31 gennaio 2012

IL NUOVO PGT E LA QUESTIONE DEL “LAVORO” /1


Concordo con le linee politiche e programma-tiche del PGT (Piano di Governo del Territo-rio) contenute nel rivisitato strumento predis-posto dalla Giunta Municipale che peraltro si è impegnata in un corposo progetto di confronto e partecipazione al fine di recepire ulteriori indicazioni provenienti dalla società milanese. Le condivido soprattutto laddove Milano rinuncia a una sua presuntuosa autosufficienza e allarga i suoi rapporti oltre i propri confini in uno scenario che include il comprensorio provinciale, consapevole che si potranno migliorare e compenetrare le nostre periferie nella misura in cui si interiorizza la convinzione della necessità di attuare piani intercomunali condivisi. Ma c’è un obbiettivo dal quale non si può prescindere e che nel PGT annunciato va ancor di più reso esplicito ed evidenziato come prioritario.

Il tema è la questione del lavoro. Milano e la sua amministrazione devono agire di più in questo settore assumendo la questione come vocazione e prospettiva di governo, guardando oltre i prossimi cinque anni di governo e conferendo a essa l’assoluta priorità. Oggi siamo alle prese con una situazione economica di cui dalla gente non è del tutta percepita la gravità. Per il lavoro accade un po’ come per la salute, si avverte la serietà del caso quando si è personalmente colpiti, con il malato o il disoccupato in casa. La crisi è profonda e graverà pesantemente sulle condizioni di vita di tutti determinando cambiamenti nei comportamenti e nei rapporti sociali ed economici, modificando le abitudini e lo stile di vita. In questa critica fase di congiuntura economica si impone quindi maggiore responsabilità nell’agire politico e di conseguenza per invertire la tendenza occorrono con coraggio urgenti azioni concrete.

In questo senso il PGT può contribuire a determinare un apporto importante ed è quindi opportuno che favorisca un maggior riconoscimento della questione lavoro lanciando un forte segnale alla città di grande apertura per il mantenimento e la crescita delle attività imprenditoriali pubbliche e private nel contesto di scelte sostenibili con il territorio in primo luogo senza il consumo di suolo bene scarso e non riproducibile. È una questione politica rilevante, anche sotto l’aspetto della fiducia nella crescita, cercare di far intendere che su questo impegno l’amministrazione c’è e intende salvaguardare il lavoro, l’occupazione, il destino delle famiglie, dei giovani e delle donne.

In particolare dopo la dismissione delle produzioni manifatturiere impostate sul modello fordista c’è stato un ritardo nel riconoscere i processi socio economici che spontaneamente e a pioggia si sono riprodotti in città e pertanto occorre ricostruire lo spazio delle idee per condurle a sistema, potenziare e sviluppare sia il settore manifatturiero che le moderne produzioni riguardanti beni e servizi, economia della conoscenza e del sapere, il design e la moda, finanza, cultura, turismo e affari, non dimenticando le attività artigianali e commerciali il cui servizio di prossimità è essenziale per il loro ruolo rilevante di cucitura sociale.

Il PGT rappresenta una opportunità per la competitività e l’innovazione in un mercato nel quale si riconosca al lavoro un fondamento adeguato come fattore di risposta alla crisi, altrimenti di cosa stiamo parlando. Di immaginari numeri di residenti o di argomenti seri? Ma il lavoro non basta. Per vivere e sopravvivere occorre il rispetto della natura. “Si presta poca attenzione ai limiti che la natura pone allo sviluppo. Vi sono evidenze drammatiche sui rischi che l’ecosistema sta correndo, per il solo effetto di uno sviluppo economico che è ancora limitato a una parte del pianeta.”.(Thomas L.Friedman, Caldo, piatto e affollato, Mondadori, 2009).

È evidente che il territorio in questi ultimi vent’anni si è sviluppato a Milano caso per caso, area per area, avvallando operazioni immobiliari fondate solo sulla massima remunerazione degli interventi fuori da un impianto urbanistico concertato: valgano come brucianti esempi le trasformazioni delle aree industriali dismesse avvenute senza un disegno organico, la città riempita di edifici terziari rimasti vuoti, per tacere di pessime espansioni chiacchierate come il complesso ospedaliero mezzo condonato del San Raffaele (a proposito: l’ufficio condono è sempre affollato); questo è stato uno sviluppo disordinato spinto da leggi deregulation che hanno sostituito la pianificazione con atti dovuti autorizzando in pratica i singoli progetti a priori.

