15 novembre 2011

LA CRISI, MONTI E GLI “SFASCISTI”


Era facile prevederla, non si è fatto nulla per impedirla e ci si è messo del proprio, prima, durante e dopo. Che la crisi del 2008 sarebbe transitata dalla finanza privata a quella pubblica era inevitabile, e che l’Italia fosse a rischio era nella natura delle cose: come poteva un paese stagnante, con debito pubblico crescente, non essere assediato da pericoli finanziari enormi? Si è fatto finta che tutto questo non esistesse, certamente a destra ma neppure a sinistra si è del tutto innocenti.

Ma ora che il giocattolo berlusconiano si è finalmente rotto, possiamo dirci in salvo? Certo le oscillazioni dello spread certificano il negativo peso specifico di Silvio Berlusconi, ma la fiducia a Mario Monti è a tempo e dovrà essere giustificata da atti concreti. Quali e fino a che punto potranno essere buttati giù in nome del Paese? Li dobbiamo digerire, dimenticando da dove viene la crisi e da dove viene Monti? Qui si misura, in un delicatissimo passaggio che sarà ricordato a lungo, la lungimiranza e la dedizione alla salvezza nazionale di leader, partiti, forze sociali e cittadini. Nessuno potrebbe chiamarsi fuori, ma c’è già chi lo grida e chi lo pensa.

Certo Mario Monti è un gran borghese, un rappresentante organico alle istituzioni finanziarie che tanta responsabilità hanno nella crisi. Certo, le sue iniziative potranno essere, volta a volta, indigeribili a questo o a quello, e mettiamoci pure noi negli insoddisfatti di turno. E altrettanto certamente, un trasparente passaggio politico istituzionale esigerebbe un altrettanto netto pronunciamento elettorale, legittimando con il voto popolare le concrete misure che il governo prenderebbe. Tutto vero, ma alla fine tutto falso, o meglio tutto astratto, tutto da manuale di diritto costituzionale, da anime belle. O anche da anime dannate che nascondono, dietro i princìpi, opachi obiettivi particolari.

C’è un passaggio nella storia del Paese che meglio di altri illustra la natura del problema e la durezza della scelta: la svolta di Salerno del ’44, e non è neppure un caso che in questo frangente delicatissimo, il profilo da classe dirigente sia stato assunto dagli eredi di quella visione politica, in primis Giorgio Napolitano. Se PD e UDC fossero mossi solo dal particolare, dal vantaggio che potrebbero trarre da una competizione elettorale contro un nemico oggi finalmente travolto e sconfitto, certo passerebbero subito all’incasso. Ma grazie a Dio, così non è. Come allora, si riconosce la necessità primaria di unire forze, pur distanti su molte questioni, per fare fronte a un nemico mortale e a una sfida che non può essere sostenuta procedendo ognun per sé, e come allora non sono ignoti i rischi e i costi politici, sociali, personali, che questa scelta determina.

Ma l’opzione è secca, così come il quesito che ci sta di fronte: abbiamo il tempo, le risorse, i mezzi, per condurre in porto sicuro la nave Italia? Possiamo resistere anche solo pochi giorni a un crollo verticale di fiducia che ci viene negata non dagli “speculatori”, come alcuni poveri di spirito raccontano, ma dagli operatori finanziari istituzionali, grandi banche e fondi pensione? Se la risposta è no, se ne devono trarre le conseguenze: cosa sarebbe del nostro reddito e del nostro risparmio dei prossimi mesi (non anni) sotto lo spettro del default? Chi pagherebbe stipendi e pensioni e come le imprese potrebbero sottrarsi al credit crunch? E senza Monti, quale sarebbe il nostro destino sotto un governo preelettorale guidato da un Berlusconi che, più che dal Paese, è stato licenziato dai mercati?

Chiunque vincesse avrebbe la bella soddisfazione di fissare la sua bandiera su di un cumulo di macerie, senza poterne scegliere neppure i colori: Grecia o Argentina?

