20 dicembre 2011

musica


 

IL QUARTETTO DI TOKYO

Come ogni anno, da tempo immemorabile, il mitico Quartetto di Tokio ha fatto la sua tournée italiana e tenuto il suo concerto milanese al Conservatorio per le Serate musicali, e così lunedì scorso ci ha come sempre incantato con i suoi magnifici strumenti Stradivari e con un programma dedicato agli ultimi anni del settecento viennese: nel primo tempo i Quartetti dell’opera 74 di Haydn – il numero 2 in fa maggiore e il numero 3 in sol minore – nel secondo uno dei più amati quartetti di Mozart, il celeberrimo K. 509 in fa maggiore.

È difficile immaginare un concerto di musica da camera più godibile e meglio eseguito di questo: siamo fra le vette più alte della cultura musicale, la compagine è una delle migliori del mondo, il quartetto è una delle forme più raffinate della musica di tutti i tempi, la fine del settecento ha portato questa forma musicale al massimo della sua potenzialità (solo pochissimi anni dopo Beethoven ne farà il culmine possente e rarefatto della sua creatività). Insomma che cosa si può desiderare di più?

Eppure c’è qualcosa che non torna e un certo amaro in bocca di cui dobbiamo dar conto ai nostri lettori. Il quartetto, fondato nel 1969, è oggi composto da uno solo dei suoi quattro fondatori (il giapponese Kazuhide Isomura, viola), da un secondo giapponese che vi è entrato nel 1974 (Kikuei Ikeda, violino), da un violoncellista inglese (Clive Greensmith, socio dal 1992) e dal primo violino canadese (Martin Beaver arrivato nel 2002).

Una prima considerazione è che queste quattro persone, grazie alla fama raggiunta e alla quantità di concerti che danno in tutto il mondo, vivono praticamente insieme per gran parte dell’anno uniti soltanto dalla professione e dal lavoro, e dunque in una forma di comunità coatta. Per quanto possano essere amici, ve li immaginate sempre insieme di aereo in aereo, di albergo in albergo, al ristorante e ai ricevimenti, per non parlare delle prove quotidiane in ogni nuova sala e a ogni cambiamento di repertorio?

Dice Ikeda “… di tempo fisico ne trascorriamo più con gli altri membri del quartetto che con le nostre famiglie. Ciascuno di noi è pressoché in grado di dire che cosa pensano gli altri in un determinato momento. Questo significa due cose. Musicalmente è stupendo, l’intesa è istintiva e spontanea. Nella vita privata è quasi pericoloso. Magari vuoi tenere per te un fatto confidenziale e riservato ma hai l’impressione che gli altri capiscano quello che tu stai pensando …“. Ebbene noi abbiamo l’impressione che una sorta di noia e di rassegnazione traspaia non solo dai loro volti, ma persino nella loro musica. È difficile non fare il paragone con la vitalità, l’allegria, la gioia del suonare insieme che usciva da tutti i pori dei giovani componenti del “Danish String Quartet” che abbiamo sentito pochi giorni fa e di cui abbiamo riferito in queste pagine.

Anche il programma, per quanto sicuramente colto e interessante come abbiamo detto, risentiva della “stanchezza” dei suoi protagonisti: far precedere due testi di Haydn scelti fra i meno preziosi e i meno noti della sua cospicua produzione a uno dei capolavori assoluti di Mozart significa sì strappare applausi a non finire a conclusione del concerto, ma anche svalutare il grande vecchio di allora (i due quartetti sono del 1793 quando Haydn aveva 61 anni) a beneficio del giovane genio (il K.590 è del 1790, l’anno recedente la morte, e Mozart aveva solo 34 anni). Inoltre, considerando che il lavoro di Mozart precede di tre anni quello di Haydn, il paragone risultava ancora più mortificante, eppure sappiamo tutti quanto Mozart deve al suo amato maestro, e quanto lo venerava. Spesso, anche se non sempre, musicisti più giovani si preoccupano di più di questi aspetti diciamo così teatrali del concerto, e si fanno carico degli effetti che la narrazione insita nel programma ha sul pubblico; sanno prendere l’ascoltatore per mano per fargli scoprire un mondo, un’epoca, una storia che solo la musica sa raccontare quando viene ascoltata con intelligenza.

