14 febbraio 2012

CASE SOCIALI: LA STRATEGIA DEI PICCOLI PASSI


L’articolo di Luca Beltrami sulla casa, certamente condivisibile ma… a rischio scoramento, mi spinge a tornare sull’argomento, che ho trattato più volte su ArcipelagoMilano fino a pochi mesi fa quando, forse con qualche ottimismo della volontà, indicavo sotto il titolo di “Un programma per la casa sociale: ora si può” un possibile programma di intervento per i cinque anni della nuova giunta.

Sono evidentemente d’accordo, come scrivevo un anno fa (“Che fine ha fatto il Piano Casa”) che “condizione imprescindibile per affrontare la soluzione del problema abitativo delle fasce deboli” sia “un ritorno importante e programmato del finanziamento pubblico … di entità intorno a due/tre miliardi di euro all’anno”, come indicato a suo tempo dal “Tavolo” istituito per la Finanziaria Prodi e anche che “affidare l’edilizia sociale interamente al buon cuore del privato”… (con riferimento al Piano Nazionale del fondo dei fondi e all’allora “PGT Masseroli”) … non possa portare da nessuna parte”. Doveroso dunque richiamare le responsabilità delle politiche nazionali e anche – forse – fare qualche maggiore affidamento alla maggiore consapevolezza e capacità del nuovo esecutivo, ma non possiamo nasconderci che le probabilità di una inversione di percorso a breve sono vicine a zero.

Né d’altra parte possiamo attendere inerti e, come scrivevo allora, vi sono a mio parere alcune condizioni favorevoli che possono consentire, nonostante tutto, di sviluppare a Milano una convincente e realistica programmazione di un sistema di interventi capace di incrementare di almeno 8/10.000 unità l’offerta di alloggi sociali della città nell’arco del mandato. Sarebbe un significativo contributo alla soluzione dell’emergenza abitativa e, anche, una inversione di tendenza sia rispetto alla continua erosione del patrimonio pubblico richiamata da Beltrami Gadola, sia rispetto al brutto vezzo delle precedenti giunte di promettere molto per mantenere assai poco. Rinvio all’articolo del giugno scorso per l’articolazione della proposta, che mi pare a tutt’oggi pienamente fattibile, pur se qualche ritardo già si registra, per richiamarne gli elementi significativi:

1. mettere in sinergia diverse modalità di intervento, sul pubblico e sul privato, nel recupero dell’esistente e nella nuova costruzione; e in questo senso la nuova collaborazione fra gli assessorati alla casa e al territorio è già una buona partenza;

2. priorità al recupero e alla riqualificazione, con precedenza assoluta al patrimonio pubblico vuoto e “lastrato”, che da solo può rimettere in circolo alcune migliaia di alloggi, mettendo fine a un vergognoso spreco e alla guerra fra poveri nei quartieri ERP;

3. avviare insieme anche le necessarie iniziative (Agenzia Immobiliare Sociale) per la rimessa sul mercato, a canone concordato, di una parte almeno dell’enorme sfitto privato;

4. portare a compimento la piena utilizzazione degli alloggi derivanti dai tre bandi “Abitare a Milano” e da quello di Fondazione Housing Sociale, anche rimettendo a bando le aree andate deserte.

Si tratta, per questi ultimi, di interventi che o sono già finanziati o che richiedono limitate integrazioni e che possono e devono essere resi disponibili (effettivamente assegnati alle famiglie bisognose) entro i prossimi due-tre anni. Vi sarà tempo, poi, per mettere a frutto le cessioni derivanti dai futuri interventi residenziali privati, rese obbligatorie dalla nuova versione del PGT, ma per la cui fattibilità occorrerà comunque reperire nuove risorse per le quote da riservare alle fasce più deboli.

Anche il recupero del patrimonio pubblico già dispone, fra Aler e Comune, di parte dei finanziamenti, ma molte risorse devono essere ancora trovate. E qui vorrei aggiungere una considerazione non tanto da tecnico urbanista quanto da presidente della Cooperativa Dar Casa, uno dei (pochi – ahimè) soggetti privati che hanno dimostrato nei fatti di saper sussidiare le politiche abitative pubbliche sia apportando nuove risorse sia soprattutto sviluppando un modello di gestione sociale ad alto valore aggiunto in termini di coesione sociale e di pieno utilizzo dello stock. Da troppi anni purtroppo siamo costretti a citare come esempio di questo modello soltanto le ormai famose “Quattro Corti” di Stadera, che abbiamo realizzato insieme ad Aler e alla Cooperativa La Famiglia.

Ebbene, uno dei motivi per cui vi è tanta difficoltà a replicarlo risiede in una sorta di “mistificazione” circolante in base a cui affidare a un gestore privato diverso da Aler un pezzo di stock pubblico significherebbe sottrarre un patrimonio già scarso distogliendolo dalla sua funzione primaria che è quella di soddisfare le graduatorie ERP. Ma se l’alternativa è quella di lasciare questo stock inabitabile vuoto ed esposto a impieghi abusivi e impropri perché non vi sono le risorse per ristrutturarlo, non è forse meglio renderlo agibile perchè vada a coprire comunque una fascia di domanda bisognosa, quale è quella ad esempio che sta nelle graduatorie di Dar Casa (e che in gran parte è anche in lista d’attesa per una casa popolare che non avrà mai)? Senza contare il valore aggiunto di cui dicevo e che tanto contribuisce all’integrazione e coesione sociale nel territorio, come appunto dimostra l’esperienza di Stadera ma anche quella dei numerosi alloggi che la nostra cooperativa ha ristrutturato e gestisce in molti quartieri popolari milanesi.

 

Sergio D’Agostini

 



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