15 novembre 2011

PARTIRÀ, FORMIGONI, PARTIRÀ


La dipartita di Berlusconi comporta anche la dipartita di Formigoni. Il celeste non ha mai nascosto negli ultimi anni la voglia di andarsene e negli ultimi mesi è diventato frenetico, tanto più che in regione non è più rieleggibile. Accelerare la dipartita è suo interesse perché gli consentirebbe di mettere sul tavolo delle trattative con gli alleati un pezzo pregiato. Impossibile questa volta che funzioni il ricatto dei suoi amici e clientes, terrorizzati dall’idea che arrivi qualcuno esterno al clan o peggio ancora un avversario interno. Nel caso di dimissioni volontarie l’articolo 126 della costituzione comporta l’automatico scioglimento del consiglio regionale, le elezioni si debbono tenere secondo lo statuto entro tre mesi, giunta e consiglio restano in carica per l’ordinaria amministrazione, le funzioni di Formigoni vengono esercitate da un vicepresidente (art.30).

Se l’agonia del sistema berlusconiano sarà come probabile lenta, tra governi di unità nazionali, scissioni dei partiti, riaggregazioni ecc, forse il centro sinistra riuscirà a prepararsi adeguatamente. Il compito non è semplice.

Formigoni prese 2.704.057 voti, Penati 1.603.674, Pezzotta 225.849, Crimi 144.588, Agnoletto 113.749. In percentuale Formigoni prese il 56,10%, come da tradizione un po’ meno della percentuale dei voti dei partiti che lo sostenevano, vi è però una forte differenza tra il numero di elettori che hanno votato per il presidente e quelli che hanno votato le liste. Il centro sinistra deve recuperare quindi, oltre a tutto l’elettorato centrista, oggi più difficile senza Berlusconi, quello di Agnoletto (2,36%) e almeno un 400.000 voti. Mica micio micio bau bau. La vittoria di Pisapia a Milano per intenderci ne ha spostati pochini.

Formigoni prese a Milano 288.830 voti, la Moratti al primo turno 273.000; Penati con Rifondazione ne prese 258.000, Pisapia 315.000; in pratica l’aumento in valori assoluti di Pisapia è stato il recupero dell’astensione, tant’è che i votanti a Milano per le regionali erano stati il 60,6% al comune il 67,6%. I 315.000 voti di Pisapia sono un po’ meno dei 326.000 voti di Sarfatti (ma non c’era il movimento 5 stelle) quando alle regionali del 2005 i votanti furono il 67,6% proprio come alle ultime comunali.

Questo per dire che la vittoria a Milano in termini di valori assoluti non ha modificato significativamente i rapporti di forza in Lombardia. Nella sola provincia di Bergamo Formigoni ha preso 160.000 voti in più di Penati e Pezzotta insieme. Sul totale dei votanti 4.819.000 per il presidente, 4.263.000 per le liste, Milano e provincia pesano rispettivamente 1.474.801 e 1.303.072, la città 588.978 e 513.408. Le percentuali di Formigoni nel 2010 furono: Bergamo 62%, Brescia 59, Como 63,5, Cremona 54,15, Lecco 57, Lodi 54, Mantova 49,80, Milano provincia 50,24, Monza 56, Pavia 57, Sondrio 67,5, Varese 60. Gli irriducibili di 5 stelle che presumibilmente anche la prossima volta andranno da soli stanno attorno al 2%.

Si vota a un turno, quindi il metodo più sicuro per il centro sinistra è puntare sull’effetto Vendola che altro non è che “sperare che l’avversario si divida e il centro sinistra si aggreghi”, senza la Poli Bortone non avremmo avuto Vendola presidente. L’altra possibilità, più difficile è trovare un candidato che aggreghi tutte le forze di opposizione e che sappia sfondare nelle provincie. Deve essere chiaro che non è a Milano che si gioca la partita, Milano è indispensabile, ma non sufficiente.

