8 novembre 2011

SANITÀ LOMBARDA. È TUTT’ORO QUELLO CHE NON RILUCE


La nostra Costituzione, della cui attuazione ci si è fatti spesso beffe e che fortunatamente resiste ancora impavida nonostante i continui ripetuti attacchi, all’articolo 32 recita: ” La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. “.

Sulle questioni dei trattamenti obbligatori ne abbiamo viste di tutti i colori così come sul limite del rispetto della persona e in nome del trattamento obbligatorio abbiamo visto i più incredibili contorcimenti ideologici, strumentali alle alleanze tra partiti, politica e religione; per dirla in parole povere spesso un’orgia di ipocrisia: la vittima come sempre l’uomo e la sua dignità nella libertà. Dunque non deve sembrare strano che si voglia qui e ora riannodare i fili del discorso sulla salute e sul sistema sanitario italiano. Il fatto non è casuale.

Da qualche giorno il tribunale di Milano ha ammesso al concordato l’Istituto scientifico universitario San Raffaele, meglio conosciuto con il nome di ospedale San Raffaele (HSR) fondato nel 1969 da don Luigi Maria Verzé, che ne è stato presidente fino al luglio 2011, quando le note vicende l’hanno costretto a scendere dal piedestallo dorato che si era costruito. La minaccia del fallimento è stata fortunosamente scongiurata dal Vaticano con le sue finanze. Quanti soldi ha bruciato quella fornace? Di chi erano quei soldi? Quanti di questi erano pubblici? Che margini aveva il San Raffaele sui rimborsi della Regione? Una serie d’interrogativi restano sul tappeto ma prima di affrontarli corre l’obbligo, come si diceva un tempo, di fare qualche considerazione.

La salute e soprattutto la sua cura sono un terreno nel quale muoversi è difficilissimo soprattutto se lo si affronta dal punto di vista che ci interessa di più in questo momento: la salute è una merce? La salute è un mercato? A queste domande sono state date infinite risposte ma la situazione è quella che Luciano Balbo, uomo che sulla sua pelle vive questi problemi tutti i giorni, ha dato sulle nostre colonne. Credo che si debba riflettere su fatti di cronaca e su realtà quotidiane che videro coinvolte società farmaceutiche di grido (mai condannate che si sappia) nello scandalo di Poggiolini e di sua moglie, del sangue infetto che ha provocato centinaia di morti, di protesi difettose impiantate senza scrupoli, d’interventi operatori inutili ma lucrosi, per finire tutto quello che con un modo di dire tipicamente italiano chiamiamo “mala sanità”.

Eppure, malgrado tutto investire nella sanità rende, senza fare clamore: da qualche clinica privata di modeste dimensioni si arriva a imperi sanitari, si entra nel Gotha della finanza. Si cresce e si prospera. Gli “accrediti” sono una manna, i controlli inesistenti: un vero oligopolio diffuso nato all’ombra di governi corrotti e compiacenti. Durante il giorno sento una pubblicità radiofonica con la quale la Presidenza del Consiglio offre, se non sbaglio, un finanziamento di 5.000 euro alle giovani coppie in attesa di un figlio.

Che cosa sono 5.000 euro rispetto ai 28.000 che ognuno di noi si trova sulle spalle quando nasce? Se campiamo fino a 81 anni – l’attesa di vita media tra uomini e donne – avremo speso quasi 150.000 euro per curarci e più invecchiamo e più costeremo. Chi ci guadagna? Quanto “legittimamente”? Dove si ferma l’equo compenso nella sanità? Se lo sapessimo! E potessimo saperlo, ci indigneremmo. Ma la congiura del silenzio nella “casta” della sanità è una regola ferrea. Fino a quando?

Luca Beltrami Gadola



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