8 febbraio 2012

I 50 ANNI DEL NUOVO CANZONIERE ITALIANO


50 anni! In questi cinquanta anni passati ci ho pensato spesso, a quella sera del febbraio 1962 alla Casa della Cultura di Milano, proprio in centro. Non conoscevo nessuno, solo Roberto Leydi che mi aveva detto “Venite su (con Maria Teresa Bulciolu), così vi faccio conoscere gli altri e la Daffini”, e siamo andate.
Era un pubblico raffinato, si sentiva subito che non era un pubblico di musicisti, quello a cui ero abituata, parlavano con Roberto e lui me li presentava a uno a uno: Gianni Bosio, il capo, direttore delle Edizioni Avant!; Michele Straniero, che lavorava anche lui alle Edizioni, Tullio Savi, Dante Bellamio, Cesare Bermani lo storico, e loro mi salutavano e poi continuavano a parlare con altri e capivo solo che parlavano di cose come politica, storia, società, non ne sapevo niente, Franco Coggiola non me l’hanno fatto conoscere o non c’era.
Poi arrivano tre ragazzetti o ragazzotti, non so, Ivan Della Mea si grattava continuamente la testa mentre parlava presentando le sue canzoni, era bello e goffo, sembrava curvo per un qualche strano male che sapeva solo lui, e i due fratelli Ciarchi, Paolo suonava la chitarra con molta destrezza, Alberto sembrava Groucho Marx e suonava la chitarra come se fosse un basso, solo sui bassi, e poi mi sono accorta che gli mancavano due corde alte, il si e il mi. Le canzoni di Ivan mi piacquero subito. Con Maria Teresa cantammo tre o quattro pezzi, due piemontesi della raccolta del Munire, una specie di Nigra francese, che fino allora era stato la mia bibbia, e Addio addio amore che avevo preparato per l’occasione (non oso dire inventato perché non ricordo più come fu, certo il testo circolava già nei canti abruzzesi, la musica no) mi colpì molto che il dibattito a seguito dei nostri canti fosse imperniato solo sulla politica e non sulla musica, mentre mi era sembrato che i canti di Della Mea fossero decisamente dei bei pezzi di musica.
Ecco. Poi vennero le riunioni, una alla cascina del Micio a Piadena, dove si sentivano muggire le vacche e la Genia che chiamava il fratello del Micio che andasse ad accudirle, erano le due di notte. E lì conobbi il Morandi e Micio e Sergio che parlavano solo dialetto. Era tutta gente simpatica e avevano l’aria di essere disponibili a tutta una parte di vita, mettendoci la loro, che io non avevo nemmeno pensato che esistesse. Le canzoni, sì, ma per parlare e testimoniare le condizioni delle classi più povere; il lavoro editoriale sì, ma per pubblicare gli atti del Movimento Operaio. Incominciai a interessarmi a quest’altro aspetto di funzionalità della musica, nuovo.
Poi comparve Luciano Della Mea e le discussioni divennero ancora più puntute, e Rudi Assuntino che veniva da Bologna poneva problemi difficili per me da considerare problemi tanto erano lontani dalla mia vita tipo: “Con quale linguaggio dobbiamo avvicinare la gente, una lingua nazional-popolare o i dialetti e le metafore e i paragoni, forme letterarie scafate che la gente non può afferrare? Non tutta?”. Poi a una riunione comparve Bertelli, e dichiarò “ogni volta che la polizia ci ammazza un compagno dobbiamo cantarlo questo fatto, dev’essere una memoria continua” e Michele che interloquiva “No, ogni volta che la polizia ci ammazza un compagno dobbiamo cantare Donna Lombarda”, interessantissimo, discorsi veramente di alto livello.
E i Piadena, la lega di cultura di Piadena, che già aveva filmato la morte del cavallo? Era un mondo nuovo pieno di promesse. Quando andammo a fare il Bella Ciao al Caio Melisso per il Festival di Spoleto era sicuro che sarebbe scoppiata la grana, quei canti non potevano passare senza feriti, persino mia madre e mia zia, estremamente ben disposte al nostro lavoro mi dissero “Eh, però gli ufficiali morti nella grande guerra non li dovevate toccare, quelli in guerra ci sono andati!” che confusione.
E poi le cantate, tante tantissime, la gara Nuovo Canzoniere contro la Linea Verde organizzata dalla FGCI di Reggio Emilia, dove erano tutti amici nostri e si erano arrampicati pure sugli alberi per garantirci un successo di pubblico travolgente e così fu, assolutamente immeritato perché cantavamo senza un’amplificazione credibile, piuttosto dei barattoli con un filo e un buco dentro, contro un gruppo decisamente ben preparato e organizzato, non vorrei dire ma mi pare fossero proprio gli Area. Comunque fu un nostro grande successo grazie soprattutto alla Daffini e al professore (suo marito) che l’accompagnava sul violino. Lei ha cacciato una voce da spaccare i timpani e i compagni infiltrati dappertutto l’hanno coperta di applausi, grida di apprezzamento, e con I morti di Reggio Emilia la piazza fu nostra, avevamo vinto.
Bisogna dire che i nostri avversari avevano proprio sbagliato il modo di presentarsi: arrivarono con grosse macchine e questo a un pubblico proletario lo colpisce ma lo allontana pure e poi dissero in linguaggio giovanile un po’ forzato “abbiamo appena inciso il nostro ultimo padelline” indicando il loro LP, questo ha sollevato un coro di risate, fischi e scherno, noi eravamo arrivati a piedi con le chitarre sulle spalle e avevamo solo quelle, niente batteria, niente tastiere, niente elettricità, e la cosa fu presa per quello che era: una dimostrazione di povertà ma anche d’ingegno perché le canzoni erano belle. E questo il pubblico lo capiva, e a Contessa di Pietrangeli ci fu un vero scoppio di voci che cantarono con noi. Bellissimo. Vittoria immeritata ma elettrizzante, tanto che Bosio disse: su questo dobbiamo puntare, la povertà dei mezzi contro la bellezza e l’intelligenza e il valore storico dei nostri canti..