La questione centrale è quindi quella del candidato, non solo perché gli elettori votano più per il candidato che per i partiti, ma perché è attorno alla sua figura che si può aggregare lo schieramento più ampio possibile; con un problema in più rispetto alle altre elezioni: c’è un turno unico, non è quindi possibile votare la prima volta per quello che convince di più la seconda per il meno peggio.

Ma chi sono i potenziali candidati? Vediamo le alternative teoriche basic:

Un giovane promettente / un uomo noto e d’esperienza

Uno sconosciuto / una faccia nota

Un politico/una società civile

Un profilo che tende ad aggregare il bacino ‘più tradizionalmente della sinistra / un profilo che attira gli elettori di centrodestra

Un milanese / un provinciale

E potremmo continuare all’infinito; più semplice cominciare a vedere dei nomi, scelti a puro e insindacabile giudizio dell’autore senza alcun riferimento a candidature reali.

Nell’area Pd, che non può permettersi di fare il portatore d’acqua anche in regione, non ci sono più né amministratori locali “pesanti”, decimati dalle sconfitte, né “senatori” autorevoli. Ci sono Civati e Martina entrambi giovani, più mediatico il primo, più mediatore il secondo, entrambi uomini di partito, entrambi scarsamente definibili politicamente (Civati perché poliedrico, Martina perché sfumato), entrambi provinciali. Martina nonostante anni di servizio è per il grande pubblico ancora uno sconosciuto, il che non è uno svantaggio, infatti può facilmente essere costruito ad hoc per la campagna elettorale. Civati è più conosciuto, più aggressivo ma anche più urticante e pochissimo amato soprattutto nella nomenclatura del suo partito.

Altro Pd potenzialmente in pista è Boeri (in giunta a Milano festeggerebbero a lungo), più conosciuto, più società civile, più internazionale, più politicamente articolato, meno giovane ma giovanilistico, sopratutto tremendamente milanese e borghesia rossa (che peraltro alle primarie non lo ha votato), anche lui pochissimo amato dal suo partito e dall’entourage di Pisapia. Boeri e Martina hanno già affrontato le primarie, sia pure di tipo diverso, Civati ha affrontato quelle feroci primarie che sono le preferenze. In comunicazione Civati e Boeri sono blog victims, Martina tende più al tradizionale. Tutti e tre non sono ex qualchecosa ma Pd allo stato puro: Martina più establishment, più romano; Civati più nazional giovanil popolare; Boeri più nella tradizione della Milano sessantottarda. Civati ha qualche difficoltà a costruire alleanze a destra, Boeri ha qualche difficoltà a costruire alleanze a sinistra, Martina no. Civati e Boeri sono movimentisti, Martina no

Meno giovane, meno milanese, meno di sinistra (forse), più cattolico, c’è il neo assessore Tabacci. Eterno attor giovane nonostante gli anni, è il papa straniero che potrebbe mettere d’accordo tutti? Pensare Tabacci come liquidatore dell’esperienza formigoniana va venire voglia di parafrasare Byron “dolce è la vendetta, specialmente per i democristiani”. Tabacci è della provincia, ha un sicuro appeal per i moderati, passa bene in tv, ha esperienza da vendere, è una vera bestia nera per l’intellighenzia berlusconian-ciellina e il sistema di potere collegato (ben più che tutti gli altri messi assieme), ma non è un asso nelle campagne elettorali, è spigoloso, molto amato e molto odiato da alcuni poteri forti. Difficilmente però accetterebbe le primarie e questo consentirebbe l’insurrezione dell’Idv e di Sel; questo è il suo vulnus principale.

Ma le primarie si possono fare quando è indispensabile una alleanza tra diversi per vincere? La fine dell’antiberlusconismo apre infatti drammaticamente la questione delle alleanze e pone in Lombardia la questione portante: scomparso il “nano maledetto” tra qualche mese ci saranno ancora le ragioni per mettere insieme Vendola e Tabacci?

 

Walter Marossi



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