Occorre che le redini programmatiche degli interventi tornino in mano alla regia pubblica, sicuramente con una normativa meno vincolistica ma capace di respingere le sirene incantatrici che prefigurano quartieri da favole (appunto) e con l’obiettivo di guidare l’insieme dello sviluppo, non avendo solo come bussola la rendita fondiaria, azione privilegiata dalla vecchia Giunta. Quante feste e inaugurazioni si sono tenute a Santa Giulia? Quante paginate di mera propaganda? È questo il punto. Sviluppo in una città antropizzata non significa intensificare il ciclo del mattone massimizzando le potenzialità edificatorie, come era evidente nel precedente PGT adottato; così si accontenta una parte degli attori, quella già grassa di suo. Se così fosse che paesaggio urbano avrà di fronte agli occhi la gente tra vent’anni e come sarà definito: “Ecco la Milano di Pisapia”?

Il PGT modificato ha un senso se fa proprio il concetto di uno sviluppo inteso a favorire la sostenibilità sociale e ambientale. La sovrabbondanza di offerta, l’invenduto, gli edifici vuoti, inducano a sobrietà: si abbassino gli indici edificatori e si approvino buoni e normali progetti senza che l’edilizia sociale sia un alibi per allargarsi. Di più. La liberalizzazione delle destinazioni funzionali (purché fra loro compatibili) crea una concorrenza di mercato in cui soccombe l’uso del suolo meno redditizio e cioè in genere quello non dedicato alla libera residenza di lusso. Per rilanciare lo sviluppo occorre che si riservi al produttivo un proprio spazio d’azione anche con regole agevolate mirate allo scopo di attrarre investimenti e lavoro con l’obbiettivo di un programma inteso a marcare la priorità della crescita economica contro la crisi e la recessione.

Purtroppo in questo senso non aiuta la legge regionale n. 12 del 2005, i cui articoli hanno già subito quasi 200 modifiche secondo spinte di bassa lega, una legge di procedure, complessa, omnibus, ipertrofica, che necessita di una decisa sforbiciata per essere più dedicata ai temi della qualità delle nuove questioni urbane. Una legge a cui TAR, Consiglio di Stato e Corte Costituzionale ogni tanto tagliano un pezzo. Una legge che risente della mancanza di una efficace e moderna cornice nazionale di coordinamento (ancora datata 1942!). Una legge che con l’introduzione dei PGT doveva snellire i PRG, solo che prima il PRG ci stava in tasca ora per il PGT ci vuole il carrello. Una legge che doveva semplificare le norme ma che i cittadini non riescono a comprendere senza ricorrere a un consulente giuridico: “Vigilantibus non dormientibus iura succurrunt”. La legislazione regionale del PGT e dei suoi corollari comporta una dimensione gigantesca dello strumento.

Si impone la necessità di conseguire una stesura più semplice e snella magari lasciando fuori le ricerche di dettaglio. Occorre agire nel senso di privilegiare più che mai in questo momento la questione lavoro e la questione ambiente convincendoci che sono questi sono i temi prioritari sui quali concentrarsi più che su programmi che non hanno risorse a supporto. Plastici, rendering e slides di fantastici e avveniristici colorati scenari per ora lasciamoli ai convegni e alla spettacolarizzazione mercantile, vedasi le cartoline illustrate dei vari Garibaldi / Repubblica, Citylife, Cascina Merlata ed Expo.

Lavoro, occupazione, economia, mercato, disagio sociale, non hanno in agenda T rovesciate ed Epicentri, NIL, Rotonde dell’arte e Raggi Verdi, più che utili scenari ma che possono, devono, essere svincolati dal PGT ed eventualmente accompagnare lo strumento anche come allegati senza diventare condizionanti come le vecchie B2 ed i suoi PIO, quando redatti. Semplicemente per riprendere slancio nei prossimi anni ora c’è bisogno di un progetto urbanistico liberato da anacronistiche catene che consenta alle relazioni economiche e sociali di tradurre le dinamiche di sviluppo del mercato in potenzialità reali per creare lavoro.

 

Emilio Vimercati

 



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