22 novembre 2011

DOMENICHE A PIEDI: BASTA LA PRIMA CINTURA?


“Sarebbe ora di smacchiare il leopardo, ragazzi?” La domanda va assolutamente presa sul serio se si guarda la mappa dei comuni che, accanto al capoluogo, hanno deciso di fermare i motori il 20 novembre. A prescindere dalle annose discussioni sulla relativa utilità o inutilità, esemplarità o rappresaglia ai fini della riduzione dell’inquinamento atmosferico, stupisce la eterna improvvisazione (chiedo scusa per l’ossimoro) con la quale la pletora di comuni e comunelli, province e provincine affronta ogni qualvolta la questione.

L’unica omogeneità in materia è fornita da madre natura che con saggia equanimità (secondo il principio dei vasi comunicanti) distribuisce polveri sottili e ben miscelati inquinanti su almeno tutta l’area metropolitana. Il fenomeno è ben visibile anche agli scettici verso la sempre rinviata istituzione metropolitana, spesso col pretesto che “è difficile stabilirne i confini”, qualora volessero infilare gli scarponi e salire sulla vetta della Grignetta o del Resegone in una di quelle placide giornate padane senza vento e senza pioggia. Osserverebbe chiaramente, sotto il ciel di Lombardia “che è tanto bello quando è bello”, una densa e uniforme chiazza marrognola, più simile alla ispida pelliccia dell’orso che a quella maculata offerta dalla carta geografica “politica” di cui sopra. I confini di una possibile città metropolitana risultano disegnati direttamente sul terreno!

Tornando alle “domeniche a piedi” invece diversi comuni, a dispetto del buon senso posto che è più probabile usare l’auto per medie e lunghe distanze piuttosto che per spostamenti domestici, giocano al bastian-contrario trasferendo il legittimo principio di autonomia in un contesto di anarchia e anomia. Le province, assolto se del caso il rito del “tavolo”, si ritirano nel silenzio dimostrando se ancora ce ne fosse bisogno la propria inadeguatezza e inutilità. Quella di Monza-Brianza in particolare non vede e non sente, questa volta con il tacito assenso unanime dei comuni, come se l’inquinamento si fermasse miracolosamente alle soglie di Brugherio e di Nova Milanese. Milano inoltre, al di là della meritoria iniziativa di rendere periodiche e prevedibili le fermate, a sua volta invece di aggredire le fonti della congestione oltre l’anello delle tangenziali, regredisce dentro i bastioni spagnoli riattivando gabelle di manzoniana memoria.

Potrà mai essere che questo disordine istituzionale e funzionale possa essere archiviato insieme al ciarpame della seconda repubblica, portatore di diseconomie, disfunzioni e “costi della politica”?

Tenuto conto che in gioco non sono solo le “domeniche a spasso” ma fondamentali politiche attinenti il governo del territorio, il sistema della mobilità, le essenziali risorse ambientali, ossia le funzioni che richiedono una visione d’insieme e interventi integrati, lasciando ovviamente al livello comunale le attività di dettaglio e le materie riguardanti i servizi alla persona. Si potrebbe allora scoprire che per decongestionare Milano sarebbe forse più economico prolungare le linee del metrò in superficie verso l’esterno piuttosto che moltiplicarle in sotterranea all’interno, più utile dotare le stazioni ferroviarie extra-urbane di parcheggi di corrispondenza che attirare traffico perforando il centro, e così via. Smacchiare il leopardo non è facile, come non è facile uscire dalla crisi attuale. Però Milano (e finalmente anche Roma?!) potrebbe provare a manovrare con più energia spazzola e sapone.

 

Valentino Ballabio



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