13 dicembre 2011

CONTINUA – DIALOGO SU DARSENA E NAVIGLI FRA UN URBANISTA (B) E UN ARCHITETTO (A)


A – Oggi mi devi raccontare quel che avevi promesso l’ultima volta: come funzionava il trasporto delle merci nella Cerchia dei Navigli interni.

B – La funzione di trasporto delle merci, assegnata ai Navigli all’interno della città, era insostituibile. I barconi che percorrevano i Navigli portavano ogni genere di carichi pesanti: tronchi d’albero per costruzioni, legna da falegname, pietre per scalpellini, carbone per riscaldamento domestico e industriale, calce e materiali edili. I barconi servivano anche per scopi militari; e venivano usati per trasportare armi pesanti e spostare truppe, dirette a raggiungere il sistema difensivo esterno alla città. Via Molino delle Armi ricorda appunto il tratto dei Navigli, oggi coperto, dove si trovavano le fucine dei fabbri ferrai. I magazzini, chiamati “sciostre”, in cui venivano conservate le merci, erano affacciati sulle sponde del Naviglio, e posti a livello poco superiore a quello dell’acqua: servivano per accogliere le merci scaricata dai barconi e per tenerle provvisoriamente in deposito.

A – Dalle sciostre la merce veniva poi prelevata da carri e portata nelle varie parti della città.

B – La merce più nobile, trasportata per anni lungo i Navigli, è stata il marmo rosato di Candoglia. Questo marmo pregiato, con cui è stato costruito l’intero Duomo di Milano, veniva fatto arrivare per via d’acqua dalle lontane cave, situate in prossimità del Lago Maggiore; e dal Lago veniva portato al cantiere di costruzione installato ai piedi del Duomo. Il percorso dei barconi carichi di marmo era ben più lungo e laborioso del tragitto compiuto dai barconi carichi di sabbia per l’edilizia, e provenienti dal Ticino: mentre la sabbia veniva prelevata dal greto del fiume, a nord di Abbiategrasso, e arrivava fino alla Darsena, alla periferia di Milano; il marmo, al contrario, veniva estratto dalle cave di Candoglia, dal lontano luogo in cui il fiume Toce si immette nel Lago Maggiore, e arrivava sino ai piedi del Duomo, nel cuore di Milano. Il suo percorso merita di essere descritto, per capire quanto fosse lungo, vario e avventuroso.

A – Bene, sono molto curioso di ascoltarlo.

B – Eccoti esaudito. Estratto dalle cave di Candoglia il marmo veniva convogliato per un breve tratto lungo il fiume Toce, fino allo sbocco del fiume nelle acque del Lago Maggiore. Veniva poi fatto navigare lungo il bacino meridionale del Lago, e, arrivato all’estremità sud, veniva immesso nel fiume Ticino, e fatto discendere lungo questo fiume per un tratto di circa venti chilometri. All’altezza della località Turbigo il marmo imboccava il Naviglio Grande, lo percorreva in direzione sud, e raggiungeva la cittadina di Abbiategrasso, dove svoltava bruscamente a est e si dirigeva rettilineo verso Milano. Arrivato alla Darsena, che allora consisteva nel piccolo Laghetto di S. Eustorgio, il marmo veniva ormeggiato e scaricato. Il suo tragitto tuttavia non finiva qui. Dalle sponde del laghetto di S. Eustorgio il marmo, attraverso chiuse provvisorie dal funzionamento lento, difficoltoso e ancora oggi non ben conosciuto, veniva sollevato al livello della Cerchia dei Navigli, caricato su barconi, e trasportato alla non lontana ansa detta Laghetto di Santo Stefano, oggi coperta e nascosta sotto l’attuale via Laghetto. Qui, concluso il lungo tragitto per via d’acqua, il marmo veniva scaricato dai barconi, trasportato su carri, e depositato a pochi passi di distanza, nel laborioso cantiere installato ai piedi del Duomo.

A – Ti chiedo un chiarimento: giunti al Laghetto di Santo Stefano, i pesanti blocchi di marmo come venivano scaricati dai barconi su cui avevano navigato lungo il Naviglio interno?

B – Mediante una gru di fabbricazione molto primitiva, detta “falcone”, alta circa otto metri, e fornita di un braccio ruotante, e sporgente di circa otto metri. Il braccio veniva manovrato da robusti operai, detti “tencitt” (in dialetto milanese “tencitt” significa sporco di nero; gli stessi operai infatti erano spesso utilizzati per portare sacchi di carbone). I “tencitt” avevano molta somiglianza con gli scaricatori del porto di Genova, detti “camalli”. L’arrivo al Duomo segnava il termine del lungo e complesso viaggio compiuto dal marmo di Candoglia.

