22 novembre 2011

UNA BANCA ETICA O SEMPLICEMENTE … UNA BANCA?


L’attività principale delle banche è quella creditizia, cioè di essere un intermediario che è capace, sotto varie forme, di raccogliere risorse finanziarie e di prestarle principalmente alle aziende attraverso una adeguata gestione del rischio. Le Banche svolgono quindi un’importantissima attività perché, attraverso questa attività di intermediazione, canalizzano il risparmio verso le aziende e quindi portano “benzina” allo sviluppo economico. E’ molto facile capire come questa attività non abbia contenuti tecnologici né necessiti di competenze particolari se non una lunga curva di esperienza che nasce dalla capacità di valutare il merito di credito delle aziende e di allocare quindi con adeguata prudenza le risorse raccolte.

Giustamente si è più volte sottolineato, durante gli ultimi anni di crisi, come questa attività sia assimilabile a quella di una utility. Se l’allocazione delle risorse viene ben gestita l’attività bancaria non ha molti rischi, ma neppure presenta un particolare “picco” remunerativo per gli azionisti. Infatti le banche, sino a venti/trenta anni fa, erano valutate poco più del patrimonio netto poiché la redditività su tale patrimonio non era molto elevata.

Negli ultimi decenni la situazione è sostanzialmente cambiata. L’origine del cambiamento è legata a due elementi fondamentali:

la liberalizzazione finanziaria: alle banche è stato concesso di fare operazioni sempre più complesse e sempre più rischiose e ciò ha stimolato la nascita di prodotti finanziari e di forme di finanziamento più remunerativi, ma assai più rischiosi. In particolare i finanziamenti per operazioni di acquisto di aziende e di immobili con forte leva finanziaria e la vendita di tutto quel mondo di prodotti derivati i cui volumi e la cui complessità ha poi destabilizzato i mercati finanziari. Queste operazioni sono molto più remunerative della normale attività creditizia anche perché la vendita di questi prodotti genera una commissione immediata per le banche che permette di avere i ricavi e i profitti ora e di fare emergere gli eventuali rischi in futuro. I prestiti tradizionali non si giovano di questa opportunità e sono remunerati da un semplice interesse annuale. Tutto questo ha incentivato il management delle banche a sviluppare continuamente nuovi prodotti più innovativi ma anche più rischiosi.

teoria del valore per gli azionisti: questo “mantra” che si è pure sviluppato negli ultimi venti anni ha spinto management e azionisti a far crescere il valore di tutte le aziende e anche delle banche. Il management viene totalmente incentivato su questo obiettivo. Perciò oltre a spingere fino al limite le opportunità createsi a seguito della liberalizzazione finanziaria ci si è orientati ad aumentare la massa dei prestiti aggiungendo ai depositi un crescente indebitamento per finanziarsi (il cosiddetto “leverage” o leva finanziaria). Pertanto il patrimonio delle banche è ormai molto piccolo rispetto al volume delle risorse intermediate. La leva finanziaria è uno strumento potente per far crescere gli utili se i prestiti sono tutti solvibili, mentre è un elemento distruttivo nei momenti di crisi poiché il capitale, come si è visto, non riesce a far fronte alle perdite legate ai rischi assunti e trasferisce le perdite sui creditori delle banche e in ultima analisi sugli Stati che alla fine intervengono perché una interruzione del sistema creditizio metterebbe in crisi l’intera economia.

Il problema attuale è pertanto quello di ridurre la leva delle banche e regolamentare maggiormente il mercato dei prodotti finanziari. Se ne parla ormai da molti anni senza sostanziali risultati. Le Banche resistono fortemente e hanno molto potere nel farlo perché sono al centro dell’attività economica e anzi “ricattano” gli Stati e gli organi di regolamentazione sostenendo che una maggiorare regolamentazione porterebbe a un maggior costo del credito per le aziende. Ciò è vero se si vuol mantenere un elevato tasso di redditività, ma in realtà bisogna che le Banche e i loro azionisti accettino una minor redditività e un minor valore perché questi due fattori sono quelli che sono alla base del disastro finanziario a cui abbiamo assistito. Infatti le banche con la leva finanziaria hanno fatto crescere il rischio della loro attività prendendosi il vantaggio economico negli anni buoni e trasferendolo all’esterno nei momenti difficili.

Si parla spesso delle esperienze di alcune Banche Etiche. Ve ne sono in tutti i paesi. La principale banca etica europea è Triodos ed anche in Italia vi è Banca Eitica. Sono esperienze interessanti ma assai piccole e tali banche riescono a servire solo alcune nicchie di mercato. Sono tentativi apprezzabili, ma che non hanno nessun reale impatto macroeconomico. Ciò di cui abbiamo bisogno sono banche grandi, normali e che accettino di ritornare all’attività principale per cui sono nate (il credito all’economia “reale”) offrendo ai loro azionisti un ritorno finanziario adeguato a tale attività. Una maggior regolamentazione e una riduzione del processo di innovazione finanziaria non crea alcun danno, almeno nel breve, e anzi può aiutare a ridurre una pericoloso complessità e volatilità dei mercati.

Le operazioni più rischiose e i prodotti finanziari più complessi e il trading diretto sui mercati devono essere riservati a istituzioni diverse, di cui sia chiaro il rischio, che non raccolgano il risparmio dei privati, che operino a leva più ridotta e che non debbano essere salvate in caso di fallimento. Non vi sono quindi scorciatoie o alternative a una sostanziale riforma del mercato finanziario assumendosi il coraggio di non farsi mettere in scacco dalle istituzioni finanziarie stesse.

 

Luciano Balbo

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti