20 dicembre 2011

STORIE MILANESI. IL BILANCIO DEL COMUNE


Mi sono trovato due volte in presenza di un bilancio finanziario: quale Assessore al Bilancio del Comune di Milano e quale membro del Nucleo di Valutazione di Milano Bicocca. I Bilanci finanziari sono oscuri e non consentono un piano dei conti e quindi un controllo di gestione. All’epoca la trasformazione fu fatta da Vittorio Coda, professore della SDA Bocconi e ci limitammo al Conto economico. I bilanci finanziari rappresentavano un “vantaggio” per le amministrazioni Comunali, quello di rendere inoperanti molte delle controdeduzioni al bilancio sollevate dall’opposizione. Lo stesso problema si pose quando feci parte del Nucleo Università Bicocca, che usava un Bilancio finanziario. I Presidi erano simili ai guardiani dei fari per avvistare quando arrivavano dei contributi. Nel Nucleo c’era anche il sociologo Antonio Schizzerotto che si trasferì all’Università di Trento e Rovereto. Mi raccontò che in quella università redigevano un bilancio economico che poi trasformavano in bilancio finanziario per inviarlo al Ministero!

Quando si è insediato l’assessore Tabacci gli ho inviato una mail per illustrargli le mie passate esperienze. L’Assessorato al Bilancio è in Piazza della Scala, a destra guardando Palazzo Marino, vecchia sede della banca Commerciale Italiana. L’unico inquilino di Piazza Scala 2 era il signor Brigida, che Borghini mi presentò come il vero padrone di casa, un custode piuttosto ciccione che tutti conoscevano e che morì credo anche per il dispiacere di non poter fare gli orari continuati (giorno e notte). Ancora oggi i colleghi più anziani lo ricordano (al quale è stata recentemente intitolata la sala stampa di Palazzo Marino ndr). Il Direttore dell’Assessorato era il ragioniere capo professor Salvatore Barbalace, calabrese e uomo di grande rettitudine. Dopo avermi valutato un po’, mi considerò persona affidabile e il dottor Penco mi fece da Tutor. Il mio predecessore a titolo di consegne mi lasciò in frigorifero una bottiglia di Chivas Regal. Barbalace invece mi insegnò il linguaggio amministrativo.

Gli chiesi se le delibere di Giunta restassero in vigore per il solo esercizio di bilancio: “no Assessore, le delibere diventano perenti solo dopo un certo numero di anni” (non ricordo quanti fossero). Gli risposi che solo il suo odio non era perente! Mi disse che lui non odiava i suoi colleghi ma “vede Assessore, io non do confidenza ai miei colleghi altrimenti vengono a chiedermi dei soldi”. Riteneva i soldi del suo assessorato come suoi soldi, non nel senso che possiamo intendere oggi! Trovai invece nel mio ufficio dei quadri molto belli tra i quali un Bellotto Canaletto, un Giacomo Ricci. Erano a terra forse perché avevano tinteggiato il mio ufficio, chiamai l’Assessore alla Cultura che veniva da Italia Nostra perché li facesse fissare al muro come si usava in alcuni musei quando si mettevano due strisce a lato avvitate alle pareti e alla cornice, sistema oggi superato dagli allarmi elettronici.

In base alla legge Bassanini avevo potuto delegare Barbalace a firmare i pacchi di assegni, dicendogli che in quell’Assessorato non potevano esserci manovre occulte. Barbalace mi rispose che pagare prima o dopo poteva avere un prezzo! L’Assessorato era molto ben strutturato per competenze specifiche. Il dottor Dossi si occupava dell’amministrazione del personale. L’Assessore al personale di cui non ricordo il nome era un politico che passò a Forza Italia e per sapere quante persone avesse in organico si rivolgeva a Barbalace. Chiesi a Luca Beltrami Gadola se volesse far parte della Giunta Borghini ma lui rinunciò perchè mi chiese “Scoprirete le pentole?” Alla mia risposta negativa, non venne.

Erano gli anni di “Mani Pulite” ed ebbi dei dubbi anche su Di Pietro che quando fu Ministro dei Lavori Pubblici aveva un segretario, l’avvocato Arnoldi. Questi era ospitato in una roulotte davanti al Ministero e non era un rom! Il Professor Barbalace mi spiegò che gli importi giacenti che dovevano essere remunerati a tasso zero si potevano far fruttare in modo assolutamente corretto, lasciandoli in una Società che in quel caso era la AEM e in quel caso erano impiegati a “pronti contro termine”.

Un giorno venne il direttore di AEM, il dottor Schiatti e mi chiese se poteva invitarmi a cena o a colazione. Io per prudenza, senza sospetti, lo portai in via Ugo Foscolo alla “Vela” e lui mi chiese se mi servisse qualcosa. Io gli dissi di no, pagai le due pizze e ci lasciammo. Poco tempo dopo anche lui, inaspettatamente cadde nella rete di Mani Pulite come molti Consiglieri Comunali. Ci fu all’epoca un turnover incredibile. Quando presero Schiatti, Borghini mi mandò a parlare con il Presidente di AEM. Andai a trovare il professor Cerrai in corso di porta Vittoria 2 e, vedendo delle Panda elettriche con il filo collegato a delle prese di corrente gli chiesi “Questo è il futuro?” “No, allo stato delle nostre conoscenze, il futuro è l’ibrido”. Decisi con Cerrai di sostituire Schiatti con l’ultimo entrato in azienda, che si occupava di finanze e controllo di gestione.

In Giunta avevamo anche Piergianni Prosperini, un marcantonio alto quasi due metri che aveva sempre il vangelo sul ripiano sotto la tavoletta dei banchi dei Consiglieri. Oggi Prosperini, che abita in via Crocefisso, ha patteggiato le nefandezze commesse ed è agli arresti domiciliari. Lo incrocio ogni tanto dalle tabaccaie di piazza san Simpliciano.

 

Guido Artom

 



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