E questo continuo a ricordarmelo. Perché poi tutto cambiò, naturalmente la televisione ci si mise d’impegno, le canzoni disimpegnate vinsero alla lunga appoggiate e foraggiate dal mercato. Noi rimanemmo proprio tagliati fuori, da qui il progetto di Gianni Bosio che in realtà poi fu attuato da De Gregori senza che lui lo immaginasse quando mi chiese di fare un disco di nostre canzoni ma cantato da lui e me. E lui si presentava chiaramente come nome che attirasse il grande pubblico e facesse passare queste nostre canzoni storiche così belle. Così è stato. Bosio l’aveva pensato e aveva incominciato ad affidare ad Anna Identici il nostro repertorio, che lei lo cantasse e lo facesse conoscere al grande pubblico, noi cantori ci rimanemmo male, ma l’idea era giusta, bisognava però controllare la fattura dei libretti dei dischi che dovevano assolutamente riportare tutte le notizie sui canti e i nomi dei cantori che ce li avevano cantati e le situazioni in cui quei canti erano nati.
Questo Gianni l’ avrebbe senz’altro fatto e inserito proprio nel contratto, purtroppo lui morì, era il 1971, e il progetto non venne mai curato finché appunto nel 2002 De Gregari ignaro di tutto propose esattamente la stessa cosa decidendo di cantarli lui, con me, perché ero quella più vicina alla sua sfera avendo vissuto tutti e due nel Folk Studio di Roma di Gian Carlo Cesaroni la grande avventura della rinascita del folklore e della cosiddetta scuola romana della canzone.
Dopo questi anni seguì un lento rifluire a curare ognuno la propria attività di cantore scrittore architetto, ognuno nel suo campo tornò e chi faceva il musicista come me continuò a farlo, nacque a Roma la Scuola di Testaccio, con tutto il lavoro che ne conseguì, ma le cantate continuavano qua e là, non eravamo più tutti insieme, il NCI come ai primi tempi, ma portavamo una nostra esperienza che ognuno faceva confluire in spettacoli collettivi dove ci si ritrovava tutti ed erano bellissimi momenti, come per La nave dei folli e di Ivan Della Mea altri simili.
Ora Ivan è morto, e così Michele Straniero e così Franco Coggiola il nostro grande ricercatore insieme a Cesare Bermani lo storico del gruppo che per fortuna è vivo, Caterina Bueno anche se n’è andata, ma la richiesta di vederci ancora insieme si sente, latente ma si sente, anzi è ricominciata a venire, debolmente ma portandoci per pubblico tanti giovani mai visti e tanti vecchi che erano scomparsi. Come se la storia nei suoi contorcimenti e nelle sue anse avesse trovato posto proprio per noi, in modo stabile e ciclico. Così, come se fosse naturale, nella cascina vuota del Micio dove le vacche grazie alle quote latte, sono sparite, e nella pianura non si sentono più i muggiti e l’odore tipico dello sterco di vacca che a me piaceva tanto, la Lega di Cultura di Piadena si riunisce e lo dice agli amici: ne vengono prima un’ottantina, poi un centinaio, dopo qualche anno si arriva fino a 2000. Che succede?
Dal 1991 insegnavo a Parigi all’8° Università, a Saint-Denis, e raccontavo le nostre vicende e insegnavo i nostri canti, ora vengono gruppi francesi e li cantano proprio lì, a Piadena, e vengono cori spagnoli e portoghesi, tutto canto politico, tanto materiale che l’Istituto Ernesto De Martino ha sempre continuato a pubblicare stampando i dischi, in forma antologica, in forma monografica, tutto il materiale raccolto e le canzoni nuove, e sembra essere un interesse grande e una sorta di fame dei giovani per questo materiale. A Piadena ci si incontra ormai in tanti, uniti dallo stesso repertorio canoro, che si amplifica dopo ogni incontro, con canti anche francesi, spagnoli, portoghesi, e poi arrivano gli stranieri, Costa d’Avorio, Bangladesh, e si cresce ci si allarga.
Il Micio e la Lega di Cultura di Piadena sono lì a ospitare gente a dare da mangiare a tutti partecipa gente del luogo per aiutare, tutti gratuitamente, a costruire capannoni per ospitare folle di gente che canta tutta la sera e la notte mangiando e bevendo, una sorpresa per tutti, ci si guarda stralunati: ma che vuol dire questo? Ormai sembra un movimento politico fuori dai partiti, sembra un naturale seguito storico dell’inizio di quella serata di febbraio 1962 alla Casa della Cultura di Milano. Ora si uniscono al NCI il gruppo Gianni Bosio di Roma che porta cantori, materiale, pubblicazioni di musica e sociologia, e viene di nuovo richiesto lo spettacolo di canzoni fatto da tutti i vecchi, con Amodei in testa che canta le sue bellissime canzoni intelligenti e didascaliche.
Non è una rinascita, è un ricontino, la cenere degli anni ottanta e degli ultimi governi invece di spegnere ha mantenuto accesa la brace, e ora, potremmo dire, si riparte.

Giovanna Marini



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