22 novembre 2011

AL GOVERNO LA BORGHESIA RITROVATA


Il governo Monti, ma soprattutto la sua rappresentazione mediatica, si sono rivelati pieni di sorprese e agiscono da cartina tornasole per molte idee acquisite. Solo un mese fa (il 20 ottobre 2011) Il Corriere titolava deciso “La borghesia è arrivata al capolinea”, commentando il libro di Giuseppe De Rita che riproponeva un vecchio topos del sociologismo italico. Sulla copertina del libro, L’eclissi della borghesia (2011), campeggia l’usuale poltrona ministeriale vuota, che in Italia significa mancanza di potere. Ora quella poltrona è stata riempita abbondantemente proprio da quella borghesia (di cui i tanto vituperati baroni sono consistente parte, così come lo sono del governo) data tanto spicciamente per morta.

Nel caso dei milanesi, e più in generale i lombardi, questa borghesia ha fornito, in rapida successione, personale a due opposti schieramenti: mica roba da poco. Se poi si dava retta alle prime notizie di stampa, che lo stesso Monti ha dovuto smentire, poco poco si sarebbe potuto tenere un Senato accademico della Bocconi a Palazzo Chigi. Quelli che ora siedono sugli scranni del governo, per molti milanesi sono persone che si conoscono, che si vedono alle prime della Scala, come ha fatto notare con orgoglio Marco Garzonio su Il Corriere, in altri eventi pubblici o in normali cene da amici. La sera del 16 novembre la padrona di casa mi ha fatto notare, con legittima soddisfazione, che i due posti vuoti erano Monti e Passera. Ma a fianco di questa borghesia dei cosiddetti “salotti buoni” (è un luogo comune ma serve per capirci) con un suo stile inconfondibile, esiste anche la borghesia più ostentatrice del berlusconismo, e persino una borghesia leghista.

Non facciamoci incantare dal cinema delle pernacchie e delle salamelle, la Lega ha una base solida di imprenditori, professionisti e amministratori. Non è borghesia? Dubiterei molto della sostenibilità scientifica di una esclusione di tal genere. L’errore sta nello scambiare concetti analitici escogitati per capire e ordinare la complessità dei fatti sociali con essenze reali: i tipi ideali, direbbe Weber, con i tipi naturali. Ovviamente essendo le singole borghesie locali il frutto della specifica storicità, sono, in Italia come altrove una formazione sociale multiforme che comprende molti tipi concreti specifici, dalla borghesia imprenditoriale pura, a quella di Stato, come Berlusconi, alla borghesia funzionariale a quella delle arti e così via.

L’idea che l’Italia non abbia una borghesia è un topos che viene periodicamente ventilato da sociologi accademici come Franco Ferraresi (Un paese senza élites, 1996) o da professionisti del sociologismo come De Rita che la lanciò già nel 1997. Ora, che in Italia non ci sia la borghesia dei Lloyds o quella dell’ENA, è una ovvietà che non mette neppure conto di ribadire, ma spingere l‘hype retorica al punto da sostenere che nel nostro paese non esista una borghesia è un giochetto che andrà bene per attirare l’interesse dei media, ma non contribuisce affatto al buon ordine del discorso e alla comprensione della società italiana che ha una borghesia, multiforme come nel resto del mondo, ma molto ben identificabile. Basta andare alle prime della Scala, come abbiamo già detto per Milano, o a eventi sociali comparabili per le altre città o nella Capitale, oppure fare un rapido passaggio nei luoghi deputati come Cortina, Capalbio, Portofino o Porto Rotondo e di recente, anche in qualche campo da golf o resort specializzato.

Va da se che come tutte le categorie sociologiche anche quella di borghesia ha confini incerti e cangianti cosa che si presta ai soliti dibattiti nominalistici, croce e delizia del mondo mediatico italiano. E’ ovvio che ci sono molte accezioni del termine “borghese” originato nel medioevo urbano per definire con l’appellativo di “burghenses” o “poortmanni” le nuove classi mercantili che abitavano appunto i sobborghi delle città medievali, non il “burg” o “fortezza” i cui abitanti si chiamavano “castellani”. Poi da questa rudimentale proto-borghesia mercantile si sviluppò quella che è la borghesia moderna, un corpo multiforme e variabile, ma unificato dalla caratteristica unica di essere la classe dominante tipica di sistemi capitalistici, inclusi i sistemi capitalisti di stato. Borghesia e capitale sono termini necessari e sufficienti per il concetto.

Ma, chissà perché, nella cultura italiana si è radicato il topos della mancanza di una borghesia, che piace molto ai mass media. “Quest’anno lanciamo il tema della morte della borghesia”. “Dai, bravo!”. E patatrac due settimane dopo la borghesia in massa si ripresenta a occupare tutti gli scranni ministeriali disponibili. Non solo, ma appena tolto il tendone da circo dei fondali azzurrini, le caratteristiche precipuamente “borghesi” di questo governo hanno subito fatto presa sulla maggioranza della popolazione. Non c’è stato bisogno di spiegare a nessuno come era fatto il presunto estinto. Se poi guardiamo ai fatti storici la borghesia italiana ha dimostrato una piuttosto rimarchevole capacità di durare, di sopravvivere e di adattarsi anche a cambiamenti molto profondi, guerre, dittature, rivoluzioni.

Molto del capitale di famiglia italiano è ormai lì da più generazioni: poi, ogni tanto, salta fuori qualche uomo nuovo come Berlusconi, ma è assai più l’eccezione che non la regola. Del resto il principale meccanismo di mobilità sociale, cioè l’istruzione superiore, in Italia è da anni bloccato ai livelli più bassi di mobilità e più elevati di riproduzione sociale. Dall’università escono in pochissimi e tutte le volte che si è cercato di ampliare questo ambito le reazioni della borghesia, dirette o indirette tramite i suoi intellettuali, sono state violente. Allora c’è o non c’è questa borghesia? Decida il lettore, ma forse qualche cautela nelle dichiarazioni di morte sarebbe raccomandabile, per evitare il rischio di trovarsi poi, come commensale, il presunto cadavere.

 

Guido Martinotti

 



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