A – Un viaggio che lascia meravigliati.

B – Un viaggio che dimostra quanto sia legata la storia dei Navigli alla storia della nostra città, alla costruzione della sua cattedrale, alla vita dei tanti cantieri sorti nel corso dei secoli all’interno del centro storico.

A – Capisco adesso perché tu insisti tanto nel difendere i Navigli; e nel sottolineare il loro notevole valore storico; e perché ti impegni con tanta passione a conservarli nello stato originario.

B – Non ti ho detto tutto. La volta scorsa avevamo parlato dell’impegno che richiede la tutela del regime idrico della Darsena e dei Navigli. Oggi aggiungo alcuni dettagli da cui verrà accresciuta la tua meraviglia: ti troverai di fronte a un’opera di ingegneria idrica geniale e grandiosa. Quando ti parlavo del trasporto del marmo, tra Laghetto di Sant’Eustorgio e Cerchia interna dei Navigli, non ti avevo detto che si doveva superare un notevole dislivello, pari a quasi tre metri: puoi immaginare quanto fosse difficoltoso il trasporto dei blocchi di marmo. La grande innovazione che ha rivoluzionato il trasporto su acqua dei carichi pesanti è stata l’invenzione della conca, cioè del bacino a doppia chiusura entro al quale il livello dell’acqua può essere fatto salire o scendere. Nel trasporto del marmo la conca, costruita dove prima i trasbordi erano lenti e faticosi, ha portato due grandi vantaggi: ha permesso di superare il dislivello dei tre metri tra Laghetto di Sant’Eustorgio e Navigli interni, senza dover sbarcare il marmo a terra. Il barcone su cui esso arrivava rimaneva infatti lo stesso sul quale veniva poi trasportato al Laghetto di Santo Stefano; non era più necessario eseguire il trasbordo da una imbarcazione all’altra. L’invenzione della conca ha avuto per la navigazione la stessa importanza rivoluzionaria della ruota nel trasporto su terra. Lo dimostra il fatto che se non ci fosse stata la conca, che permetteva di superare il dislivello, sarebbe stato impossibile, con un semplice canale, effettuare il collegamento tra Laghetto di Sant’Eustorgio (oggi Darsena) e Navigli interni. Il canale in realtà esisteva, e i chiamava Naviglio di Vallora, ma la sua funzione era stata scarsa, per non dire nulla, fino a quando, a metà del quattrocento, lungo il suo percorso fu costruita la conca di cui ti sto parlando.

A – Questa conca si sa in quale anno e da chi fu costruita?

B – Certo. Fu costruita nell’anno 1439, per opera di due valenti esperti di costruzioni idrauliche: Filippino degli Organi da Modena e Fioravante Fioravanti da Bologna.

A – Ma la conca non è stata inventata da Leonardo?

B – Tutti lo credono, tutti lo dicono; nessuno sa che la prima conca, questa appunto di cui stiamo parlando, è stata costruita circa cinquant’anni prima che Leonardo arrivasse a Milano e fosse accolto alla corte di Lodovico il Moro, Duca degli Sforza.

A – Quindi storicamente non è esatto attribuire la invenzione della Conca al genio di Leonardo.

B – Una inesattezza comprensibile e non del tutto errata: Leonardo, arrivato a Milano, non poteva non notare la conca e non meravigliarsi del funzionamento di quella strana e geniale costruzione da poco messa in opera. Subito si accinge a farne molti disegni, schizzi e annotazioni, e ne studia con grande interesse l’utilità e il meccanismo di utilizzo. Ora i suoi studi si trovano raccolti nei Codici Leonardeschi; ciò ha fatto credere erroneamente che fosse da attribuire a lui l’invenzione della conca. L’equivoco, come puoi capire, è possibile. Del resto, si sa per certo che Leonardo aveva partecipato ai lavori necessari a creare, tra la Martesana e la Cerchia interna, un canale di raccordo, con il quale si completava il sistema navigabile esteso a nord di Milano.

A – La leggenda delle conche, inventate da Leonardo, fa parte degli aneddoti popolari ormai entrati nella Storia. Dimmi ora dove si trovava esattamente questa conca.

