8 febbraio 2012

IL NUOVO PGT PER UNA NUOVA BUROCRAZIA /2


Riconfermo che la questione del lavoro in questo dato momento è prioritaria. “Primum vivere deinde philosophari” (Hume). Ciò detto la discussione continua. Come noto sono tre gli strumenti che compongono il PGT. Il Documento di Piano è un documento di indirizzo, è quinquennale e non è conformativo, può essere migliorato e modificato con più calma mentre ora va ridotto all’essenziale apportando le modifiche più urgenti correlate a un programma realistico togliendo obiettivi e criteri non condivisibili (infiniti parcheggi in sottosuolo, trasposizioni in PACCO Sud, tunnel, le dieci linee di MM che è semplice immaginarle ma realizzarle e trasformare le idee in progetto è un altro discorso se si pensa che in cinquanta anni ne sono state costruite tre e corte).
Più urgenti sono le modifiche al PdS e al PdR (Piano dei Servizi e Piano delle Regole) che sono piani conformativi dei diritti e sono immediatamente efficaci. Nel PdS è sbrigativa la liquidazione dello standard, che non può essere abrogato perché considerato contabilità da ragionieri. No, lo standard è un servizio alla persona, non è uno scenario virtuale dei bisogni lasciati alla scelta dell’operatore che in alternativa poi li monetizza; così le entrate finiscono nel bilancio generale e si rinuncia a una visione d’intervento strategica dello spazio pubblico e dei servizi. E che dire sulla contestualità delle realizzazioni o addirittura della loro effettiva esecuzione nel rispetto degli obblighi convenzionali, convenzioni che una volta firmate finiscono nell’armadio! Alla Pirelli Bicocca è quindici anni che aspettano un asilo! E gli esempi simili sono tanti, sarebbe sufficiente un ufficiettino per spulciare le convenzioni e verificare l’ottemperanza agli obblighi previsti, già pagati dai cittadini. Eppur si muove, si potrebbe dire del Comune se osasse sfatare la credenza che il sistema pubblico non sa tutelare i propri interessi e far rispettare gli impegni.
Per il PdR va risolto il problema dell’assenza di un indice di edificabilità massimo specie negli ARU (Ambiti di Rinnovamento Urbano) per cui il trasferimento dei diritti edificatori originati da aree periferiche avverrà con atterraggio nel centro città, avendo lì maggiore rendita, con densificazioni abnormi e sottrazione di suolo. Inoltre la perequazione prevedendo la cessione anche di aree frammentate potrà rendere difficile la realizzazione di opere pubbliche. In tutti e due i casi sarebbe opportuno prevedere progettazioni compatibili con la qualità degli insediamenti. Si impone che la delibera sui criteri perequativi sia modificata nel senso di una maggiore equità nella distribuzione dei pesi nel tessuto urbano. Senza premi volumetrici e senza impiccarsi a discutibili “percentuali”. “Una certa percentuale deve andarsene. Una percentuale! Graziose queste parolette, così riposanti, così scientifiche. Se fosse un’altra parola, allora…magari sarebbe più inquietante.” Così si tormenta Raskòlnikov (Delitto e castigo, Fedor Dostoevskij).
Altresì esiste il problema di una struttura tecnica adeguata ovvero di come si gestisce l’attuazione del piano e quindi del rapporto cittadino – uffici comunali (sono scontate le difese d’ufficio). Qui conta la volontà politica perché non c’è bisogno di leggi. È un fatto che per un normale cittadino recarsi in via Pirelli oggi è un incubo. Gli sportelli sono aperti solo il mercoledì e se quel giorno a un tecnico viene un raffreddore si buttano via quindici giorni. Per snellire le pratiche non c’è né SCIA immediata (qualora legittima e applicabile cosa che non sembra, se la Regione non chiarisce la norma) né DIA a trenta giorni che tenga, se poi per il permesso a installare un ponteggio occorrono sei mesi. Le persone in fila il mercoledì nei ristretti corridoi dei piani bassi non sono agenti di Fondi o di Banche ma per il 90% semplici operatori che si occupano della manutenzione degli immobili della città attuando modeste opere di riqualificazione o piccole opere di modifica. Per l’altro 10% dei progetti prestigiosi è agevole ottenere un appuntamento altrove nei piani alti, senza file. I lavori edilizi sull’esistente sono il grosso del tessuto operativo non speculativo che interessa alle famiglie e che muovono i tecnici addetti e le imprese diffuse. Tutte le amministrazioni che si succedono promettono di ridurre i tempi e di semplificare le procedure burocratiche. Invano. E nella confusione i furbetti crescono. Si dice: “Mele marce, il cesto è sano”. Ci credete?
Il problema è serio e delicato. Gli utenti non sono un fastidio e vanno accolti con rispetto e spirito di servizio senza retroaspettative. Per superare questa condizione di arretratezza etica e di poca trasparenza in generale di tutta la pubblica amministrazione è necessario mettere in grado gli uffici di operare in una condizione idonea: più personale e meglio remunerato, spazi e mezzi, maggior produttività con più riconoscimenti alla dignità del lavoratore e al benedetto “merito”. Così, anche con meno arretrati, si aiuta la crescita economica. Soprattutto occorre attuare profonde riorganizzazioni interne purché non siano attuate con metodi e livelli autoreferenziali cioè confezionati a misura dell’interesse dei dipendenti stessi ma che siano efficaci a risolvere i problemi dei cittadini. Troppe dirigenze micro settoriali costituiscono nicchie che faticano a comunicare. Si aggiunga peraltro il fatto che di per sé gli uffici pubblici in verticale, comunali o regionali, non sono funzionali, non sono una Company. Purtroppo il tentativo di introdurre nuovi modelli di metodologia dell’organizzazione del lavoro ha sempre perso contro la conservazione burocratica verso la quale la politica ammicca.
Ottimizzare le procedure e l’assetto della macchina significa altresì intervenire sulla verifica delle infiltrazioni illecite, una fenomenologia purtroppo presente nel vasto settore edilizio, costituendo un valido deterrente laddove si presuppone che oltre alla correttezza professionale privata a maggior ragione concorra il controllo pubblico che oggi in verità troppo leggermente si chiama fuori da esami sostanziali delle documentazioni che certificano l’idoneità dei soggetti operanti a vario titolo nel campo immobiliare, interagendo con altre organi a ciò preposti anche fiscali. Si mente affermando che a Milano non c’è una questione morale.
Inoltre, sarà certo prioritario il PGT ma con il nuovo strumento è necessario affrontare da subito il problema inevitabile della preparazione e del rinnovamento del personale compresa la dirigenza e superare una evidente dicotomia perché non saranno “i consulenti esperti” a gestire l’ordinario agli sportelli. E non nel senso della formazione di un esercito di esegeti del “combinato disposto” ma di generare una cultura del governo del territorio. Teoria e prassi devono sostanziarsi in una logica consequenziale. È emblematico un pezzo scritto da un dirigente a febbraio 2011 sul Sussidiario, quotidiano on line di CL, in cui questi allora tesseva l’elogio del PGT e che poi ha firmato la successiva delibera di revoca. Qualcosa non ha funzionato.
Ciò premesso, si riafferma che l’amministrazione comunale ha di fronte un impegno gravoso per elaborare le modifiche al PGT sia sul piano normativo che su quello della gestione interna nonché per la semplificazione e la trasparenza del rapporto con i cittadini. Il Sindaco e i Consiglieri eletti nelle file della coalizione di governo che ha vinto le elezioni, sono impegnati nelle proprie aule a perseguire con coerenza il programma proposto così come i nominati in Giunta stanno lavorando con convinzione, e devono raddoppiare gli sforzi, per proporre un progetto coinvolgente, maturare soluzioni adeguate e responsabili, ascoltare la città e recepire i suggerimenti, applicare e far rispettare a tutti le regole.
Nell’affrontare il tema PGT, come evidente, si è obbligati a schematizzare le considerazioni con rischi di esposizioni imperfette in quanto, se da una parte nei dibattiti pubblici è concessa la parola al massimo per cinque minuti, dall’altra anche quando si usa la penna incombono limiti di spazio ed è complicato coniugare tesi, antitesi e sintesi. Sono quindi fisiologiche le soggettive integrazioni. Piace comunque ricordare che: “Ciò che ancor oggi impedisce il formarsi di città strutturalmente moderne è il contrasto tra una tendenza conservatrice, che vede il problema in termini di quantità e propone (e attua) soluzioni di compromesso, e una tendenza riformatrice, che vede il problema in termini di struttura e propone soluzioni rigorose. La tendenza riformatrice è quella degli urbanisti, la conservatrice è quella dei governanti, quasi sempre legati agli interessi della speculazione sul suolo e sugli immobili urbani. La storia dell’urbanistica è dunque la storia del conflitto tra una scienza rivolta all’interesse della comunità e la coalizione degli interessi e dei privilegi privati; una storia di programmi rimasti inattuali e di interventi parziali. Ancora oggi si chiede agli urbanisti di proporre e progettare, ma il potere decisionale rimane ai politici e ai burocrati.” (Giulio Carlo Argan, L’arte moderna, Rcs, 1990).

Emilio Vimercati



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