano

 

 



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