23 dicembre 2011
RICORDI DI UN ANNO DI CINEMA
“La televisione crea l’oblio, il cinema ha sempre creato dei ricordi” ha detto Jean-Luc Godard. Non possiamo che condividere l’affermazione del regista francese. Alcune pellicole lasciano un segno indelebile nella nostra memoria. Le loro sequenze, le inquadrature, i dialoghi che ci trasmettono un’emozione vanno a comporre un libro immaginario che noi possiamo idealmente sfogliare ritrovando il cinema che ci è rimasto dentro. In queste righe condivideremo quindi tutti i momenti di cinema che sono scalfiti nella pagina di questo 2011.
Ricordo…
L’impeto dell’onda che tutto distrugge, violenta e inesorabile, mentre in sala danziamo con eleganza sulla sottile linea tra vita è morte [Hereafter, Clint Eastwood].
Il grido di Bertie: «Io ho una voce!». [Il discorso del Re, Tom Hooper]
La strada di Uxbal; la sofferenza. [Biutiful, Alejandro González Iñárritu]
Gianni e la sua vita “agrodolce”, deliziosa come una commedia all’italiana. [Gianni e le donne, Gianni Di Gregorio]
La cavalcata di Rooster “Il Grinta” Cogburn. [Il Grinta, Ethan e Joel Coen]
Micky sussurrare al fratello Dicky «sei il mio eroe». [The Fighter, David O. Russell]
I silenzi e gli sguardi tra Tiziano e il figlio Folco. [La fine è il mio inizio, Jo Baier]
La natura. La sinfonia. L’abbandono. [The Tree of Life, Terrence Malick]
La maschera di Michael Gordon Peterson, mentre recita sul palco della vita. [Bronson, Nicolas Winding Refn]
Le “mani in alto” dei bimbi, attoniti davanti alla bassezza dei grandi. [Tutti per uno, Romain Goupil]
Nonno Ernesto: «Io cristiani a mare unn’aiu lassati mai». [Terraferma, Emanuele Crialese]
L’opinione di Freud: «Accettare il mondo per com’è è la via per la sanità mentale, altrimenti è come sostituire un’illusione con un’altra». [A Dangerous Method, David Cronenberg]
La camminata ingenua e insicura di Cheyenne. [This Must Be the Place, Paolo Sorrentino]
La “raffinatezza del dubbio” con cui gioca Asghar Farhadi. [Una separazione, Asghar Farhadi]
Gli occhi di Holly Golightly. [Colazione da Tiffany, Blake Edwards]
Una panchina che ospita il più commovente tra i perdoni [Rabbit Hole, John Cameron Mitchell]
Il rosso secco del Grand Canyon ci ricorda la prigione, quello vivo del sangue di Aron Ralston la più atroce tra le liberazioni [127 ore, Danny Boyle]
Due mamme, due figli. La forza di una famiglia rivoluzionaria. [I ragazzi stanno bene, Lisa Chodolenko]
Il coraggio di lasciare un balcone vuoto. [Habemus Papam, Nanni Moretti]
Lo sguardo di Shaun che perde l’innocenza dei suoi dodici anni in mezzo al branco. [This is England, Shane Meadows]
Il delirio e la nevrosi di quattro genitori espressi nelle parole di uno di loro: “Nostro figlio è un pazzoide”. [Carnage, Roman Polanski]
Il corpo perfetto di Vera, materializzazione della follia di un chirurgo plastico. [La pelle che abito, Pedro Almodovar]
Una vita in quattro parole: “Io guido e basta” [Drive, Nicolas Winding Refn]
La forzata confessione di Mickael: “Laure, io mi chiamo Laure”.[Tomboy, Céline Sciamma]
La scoperta che anche il ridicolo uccide. [Four lions, Chris Morris]
Due opposti che si attraggono, strappandoci un sorriso. [Scialla, Francesco Bruni]
Il dottore: “Restano i miracoli”. [Miracolo a Le Havre, Aki Kaurismaki]
L’ode di passione smisurata alla città che “esaudisce ogni desiderio” [Midnight in Paris, Woody Allen]
Paolo Schipani e Marco Santarpia
questa rubrica è a cura di Paolo Schipani e Marco Santarpia