8 febbraio 2012

Teatro


UN FLAUTO MAGICO
da Wolfgang Amadeus Mozart liberamente adattato da Peter Brook, Franck Krawczyk e Marie Hélèn Estienne – regia Peter Brook luci Philippe Vialatte al pianoforte Remy Atasay
con Dima Bawab, Malia Bendi-Merad, Leïla Benhamza, Jean-Christophe Born, Raphaël Brémard, Anne-Emmanuelle Davy, Thomas Dolié, Antonio Figueroa, Virgile Frannais, Betsabée Haas, Jan Kucera, Martine Midoux, Matthew Morris, Roger Padullès, Vincent Pavesi, Adrian Stropper, Lenka Turcanova.
attori Adbou Ouolouguem, Stéphane Soo Mongo.

Ci sono spettacoli che non si possono non vedere. Varrebbe la pena salire in macchina o in treno e andare a cercarli, in altre città o in altre nazioni, e per questo non ce li si può lasciar scappare quando vengono (per due anni di fila) nella tua città.  Ci sono spettacoli che non si possono non vedere, e Un flauto magico è uno di questi. Sia da un punto di vista storico (inteso come “storia del teatro”), perché verrà probabilmente ricordato come l’ultimo di Peter Brook. Il regista inglese, ottantaseienne, ha infatti recentemente abbandonato la direzione dello storico teatro di Parigi che gestiva dal 1974, Le Bouffes du Nord, e non sembra intenzionato – vista l’età – a curare la regia di nuove messe in scena.
Sia da un punto di vista prettamente teatrale, perché Un flauto magico è una lezione di essenzialità e di pulizia, l’ennesima messa in opera di quel che Brook ha teorizzato nel suo libro Lo spazio vuoto. Tutto quello che c’è in scena è assolutamente necessario: la grandi scenografie dell’opera lirica sono sostituite da semplici canne di bambù applicate su piedistalli di ferro che permettono un’agilità di movimento funzionale ai cambi di scena e di atmosfera; l’organico attoriale è ridotto al minimo, con pochi attori/cantanti che si alternano in due cast, e due attori (che non cantano e fanno solo gli attori) che impersonano numerosi ruoli e si occupano di spostare le canne di bambù; anche l’orchestra è assente, sostituita da un pianoforte che forse avrà deluso i puristi dell’opera ma non può non aver appassionato chi, come Sergio Escobar (direttore del Piccolo) dopo essersi chiesto “Cos’è questo Flauto magico?” si è risposto: “Opera lirica? Sicuramente no. Teatro musicale? Forse. Teatro? Sicuramente.”
Anche dal punto di vista della pura fruizione lo spettacolo di Brook è estremamente godibile e a un certo punto – quasi subito, in realtà – si smette di guardare i sopratitoli in italiano e ci si concentra su quel che sta succedendo in scena. Perché come ci ha insegnato anche Dario Fo con il suo grammelot, e come confermano le neuroscienze secondo le quali solo il 13% delle informazioni vengono passate attraverso la parola, a volte non serve capire le battute per apprezzare un bello spettacolo. Tanto più che, a voler essere sinceri, il testo non è certo un capolavoro e senza la musica di Mozart probabilmente non sarebbe sopravvissuto all’oblio. E infatti Brook ha scelto di tagliarlo e accorciarlo per ridurlo all’essenziale, a quell’essenzialità che è da tanti anni la cifra stilistica e semantica del suo teatro.
Piccolo Teatro Strehler dal 31 gennaio al 11 febbraio.

In scena
Al Teatro Elfo Puccini dal 7 al 19 febbraio Viaggio al termine della notte, da Celine con Elio Germano.
Al Piccolo Teatro Studio dal 7 al 19 febbraio Settimo di Serena Sinigaglia.
Al Teatro Franco Parenti fino al 12 febbraio Pali di Spiro Scimone, regia di Francesco Sframeli.
Al Teatro Out/Off dal 9 febbraio al 4 marzo Il guardiano di Harold Pinter, regia di Lorenzo Loris.
Al Teatro Leonardo Da Vinci Circoparola, con testi di Tiziano Scarpa.

questa rubrica è a cura di Emanuele Aldrovandi
rubriche@arcipelagomilano.org



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