B – Finalmente oggi possiamo saperlo. Fino a qualche anno fa se ne era intuita l’esistenza ma non si riusciva a localizzarla con esattezza. Essa si trovava poche decine di metri più a ovest dell’imbocco della Conca di Viarenna, costruita tuttavia quasi cento anni dopo; e occupava il tracciato di due vecchie vie milanesi: Via Vallona e Via degli Olocati, ora sostituite dalla Via Conca del Naviglio. La conca dell’anno 1439 venne distrutta nella seconda metà del cinquecento, quando furono costruite le Mura Spagnole, dette così perché innalzate durante la dominazione degli Spagnoli. La costruzione delle mura si svolge dall’anno 1546 all’anno 1560; e può considerarsi rapida, se si pensa che gira intorno alla intera città di Milano. Nei secoli successivi le mura sono considerate una meraviglia di ingegneria militare. Tutte le incisioni con vedute della città le rappresentano come oggetto di interesse e di ammirazione.

A – E oggi non resta più nulla di loro.

B – Fatta eccezione per il baluardo superstite, alla estremità di Corso di Porta Romana.

A – Questo è il rispetto che Milano riserva alla sua Storia.

B – Torniamo alla Conca di Viarenna. Essa subentra alla prima chiusa distrutta e sepolta sotto le mura spagnole. Tutti possiamo vedere la Conca di Viarenna in Via della Conca; dove oggi ne è rimasto un rudere abbandonato. La funzione della seconda conca, quella di Viarenna, ebbe termine con la chiusura dei Navigli interni, avvenuta negli anni 1928/1929, quando essa cessò di essere utilizzata per trasporto delle merci dalla Darsena ai Navigli interni; caduta in disuso, oggi essa è sconosciuta e quasi dimenticata.

A – Dimenticata ma non distrutta. Al contrario della Conca dell’anno 1439, della quale resta ben poco.

B – Della conca del 1439, ritrovata, come ti dirò, in modo del tutto casuale, non resta che l’assito che si trovava adagiato sul fondo; esso è ancora perfettamente conservato, come avviene per tutti i legni tenuti perennemente sott’acqua.

A – Non mi è chiaro il motivo per cui si sia voluto passare con le nuove mura spagnole sul medesimo luogo in cui era stata costruita la prima delle due conche; e quindi perché si sia resa necessaria la costruzione di una seconda in sostituzione della prima.

B – Il motivo è semplice: si è voluto proteggere la conca da aggressioni esterne, e quindi portarla all’interno delle mura. Un impianto idraulico così delicato e strategico non doveva essere lasciato in balia di aggressori, e rimanere esposto ad attacchi bellici. Abbandonata la prima conca, che si trovava all’esterno della nuova cinta di mura, si è costruita la nuova Conca, la Conca di Viarenna, all’interno di questa stessa cinta; tutti la conosciamo perché è ancora in parte visibile in Via Conca del Naviglio.

A – Che cosa è successo di recente? Che cosa ha consentito di scoprire il posto preciso in cui si trovava la prima delle due conche? Come mai fino a oggi la conca è stata del tutto ignorata e soltanto adesso torna alla luce?

B – È successo che pochi anni fa, credo nel 2006, il bacino della Darsena è stato interamente svuotato, per controllare se non esistessero sotto il livello dell’acqua testimonianze archeologiche di qualche interesse, come, ad esempio, frammenti murari, ancora ignoti, appartenenti alle fondazioni delle mura spagnole. Le mura erano state erette alla fine del cinquecento, e ultimate non molti decenni prima che si iniziasse l’allagamento del Laghetto di S. Eustorgio; e si provvedesse a una sistemazione più ampia e funzionale dello specchio d’acqua in cui attraccavano i barconi provenienti dal Naviglio Grande.

A – Quindi quella che noi oggi chiamiamo Darsena era ben diversa dal bacino che esisteva alla fine del cinquecento.

B – Molto diversa: la Darsena attuale è il risultato di successivi allargamenti.

A – Quali; ed eseguiti quando?

B – Un primo allargamento è quello a cui ho già accennato, e risale ai primi anni del seicento. Un secondo si è reso necessario all’inizio dell’ottocento. Allora la Darsena era considerata una pertinenza della campagna, perché esterna alla cinta muraria, e quindi poco considerata dai tipografi che erano interessati a stampare le piante della città. Infine un terzo allargamento della Darsena si è avuto in tempi abbastanza recenti, all’inizio del novecento; e ha portato alle dimensioni della Darsena che vediamo oggi.

A – Ma spiegami perché si è deciso solo alcuni anni fa di svuotare la Darsena e cercarvi eventuali reperti archeologici.

B – Te lo racconterò la prossima volta. L’argomento è lungo e richiede un certo tempo.

A – Bene. Resto in attesa e sono curioso di sentirmelo raccontare.

(parte terza – continua)

 

Jacopo Gardella

 parte prima
 parte seconda

 Jacopo Gardella ringrazia il Professore Gianni Beltrame per le dettagliate notizie storiche cortesemente fornite durante la stesura di questo articolo.

 



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