17 gennaio 2012

PENSIERINO SPECIFICO SULLA VENDITA DI UNA QUOTA DI SEA


Iniziamo con una serie di fatti incontrovertibili: 1. Il comune di Milano aveva assoluto bisogno di fare cassa. 2. F2i è una finanziaria semi-pubblica e molto credibile. 3. L’offerta indiana era una bufala assoluta, quindi c’è stato di fatto un solo offerente. 4. Questo offerente era emerso come candidato più verosimile da prima dell’emissione del bando di vendita.

Le questioni aperte dalla vicenda sono molte. Accenniamo solo di sfuggita ad alcune, già qui sollevate: alcune perplessità sulle società miste (forse è meglio che il privato faccia il privato e il pubblico il pubblico), la debolezza della regolazione pubblica a difesa degli utenti (un monopolio naturale dovrebbe fare profitti solo in casi particolari, manca un regolatore indipendente per il settore, e, meraviglia delle meraviglie, SEA sembra fare profitti anche in anni di crisi), e infine l’ipotesi, che non risulta verificata dal Comune, che una vendita separata di Malpensa, Linate e la quota di Bergamo-Orio possa maggiormente favorire i milanesi grazie alla concorrenza, e/o rendere altrettanto o di più alle casse comunali.

La questione di base è: perché quel prezzo richiesto ha interessato un solo investitore? La risposta ovvia è: perché per tutti gli altri era troppo alto. Allora, perché solo per F2i non lo era? Si possono fare alcune ipotesi. Scarterei quella del “buon cuore”, cioè che F2i volesse fare un favore al comune di Milano, a costo di rimetterci. F2i ha il dovere di far fruttare al meglio i propri capitali. Ma allora l’unica spiegazione è che l’acquirente ritenga di poterci guadagnare di più dei suoi competitori, e che la cosa sia così certa ed evidente che i competitori non si sono nemmeno presentati. Questo può certo avvenire per ragioni di un particolare know-how tecnologico o gestionale, ma a parte l’aeroporto di Napoli acquisito da pochi anni, non risulta una particolare esperienza di F2i nel settore. Almeno non superiore rispetto a quella dei potenziali concorrenti (numerosi davvero).

Oppure può discendere da qualche intesa con il comune di Milano che altri non hanno potuto conseguire (si veda la posizione favorita di F2i da prima del bando). Ma queste intese non sono state rese note ai milanesi, i proprietari di SEA. E questo già non va tanto bene. Di che natura possono essere tali intese si può solo congetturare. Un breve elenco:

* Una estensione futura delle quote a esclusivo beneficio dell’acquirente, senza gare o simili impicci (che tuttavia forse gioverebbero ai milanesi)

* La garanzia di una forte difesa del comune contro azioni di una futura autorità indipendente che ne potesse ridurre i profitti (c’è infatti ancora una “zona oscura” sul valore stimato per SEA, dipendente dai futuri livelli consentiti alle tariffe aeroportuali)

* La garanzia di non separazione proprietaria tra Linate, Malpensa e Bergamo (cioè di non ridurre il grado di monopolio del sistema)

* Una delega di fatto nella gestione, superiore al peso delle quote acquistate, in particolare per quanto concerne l’occupazione.

* Investimenti pubblici per migliorare l’accessibilità, spesso fattore rilevante per la competitività aeroportuale.

Alcune di queste cose possono anche essere condivise. Soprattutto se si trattasse di un’estensione della privatizzazione, perché l’efficienza degli aereoporti risulta dalle esperienze estere tanto maggiore quanto maggiore è la quota privata della proprietà. Altre avrebbero potuto essere state estese a una pluralità di potenziali acquirenti.

Ma problema politico, di prima grandezza, è che ai proprietari, i milanesi, non è stato dato sapere i motivi del fatto che c’è stato un solo offerente, che non sembra essere un istituto di beneficenza. Si sa solo che la definizione del bando è stata eccezionalmente controversa, con una seduta del consiglio comunale durata 27 ore.

 

Marco Ponti



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