In queste condizioni, si palesa la natura profonda di persone e forze politiche, e dobbiamo dar conto del sempre rinascente vizio italico del “tanto peggio, tanto meglio”. Appartengono a questa schiera gli “sfascisti”, un caravanserraglio di soggetti che, come l’autocrate di Arcore, sono disposti a tutto il male, comune, pur di conseguire tutto il bene, proprio. In prima fila la Lega, cui non par vero di passare all’opposizione, sperando di nascondere le sue gravissime colpe, ma soprattutto, e qui il disegno diviene davvero criminale, che l’impatto devastante della crisi spezzi l’unità nazionale. Di fronte a loro, ipnotizzati in un’analisi che legge solo i danni sociali delle misure previste dalla BCE, ma incapaci di intendere il momentum, stanno i tardocomunisti, eredi inadeguati della loro grande tradizione.

Su Di Pietro nulla diciamo, tanto è palese la ricerca di una rendita di posizione, a dispetto di tutto e di tutti. Ma gli “sfascisti”più pericolosi sono quelli sottotraccia, che non dicono ma operano insidiosi per indebolire e ridurre all’impotenza una soluzione politico istituzionale doppiamente, per loro, pericolosa: ne diffidano istintivamente perché ne colgono il segno potenzialmente anticasta e perché la considerano la premessa di una definitiva sconfitta del ventennio berlusconiano a cui tutto devono. Sono gli ex aennini, terrorizzati dal randello di Fini, sono i pretoriani più irriducibili della coorte berlusconiana, ma anche i “responsabili” che scorgono in un patto nazionale la premessa del crollo del loro potere d’interdizione, oltre allo stesso Berlusconi, s’intende. A tutti costoro non mancheranno le munizioni per ostacolare prima e far fuoco poi sul neo governo: pensioni d’anzianità o mobilità dei pubblici dipendenti, consorterie professionali o privilegi sindacali anacronistici, gli “sfascisti” avranno ottime occasioni per rappresentare il disagio sociale, lucrando cinicamente un vantaggio politico su sofferenze proprio a loro addebitabili.

E’ un passaggio delicatissimo e pericolosissimo.

Napolitano, Bersani e Casini ne sono conduttori, ma il successo è condizionato all’emergere, nel dissolversi del PDL, di orientamenti e di figure che sappiano cogliere la sfida come lavacro purificatore del centrodestra: Alfano, Pisanu? Frattini? Formigoni? Lupi? Vedremo, certo i rischi politici sono altissimi, ma il non correrli li collocherebbe tutti, a destra e a sinistra, nel girone degli Ignavi, che per un Politico è certo il peggiore.

Soprattutto, la vera scommessa sarà la capacità del nuovo governo di coniugare rigore e sviluppo, rassicurando i mercati sulla sostenibilità del debito con quelle iniziative immediate e riformatrici che possono rimettere il Paese sul cammino della crescita. I nomi che circolano sembrano di altissimo profilo e, quasi come in un gioco degli specchi con la primavera milanese, sembrano alludere, alla mobilitazione delle risorse civiche come ultima ratio per salvare la Nazione, la Res Publica e la stessa Politica.

E’ una logica da Salvatori della Patria? No, semplicemente è l’unica logica possibile nella situazione data, dove il massimo pericolo obbliga finalmente la comunità nazionale a smuovere le acque della palude limacciosa in cui affondiamo da tanti anni.

Qui, non dimentichiamolo, sul fronte della crescita, è fallito Berlusconi e con lui Tremonti – Bossi, e qui gli sfascisti vorrebbero che fallisse Monti, di nuovo mettendo, proprio loro che hanno fatto carne di porco della Repubblica, argomenti di purezza politico istituzionale di fronte ad una emergenza che chiede il massimo pragmatismo: si vorrebbe che le riforme avvenissero, come dire, a bocce ferme, in un quadro pacato e ragionatore, centellinando le concessioni reciproche, elaborando al calduccio del Parlamento soluzioni legittimate dal processo elettorale.

Tutto bello, ma il tempo c’è stato, era tanto, ed è stato buttato. Usiamo quel poco che resta per salvare la casa, mentre fuori infuria la tempesta.

Giuseppe Ucciero

 

PS: della CGIL abbiamo troppo rispetto. Sospendiamo il giudizio sulla sua sospensione di giudizio.



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