Questi grandi concertisti, invece, che hanno un pubblico più che affezionato – o addirittura adorante – avrebbero il compito di essere anche grandi maestri, di approfittare dell’autorevolezza conquistata con il loro lavoro per insegnarci ad ascoltare meglio la musica, dovrebbero eseguire pezzi complessi e poco noti per ampliare il nostro orizzonte e portarci oltre la conoscenza limitata di chi non è del mestiere. Certo, devono proporci anche i grandi i capolavori, sia per il nostro godimento sia, soprattutto, per rinnovarne di continuo l’interpretazione, purché li accompagnino a musiche che ne aiutino la comprensione e non solo l’apprezzamento.

Due parole infine sull’ultimo dei tre quartetti scritti da Mozart negli ultimi mesi della sua tormentata vita su commissione – onorata in ritardo e solo parzialmente – del re di Prussia Federico Guglielmo II.

Di quella estate del 1790 abbiamo la drammatica testimonianza di Paumgartner: “… prostrato fisicamente e moralmente, oppresso dalle preoccupazioni finanziarie, Mozart perse quella energia e quella capacità di reazione che non l’avevano mai abbandonato e per un certo tempo giacque inerte in fondo al baratro di tante miserie. Tutti gli oggetti non assolutamente indispensabili furono portati al Monte di Pietà, perfino le polizze dovettero poi venir tradotte in denaro, l’intero mobilio fu dato in ipoteca per due anni a un negoziante …” mentre, negli stessi giorni in cui scriveva il Quartetto in fa maggiore e lo regalava all’umanità per tutti i secoli a venire, scriveva all’amico Puchberg “… se può aiutarmi a far fronte alle urgenti spese di questo momento, oh, lo faccia! … sono costretto a svendere i miei quartetti (un lavoro così faticoso) a un prezzo irrisorio solo per poter avere in mano qualche soldo … mi mandi ciò di cui può privarsi più facilmente …“.

Si può ascoltare questo capolavoro senza la consapevolezza del suo contesto?

 

Musica per una settimana

 

*giovedì 22 dicembre, nella basilica di San Babila a Milano, si terrà il Concerto di Natale “Carols for the Christmas season”, per organo, flauto, oboe, violino e coro, diretto da Massimiliano Bianchi; gli interpreti sono giovani professionisti provenienti da diversi Paesi (Italia, Spagna, Cile, Corea, Giappone)

*venerdì 23 dicembre al Teatro Dal Verme “I Valzer della famiglia Strauss” con l’Orchestra dei Pomeriggi musicali diretta da Daniele Agiman

*mercoledì 28 alla Scala replica del Don Giovanni di Barenboim e Carsen, di cui molto abbiamo già detto in queste pagine

*il 29, 30, 31 dicembre e il 1° gennaio all’Auditorium la ormai tradizionale nona Sinfonia di Beethoven per soli (Eva Oltivanyi, Maria José Montiel, Arthur Espiritu e David Wilson Johnson) coro (dell’Auditorium, diretto da Erina Gambarini) e orchestra (la Verdi diretta da Zhang Xian)

*infine giriamo con piacere un appello dell’ultima ora: mercoledì 21 dicembre alle 18.00 in piazza San Babila l’Orchestra amatoriale Carisch sarà ospite del comune di Milano per un “concerto di piazza” in cui eseguirà la Sinfonia Haffner di Mozart. Al termine si terrà un flashmob corale con l’Halleluja dal Messiah di Handel. Il tempo è pochissimo e gli organizzatori hanno bisogno di aiuto per rendere questo appuntamento una vera e propria “giornata dell’orgoglio corale milanese”. Dunque girate questo invito a cantori e musicisti perché si possa realizzare una bella festa della musica. I dettagli li trovate in http://www.orchestracarisch.com/indexSBabila.htm

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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