17 gennaio 2012

cinema



 

J. EDGAR

di Clint Eastwood [Usa, 2011, 137′]

con: Leonardo Di Caprio, Armie Hammer, Naomi Watts, Ed Westwick, Jeffrey Donovan, Judi Dench

 «Qualche volta occorre piegare un po’ le regole per garantire la sicurezza del paese», dice John Edgar Hoover (Leonardo Di Caprio), direttore del Bureau of Investigation per quasi cinquantanni anni (dal ’24 al ’72). J. Edgar detta le memorie per lasciare la sua gloria ai posteri, e la storia di Clint Eastwood e dello sceneggiatore Dustin Lance Black in J. Edgar [Usa, 2011, 137′] affiora per mezzo di flashback che ripercorrono l’anima degli Stati Uniti d’America.

La vita di Hoover corre parallela a quella della sua nazione, lui – J. Edgar – lavora per proteggere gli Stati Uniti dalla minaccia comunista; scava in ogni angolo per smascherare i bolscevichi e i radicali, per amor di patria vuole «illustrare la differenza tra l’infame e l’eroe». Per farlo, non importa quali misure serve adottare, spingendosi spesso ai limiti del complotto.

Eastwood posa lo sguardo al confine tra vita pubblica e quella privata del direttore dell’FBI: spazi apparentemente lontani che in realtà convergono avendo la paura a denominatore comune. L’angoscia di un’America contaminata dalle idee “rosse” ricalca il panico di perdere il proprio potere personale, la lotta contro i pericoli politici abbraccia la ribellione a se stesso, negandosi il desiderio omosessuale per Clyde Tolson (Armie Hammer). Il suo ruolo “politico” all’interno del Bureau diventa ossessione di potere: è imperativo, per lui, indagare sui segreti degli altri. Come Narciso, J. Edgar è portato ad amare soltanto la sua persona ma, al contrario del mito, quando osserva la sua immagine riflessa si vede piccolo; ma non lo accetta. Per questo nasconde i suoi segreti e va a caccia di quelli degli altri, come se volesse nascondere pure a se stesso l’infelicità di una vita costruita sull’illusione di essere grande.

Pubblico e privato, allora, sono come quegli opposti che si attraggono: «la fama fuori controllo – fanno notare a Edgar – conduce all’infamia». Ha paura Hoover. Teme la caducità del suo corpo che invecchia. Ma il suo corpo, fino a ora, è stato incarnazione vigorosa del corpo della nazione, quindi non può permettersi di tradirlo. Con la medicina tenta di ridare forza a un fisico ormai specchio di un’anima piccola. Morta la madre dispotica (Judi Dench), gli rimane nemmeno la stretta cerchia di fiducia creata durante la sua carriera.

J. Edgar avrebbe voluto lasciare la sua gloria ai posteri, ma dell’uomo rimangono solamente interpretazioni contrapposte. Eastwood, vecchietto sempre più giovane, non ha paura di invecchiare e di raccontare le sue di interpretazioni; lo fa anche questa volta, senza pretese di grandezza, lasciando ai posteri un altro pezzo di cinema.

Paolo Schipani

In sala: Anteo SpazioCinema, Apollo SpazioCinema, Arcobaleno, Colosseo, Ducale, Eliseo, Gloria Multisala, The Space Cinema Odeon, Uci Cinemas Bicocca, Uci Cinemas Certosa

 

 

THE ARTIST

di Michel Hazanavicius [Francia, 2011, 100′]

con Jean Dujardin, Bérénice Bejo, John Goodman, James Cromwell, Penelope Ann Miller

George Valentin (Jean Dujardin) è un attore, un’autentica stella del cinema muto, l’artista. La sua vita è stare davanti a una macchina da presa, il suo ossigeno sono gli applausi ripetuti e fragorosi di un pubblico che lo adora. L’incontro fortuito con Peppy Miller (Bérénice Bejo) assume i connotati del più spietato ma romantico passaggio di testimone. Possiamo immaginare i due in un ipotetico grattacielo del successo, l’ascensore dell’aspirante attrice la sta portando in cima mentre quello del grande attore, adulato da tutti, è ormai in caduta libera e sembra non volersi mai fermare.

È il progresso a spingerlo sempre più in basso. Il cinema della fine degli anni ’20 è muto, vive perciò dell’espressività degli interpreti, è legato indissolubilmente alla capacità dei suoi protagonisti di trasmettere al pubblico l’anima del film. George Valentin non è in grado di snaturarsi e affrontare la rivoluzione. L’avvento della voce non può perciò che renderlo obsoleto. Quando pronuncia goffamente “with pleasure”, sua prima e unica battuta, il divertimento e lo stupore lasciano rapidamente spazio alla convinzione che l’orgoglio e l’ostinazione dell’artista a difesa della sua natura sono più che giustificate.

Michael Hazanavicius con The Artist compie con successo l’azzardo più imprevedibile, dà vita a un omaggio del cinema muto dopo quasi un secolo dalla sua apparizione. Riesce a riportare lo spettatore moderno, ormai abituato alle più avanzate tecnologie in campo cinematografico, a rivivere le emozioni di un cinema apparentemente semplice ma molto espressivo e tanto apprezzato.

Marco Santarpia

In sala a Milano: Apollo

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Schipani e Marco Santarpia

rubriche@rcipelagomilano.org



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