24 gennaio 2012

LA “LIBERALIZZAZIONE” DEL GENERE


“La Giunta regionale lombarda non rispetta la normativa europea, nazionale e locale” è quello che ha affermato due settimane fa il Consiglio di Stato che ha indirizzato l'”invito” chiaro e inequivocabile al Presidente della Regione Lombardia. Il tema dunque prima ancora che il riequilibrio di genere è la legali-tà.

Il tutto è partito da una causa avviata due anni fa al T.A.R. Lombardia quando, a segui-to della tornata elettorale, venne formata una Giunta regionale composta da quindici uomini e da una sola donna in contrasto con la normativa europea e nazionale e in verità in contrasto anche con lo Statuto del 2008 della Regione Lombardia, che all’art. 11 dispone il “riequilibrio di genere” negli organi di governo dell’ente e che tanto ebbe a essere pubblicizzato in una vera e propria campagna di marketing, come uno Statuto all’avanguardia poiché, unico caso in Italia tra gli statuti di nuova generazione, indicava l’obiettivo della democrazia paritaria.

L’obiettivo è meglio noto come “50e50 ovunque si decide” per la formazione di squadre miste composte da donne e uomini in pari misura e grado, secondo la denominazione diffusa nel 2007 dalla campagna nazionale dell’UDI, Unione Donne in Italia, che promosse l’omonimo progetto di legge di iniziativa popolare condiviso con molte associazioni e istituzioni milanesi. E fu grazie a esse che lo Statuto regionale, in quel momento in fase di elaborazione, fu integrato con una normativa che rese sotto questo aspetto, la Lombardia la punta di diamante delle indicazioni espresse da tempo dalla direttive e raccomandazioni della Unione Europea e dalla normativa nazionale in tema di parità di trattamento tra donne e uomini.

Se non che all’atto della sua prima applicazione dopo la tornata elettorale della primavera del 2010, lo Statuto che il “legislatore regionale” aveva varato due anni prima fu sconfessato e violato dalla medesima maggioranza che l’aveva approvato. Da qui la causa al TAR Lombardia che, con una sentenza molto criticata, interpretò le norme statutarie, nazionali ed europee come semplici esortazioni e quindi non vincolanti. Da qui la prosecuzione del giudizio al Consiglio di Stato che due settimane fa, in una udienza preliminare e non ancora dibattimentale, ha voluto entrare nel merito e lanciare un messaggio molto chiaro al Presidente della Regione: meglio un rimpasto e la sostituzione di alcuni assessori che la defenestrazione di tutta la Giunta entro il prossimo 17 aprile.

Il Presidente della Regione ha colto l’aut-aut e ha raccolto l’invito per il ripristino della legalità e mentre noi avvocati condividiamo il successo della iniziativa giudiziaria con le associazioni e le donne milanesi che abbiamo assistito in questi anni davanti al TAR e al Consiglio di Stato, viene spontaneo fare almeno tre considerazioni.

La prima è che il tema, la parità di opportunità tra donne e uomini e il dibattito tra i favorevoli a norme e sanzioni che le garantiscano e coloro i quali invece sono favorevoli a prassi che le introducano spontaneamente, ha messo in ombra il fatto che comunque, al di là del dibattito in corso, vi sono già delle norme vigenti e cioè delle regole da rispettare e attuare.

La seconda è che di fronte a questo tema, che costituisce un diritto della persona e un dovere della istituzione, il comportamento istituzionale ha mostrato il tratto della illegalità che a mio avviso evidenzia una duplice responsabilità poiché se il Presidente della Regione l’ha ratificata con nomine così squilibrate nel rapporto di genere è anche vero che a proporle sono stati i partiti della maggioranza di governo.

E forse, con un linguaggio che in questo periodo è divenuto purtroppo attuale, si potrebbe anche dire che si è trattato di un comportamento istituzionale che ha avuto il tratto del privilegio di casta, del monopolio di una posizione dominante su un’altra e che in questo caso la decisione del Consiglio di Stato ha introdotto le liberalizzazioni anche nella sfera politica, favorendo la concorrenza e riducendo lo spread tra la legge e la società civile.

 

Ileana Alesso



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