6 dicembre 2011

LA SOLITUDINE DI PISAPIA


La Primavera di Milano è un bene politico troppo importante per distruggerlo con mosse inconsulte e forse solo la liturgia profana delle dimissioni-perdono poteva interrompere il corto circuito innescato dalle dichiarazioni di Stefano Boeri e dalle reazioni del Sindaco. Comunque sia, lo ha interrotto. Stefano Boeri ha pagato un prezzo elevatissimo alla sua impoliticità, e con lui, sia pur defilato, il PD. Vincitore assoluto della scena Giuliano Pisapia, ma, e qui sta il paradosso, nasce il problema della sua Solitudine.

Pensiamo infatti che l’affaire Boeri rimandi, oltre che a delicate questioni di merito, a un tema che condiziona nel profondo il flusso dei processi politici tra la Giunta, la sua maggioranza e la città. Il punto essenziale ci pare questo: come si articolano oggi rappresentanza dei bisogni e dialettica politica nella determinazione dell’azione di governo cittadino? In quale luogo si svolge la necessaria discussione pubblica tra i diversi soggetti sociali e politici, e come la Giunta, e in particolare il Sindaco, ne deriva la materia e la legittimazione per le sue decisioni?

Nel post riforma del 1993, il Sindaco viene eletto dai cittadini e sceglie gli assessori, cui delega i suoi poteri. L’investitura popolare è la fonte di legittimazione del potere del Sindaco ed è “esterna” al ruolo dei partiti. Ma i cittadini, esaurita la procedura del voto elettorale, se ne tornano a casa, lasciando padrone della scena il Sindaco, che decide e delega, fa e disfà, trovando come limite estremo alla sua volontà solo la decisione della sua maggioranza di licenziarlo, licenziando però anche se stessa. Dal momento in cui si insedia, il Sindaco assurge al ruolo di deus ex machina e il ruolo degli eletti del popolo (il Consiglio Comunale) è divenuto poco più che un luogo di ratifica di decisioni prese altrove. Almeno questo è ciò che spesso è avvenuto, ed anche a Milano, nel 2011 sotto Pisapia I°.

È lecito allora chiedersi se, alla luce dell’Affaire Boeri, tutto ciò sia un bene, e quale e dove debba essere il luogo del dibattito e della mediazione politica cittadina.

In realtà, la finalità della Riforma non era l’azzeramento del sistema dei partiti, ma piuttosto la riconversione del loro ruolo, perseguendo il bene della stabilità (l’amministrazione – sindaco) da un lato, e quello della rappresentanza della volontà popolare (la dialettica politica – consiglio comunale), dall’altro. Condizione essenziale di equilibrio del nuovo sistema era la capacità dei Partiti di assumere il compito della rappresentanza degli interessi e l’elaborazione degli indirizzi politici. Così però non è andata: il contrappeso al Sindaco non è stato esercitato né dal Consiglio Comunale, né dalla Giunta, e neppure dai cittadini, che sia pur volenterosi “partecipanti” non dispongono di luoghi e di poteri nei quali discutere e dei quali usare.

Questo vale anche a Milano, a meno che non si voglia attribuire carattere di effettiva partecipazione politica alle assemblee delle pantere grigie dei Comitati Pisapia, cui non bastano reiterate tinture di henné per trasformarsi da volontariato âgée in ampio movimento inclusivo della partecipazione cittadina.

Il vuoto della politica, nel caso Expo 2015, è stato anche drammatica carenza di indirizzo da parte del PD, cui Stefano Boeri ha cercato di sopperire con il suo presenzialismo mediatico. E neppure si ricorda un atto di chiaro e preventivo indirizzo politico sulla questione espresso dalla maggioranza nella sede propria, il Consiglio Comunale, e dunque la Giunta ha fatto da sé. C’è il vuoto dei luoghi e dei processi politici autonomi e integrativi del ruolo del Sindaco e questo, ammettiamolo, è un problema, di cui beninteso non si può fare colpa specifica né al centrosinistra, né a Pisapia, o a Boeri. Ma il problema, c’è, ed è bello grande, tanto più se in presenza di partiti ormai impalpabili e di un’aspettativa di partecipazione diffusa che ha connotato la vittoria del centrosinistra e che attende innovazione.

Torniamo al ruolo dei partiti e degli eletti in Consiglio. Nel vecchio modello politico cittadino, verso questi si orientavano le domande sociali e a essi toccava di dare rappresentanza, ricercando mediazioni e soluzioni, facendo del Consiglio Comunale il luogo del dibattito pubblico: il Sindaco doveva costantemente ricercare tra gli eletti legittimati dal voto popolare la soluzione maggiormente condivisa. Instabilità e rappresentanza erano strettamente unite. Oggi che succede?

In quale luogo istituzionale si sono liberamente confrontate, ad esempio, visioni e strategie su Expo 2015? Si dice, e dobbiamo pur crederci, in Giunta e si aggiunge che Boeri avrebbe commesso il peccato mortale di non attenersi a quelle deliberazioni. Sta bene per i loro rapporti interni, ma la Giunta è un organo di governo e non di rappresentanza politica e non può legittimarsi solo in forza di un voto popolare espresso quinquennalmente al Suo Capo (il Sindaco): per questo si pone il tema del rinvigorimento della Politica (il Consiglio) e dei nuovi luoghi di partecipazione della comunità politica (Referendum? Consulte?..).

Il rischio forte è che la Giunta, qualsiasi giunta, sia sempre di più autoreferenziale, dialogando anziché con la comunità politica, ossia gli eletti, i partiti e i cittadini, con le associazioni di interessi, che tanto più sono forti e tanto più cercano l’opacità in luogo della trasparenza, e non importa qui se siano ad alta sensibilità etica o no. Insomma, con la riforma del ’93 si sono disseccate le fonti del potere partitico, ma al loro posto non ne sono sgorgate altre capaci di alimentare l’azione di Giunta con una trasparente rappresentazione e una efficace rappresentanza. Certo, nel caso specifico ci si dice che il gruppo Consiliare PD abbia avuto un ruolo importante nel rappresentare a Pisapia un orientamento decisamente contrario al “licenziamento” di Boeri, ma basta questo a cambiare di segno al tema?

Dopodiché, sia chiaro, non viviamo sulla luna e ben conosciamo l’estrema difficoltà della situazione ereditata dal centrosinistra, come l’ulteriore criticità derivante dall’affrontarla con un ceto politico lontano per vent’anni dalla pratica di governo. Così come ben ricordiamo le prassi malversatorie dei partiti della prima repubblica. Forse, sulle scelte concrete, non si poteva fare altro che quanto ha fatto Pisapia, in tema di Expo o di Serravalle, ma il punto non è questo, non si tratta tanto del merito di ciascuna singola decisione.

La questione essenziale è lo stridore che viene dal meccanismo istituzionale che macina tutto e tutti, che certo ha espropriato i partiti della loro prepotenza, ma al tempo stesso non ha accompagnato il potere del Sindaco con la crescita di altri poteri, altri processi, altre funzioni che garantiscano, con il fluire del dibattito politico, sia il bilanciamento dei poteri che la rappresentazione dei bisogni e delle volontà politiche e con queste in definitiva una autentica legittimazione delle decisioni di Giunta.

Pisapia ha chiuso la questione EXPO 2015 con un ukaze, Boeri l’ha subìto, e il PD l’ha consentito. Ma alla fine, se la città resta muta, anche il Sindaco è solo con la sua potenza.

 

Giuseppe Ucciero



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