13 dicembre 2011

cinema



 

ALMANYA – LA MIA FAMIGLIA VA IN GERMANIA

di Yasemin Samdereli [Almanya – Willkommen in Deutschland, Germania, 2011, 101′]

con Vedat Erincin, Fahri Ogün Yardim, Lilay Huser, Manfred-Anton Algrang.

 

“Ma insomma cosa siamo, turchi o tedeschi?” Chiede il piccolo Cenk (Rafael Koussouris) alla sua famiglia al completo durante i festeggiamenti per i nuovi passaporti dei nonni. L’ingenua confusione del bambino è comprensibile, il padre gli risponde istintivamente turchi, la mamma tedeschi. Lui ha bisogno, però, di una risposta definitiva. A scuola, durante le partite di calcio “Germania contro Turchia”, non sa con chi schierarsi. Non parla turco, suo padre è nato in Germania ma gli zii e i nonni vengono tutti dall’Anatolia.

C’è sicuramente molto di autobiografico in questo incipit di Almanya – la mia famiglia va in Germania, esordio cinematografico di Yasemin e Nesrin Samdereli. Hanno scritto insieme la sceneggiatura e Yasemin, la più grande delle due, l’ha messa in scena. Sono nate in Germania da genitori turchi e non è difficile pensare a quante volte abbiano avuto gli stessi dubbi di Cenk.

La necessità di trovare una risposta ha messo in moto la macchina della loro creatività. La complessità della risposta ha spinto le due sorelle a un intrecciato e affascinante approccio narrativo. La decisione del capofamiglia Hüseyin Yilmaz (Vedat Erincin) di portare i suoi cari nel piccolo paese natio per irrobustire le radici turche dà vita a un viaggio coinvolgente e folcloristico. L’epopea familiare dell’emigrazione raccontata dalla nipote ventenne ci trasmette la forza di volontà e la positività di un uomo che ha anteposto a tutto la serenità e l’unione della propria famiglia.

La scelta risulta semplice e diretta. Le storie si alternano ma condividono un sagace connubio tra ironia e malinconia, merce rara nel panorama cinematografico di oggi. Le sorelle Samdereli hanno anche il merito di sfruttare ogni luogo comune derivante dal rapporto turco-tedesco unicamente per dissacrarlo, per mostrarci il lato più divertente di questa longeva convivenza.

La loro risposta alla semplice domanda di Cenk è saggia e poetica. È così potente da riuscire ad abbattere ogni barriera nazionale e costruire un lunghissimo e invisibile ponte tra Germania e Turchia.

Marco Santarpia

In sala a Milano: Anteo, Arlecchino

 

 

ACCORDI E DISACCORDI

di Woody Allen [Sweet and Lowdown, USA, 1999, ’92]

con: Sean Penn, Samantha Morton, Uma Thurman, Brian Makinson, Anthony LaPaglia

 

Dolce e confidenziale è la storia narrata da Woody Allen in Accordi e disaccordi [USA, 1999, ’92], e ce ne accorgiamo fin dal titolo nella versione originale: Sweet and Lowdown. Alcuni personaggi – tra cui lo stesso Allen – raccontano la vita di Emmet Ray (Sean Penn, bravissimo): il più grande chitarrista jazz di fine anni Trenta, dopo Django Reinhardt.

La struttura del film riprende quella già incontrata in Prendi i soldi e scappa [1969] e in Zelig [1983], infatti, attraverso le descrizioni di altri risaliamo alla storia di Ray. Il risultato non è, come è stato detto, un “documentario finto”, ma è un film che mischia magicamente finzione e realtà.

Emmet Ray non è mai esistito, vive soltanto tramite le interpretazioni degli altri. Sono le storie e i commenti, organizzati in una specie di inchiesta, a dar esistenza al chitarrista che – egoista e presuntuoso – si arrabatta tra gli alti e i bassi del successo. Con la chitarra tra le mani è sopraffino Emmet, ma consapevole che mai sarà come lo «zingaro che vive in Francia»: Django, musicista sublime e insuperabile.

Il confronto con l’inarrivabile Django crea un gioco di ribalta e retroscena che si mantiene per tutto il film, sottolineando l’alternarsi tra la maestria artistica e la sua povertà. L’una senza l’altra non avrebbe maniera di sopravvivere, esattamente come Emmet non sarebbe grande senza la grandezza di Django.

Emmet Ray è quel musicista che sarebbe stato secondo, se realmente esistito. Ma, pensandoci bene, Woody è stato talmente bravo non solo da farcelo vedere, ma da farcelo anche raccontare. Certo, «come in tutte le storie, non sai mai cosa credere», dice uno dei narratori. Chissà che da questa storia “dolce e confidenziale” qualcuno in sala – anche soltanto per un momento – non si sia fatto trasportare nel mondo di Emmet Ray.

Paolo Schipani

In sala: 17 dicembre 2011 – ore 15.00 – Spazio Oberdan

 

 

questa rubrica è cura di Paolo Schipani e Marco Santarpia

rubriche@arcipelagomilano.org



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