13 dicembre 2011

L’INSOPPORTABILE LEGGEREZZA DI UN DON GIOVANNI MASCHILISTA


Quando Tirso de Molina con il suo “El Burlador de Sevilla y Convidado de piedra”, diede dignità letteraria alla maschera di Don Giovanni non prevedeva certo di aver creato un personaggio che avrebbe sedotto non solo “donne d’ogni grado/d’ogni forma, d’ogni età” ma uno stuolo di scrittori, letterati, pensatori, filosofi di ogni tempo: non forse “mille e tre” ma di questo passo ci arriveremo. L’ultimo per la cronaca è Robert Carsen, il regista del Don Giovanni mozartiano della “prima” alla Scala.

Non è né scrittore, né letterato e tanto meno filosofo. Tutti quelli che l’hanno preceduto – quasi sconosciuti o famosissimi e di alcuni parleremo – hanno calato il personaggio nella cultura del loro tempo e così ha voluto fare Carsen, consegnandoci il suo Don Giovanni, un vincitore maschilista odierno, invadendo il campo letterario, operazione legittima, ma anche quello musicale mozartiano, operazione invece discutibilissima per com’è stata fatta. Non annoierò i lettori col “catalogo” completo di chi letterariamente si sia dedicato a interpretare il personaggio di Don Giovanni. Possiamo però partire da Molière che vede in Don Giovanni un ateo, un empio consapevole, un eroe dell’inganno ma anche lo svelatore d’ipocrisie. Lo fa comunque condannare pur considerandolo un libero pensatore.

Anche Goldoni non resiste al fascino ma scrive forse una delle sue più brutte commedie: il Don Giovanni Tenorio o il dissoluto. Il Romanticismo non passò indenne dall’attrazione fatale tanto che Puskin dedicò uno dei suoi quattro microdrammi al tema del Convitato di pietra e trasforma Don Giovanni in un poeta rigenerato dall’Eros. Il massimo lo fa Dumas padre, che vede coinvolti nel dramma di Don Giovanni la Madonna, angeli vari e una redenzione finale. Vediamo qua e là un Don Giovanni redento, suicida, in viaggio per il Paradiso insieme a Donna Anna, rapito da pirati e venduto; più di recente Schnitzler ne fa un gaudente di mezza età, impotente ormai ma alla ricerca di sensazioni “virtuali”. E qui mi fermo per non citare Brecht o Max Frisch.

L’ultimo forse a tentare un’ardita interpretazione del personaggio è Carmelo Bene che senza esitazione dice: “Don Giovanni è una figura femminile. La sua coscienza e autocritica sono affidate alle parole di Leporello e lui non salta, come si crede, di letto in letto bensì salta i letti perché quelle donne si rivelano dei maschi dai quali fuggire“. Dobbiamo dunque stupirci della nuova interpretazione “letteraria” o antropologica che di questo personaggio ne fa Carsen? Perché mai? Quello che non gli perdono è che abbia travolto l’opera di Mozart – Da Ponte: tradimento del testo e della musica. Perché l’ha fatto? Forse per stupirci o forse perché pensava di doverlo calare nella cultura inesorabilmente e colpevolmente maschilista di oggi. (Forse la sua?)

Se voleva fare un’operazione di quel genere, le maschere di ieri nella realtà di oggi, i personaggi da reinterpretare senza travolgere tutto erano altri: Donna Anna e Donna Elvira per esempio. Chi non ricorda il magnifico duetto di Donna Anna e Donna Elvira (Edda Moser e Kiri Te Kenava) nella bellissima versione cinematografica del 1980 con Ruggero Raimondi e la bacchetta di Lorin Mazel? Quello semmai era lo spunto da cui partire: due donne furibonde, dai toni accesi, oggi diremmo “incazzate”, due donne che non si sarebbero perse una sola manifestazione di “Se non ora, quando?”. Invece no, le donne nella versione di Carsen sono ugole d’oro innamorate e perché no, mentitrici. Non è così, e se la giustificazione di tutto è che Donna Anna non può non aver riconosciuto Don Giovanni, come dice Carsen, vuol dire che ha dimenticato l’ingrediente dello scambio di persona consueto in tutto il teatro da quello greco in avanti: noi spettatori però non siamo alla ricerca della veridicità poliziesca, non ragioniamo come Poirot, lasciamo libera l’immaginazione travolti dalla musica.

Per altro, il libretto di Da Ponte, nelle versioni che conosco, dopo l’esordio di Leporello “Notte e giorno faticar” dice: (entra Donna Anna tenendo forte pel’ braccio Don Giovanni ed egli cercando sempre di celarsi). Niente letto. Dopo di che Donna Anna: “Non sperar se non m’uccidi,/ch’io ti lasci fuggir mai” e Don Giovanni: “Donna folle!Indarno gridi,/chi son io tu non saprai!“. Qualcuno ha dei dubbi sul significato del testo? Perché inventarsi un amore corrisposto? Per stupirci e mostrarci un letto e due “amanti” improbabili? Anche questa non è però una gran novità: ci aveva già pensato il regista Pier Luigi Pizzi nel 2009 allo Sferisterio Opera Festival di Macerata. (vedi immagine nella Gallery).

Ma arriviamo di corsa alla fine dell’opera, anche se altro vi sarebbe da dire. Pensate che stiano sprofondando colpevoli all’inferno Donna Anna, Donna Elvira, Zerlina, Leporello, Don Ottavio mentre cantano cosi? “Resti dunque quel birbon/con Proserpina e Pluton./E noi tutti, o buona gente, /ripetiamo allegramente/l’antichissima canzon.”. Donna Anna e Donna Elvira: “Questo è il fin di chi fa mal.” e tutti in coro: “Questo è il fin di chi fa mal;/è de’ perfidi la morte/alla vita è sempre ugual!“. Cala il sipario. A tutti i costi si vuole travolgere il senso del libretto trasformando Don Giovanni e gli altri personaggi chi in un arrogante sciupa femmine, chi in uno stupido promesso sposo tradito che ovviamente deve far finta di non sapere e chi in una futura moglie fedifraga e bugiarda.

Come osserva Umberto Curi in un suo interessante saggio per i tipi di Marsilio sul mito di Don Giovanni nell’opera mozartiana, lo stesso Mozart non sembrava condividere in tutto il testo di Da Ponte tanto da voler dar forza al mito spingendo la musica a “contraddirne sistematicamente l’impostazione” introducendo “deliberatamente conflitti e dissonanze, scarti e anomalie, squilibri e forzature nella geometria elementare dell’universo delineato da Da Ponte” pur di rinvigorire il mito di Don Giovanni e la componente tragica: le poche ma intelligenti “forzature” con la sapienza musicale e l’istinto mozartiano. Lui solo legittimato a farlo. Oggi si dà mano alla rozzezza culturale di stampo berlusconiano, Mediaset, strisciante, invasiva ma purtroppo lenta a uscire di scena. Questa sì vorremmo sprofondasse e invece galleggia su superficiali platee.

 

LBG

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti