8 novembre 2011

SANITÀ. OPINIONI FUORI DAL CORO PER UNA POLITICA VERA


Il dibattito sul tema della sanità e soprattutto del  rapporto pubblico e privato è spesso legato a “visioni predeterminate” e poco basato sulla effettiva comprensione delle reali dinamiche operative ed economiche. E’ quindi importante partire da una ricognizione dei fatti. Il principale è che quasi tutta la sanità è “pagata” dal pubblico, almeno nei settori in cui il settore pubblico ha deciso di dare una copertura sanitaria ai cittadini.

In queste aree (medicina territoriale, diagnostica e servizi ospedalieri) infatti il pagatore ultimo del servizio è lo Stato, attraverso le regioni, e la differenza principale è quindi se l’erogazione viene fatta direttamente dal settore pubblico stesso oppure attraverso privati. L’incidenza della spesa pagata direttamente dai cittadini al di fuori del sistema sanitario nazionale è tuttora modesta a eccezione del settore delle visite mediche specialistiche.

Il rapporto con gli erogatori privati è regolato attraverso un complesso sistema di rimborsi per prestazione che è diverso da regione a regione ma che, nella stessa regione, è uguale a quanto viene riconosciuto all’erogatore pubblico. Quindi dal punto di vista del pagatore finale (lo Stato) non vi è quindi differenza se la prestazione viene erogata direttamente o attraverso privati accreditati.

Questo fatto è un punto forte dei sostenitori dell’importanza di aprire ai privati l’offerta sanitaria. Essi sostengono che per lo Stato non cambiano i costi e anzi si crea una concorrenza che genera una migliore qualità e che tale concorrenza viene anche stimolata dalla possibilità dell’utente di scegliere il proprio erogatore.

Non si può negare che questa argomentazione abbia del fondamento. Infatti tutti gli studi dimostrano che l’assenza di concorrenza fa cadere lo stimolo verso la qualità e rende l’erogatore autoreferenziale. Una conferma viene dal fatto che in Lombardia, dove la regione ha molto praticato questa politica di apertura ai privati, la qualità è tra le più alte in Italia. Tuttavia i problemi nella sanità non mancano ed essi derivano da vari elementi.

1) Le modalità dell’offerta privata – I privati tendono sempre più a pagare i medici con una remunerazione variabile legata alle prestazioni che realizzano. Questo diventa un forte incentivo non solo ad attrarre pazienti, ma anche a trattarli con un “eccesso” terapeutico in termini di esami diagnostici e di interventi chirurgici. E’ difficile quantificare questo effetto, ma tutti gli studi hanno mostrato che quando l’incentivo è rivolto ad aumentare le prestazioni i comportamenti si adeguano e quindi, con il passare del tempo questo rischio (già riscontrato in alcuni casi) si materializzerà facendo lievitare la spesa senza alcun vantaggio per gli utenti.

Va inoltre aggiunto che spesso i privati selezionano la loro offerta concentrandola nelle aree a maggior redditività e lasciando al settore pubblico le prestazioni meno remunerative. Ciò permette loro una posizione di favore che non appare giustificata soprattutto se si considera che il settore offre buone redditività in un mercato in continua crescita. Quindi gli operatori privati che hanno ottenuto l’accreditamento godono di un mercato “sicuro” e redditizio. Questa posizione appare poco giustificata e vi è da chiedersi se non serva più concorrenza e non meno concorrenza aprendo a nuovi accreditamenti che permettano una maggiore concorrenza ed evitino una posizione di rendita. Dunque quando si è aperto ai privati bisogna poi evitare che “pochi eletti” godano del privilegio di essere stati scelti. La concorrenza a metà e molto peggio della vera concorrenza.

2) L’indebolimento dell’offerta pubblica – Tutti ben sappiamo che il settore pubblico in Italia è inefficiente, non premia la qualità e non motiva le persone. Nella sanità la situazione sta peggiorando. La restrizione agli investimenti ha fatto ancora più emergere i difetti e i privati, soprattutto al Nord, riescono sempre più a strappare al settore pubblico le persone di maggior qualità. Se questo trend non viene bloccato vedremo una ulteriore pressione verso l’erogazione privata promossa dagli utenti stessi. Ciò avviene già al Sud dove la migrazione sanitaria verso il Nord, e soprattutto verso il Nord privato, è in continua crescita.

I grandi oppositori della sanità privata, pur avendo alcune ragioni fondate, sono spesso i migliori amici dei privati perché non riconoscono la crisi del settore pubblico italiano e la necessità di una grande riforma che metta la performance al centro dell’attenzione adottando le necessarie tecniche di formazione, valutazione e motivazione che non sono affatto “orride”, ma sono efficaci e vanno però utilizzare per l’interesse pubblico e soprattutto dell’utente. Solo così facendo il settore pubblico potrà competere bene con l’erogatore privato e addirittura batterlo applicando una migliore appropriatezza medica che limiterà la spesa totale dello Stato e gli utili dei privati.

3) Mancanza di innovazione – La sanità ha avuto una immensa innovazione tecnologica nei contenuti erogativi (farmaci, diagnostica e tecniche operatorie), ma è poco cambiata nel modello erogativo. Ciò è dovuto anche al fatto che l’erogazione viene conformata al sistema di rimborsi del Servizio Nazionale che è molto rigido e statico. Un esempio viene dalla medicina territoriale e non acuta, che è oggi, anche per lo stesso riconoscimento del ministero e delle regioni, un’area critica.

La riduzione del ruolo dei medici di medicina generale e l’incremento della diagnostica hanno fatto perdere all’utente un vero riferimento. Il paziente viene quindi continuamente rimbalzato fra i medici di base, quelli specialistici e i laboratori diagnostici senza che vi sia spesso una vera presa in carico che lo rassicuri, gli dia una definizione e blocchi la continua ricerca di nuovi esami che plachino l’ansia. E’ stato dimostrato, in molti studi di ricerca, che la rottura del rapporto fiduciario porta a una caduta di soddisfazione del paziente e a un incremento inutile della spesa.

Occorre sperimentare nuove forme di erogazione di presa in carico. Per esempio realizzare delle unità territoriali che raggruppino medici di base, specialisti e diagnostica semplice in modo da offrire in queste unità la maggior parte della sanità in cui l’utente ha bisogno. Limitando gli accessi ai pronto soccorso e agli ospedali. Ma il settore pubblico, pur auspicandolo, non è capace di sperimentare e innovare e i privati non hanno interesse a sperimentare una attività a bassi margini e che potrebbe andare contro i loro interessi attuali. Serve quindi un nuovo tipo di rapporto pubblico/privato che sperimenti e promuova nuovi modelli.

4) La bomba a tempo degli anziani – Gli anziani sono i principali consumatori di sanità e l’allungamento della vita sta ponendo sempre più il problema degli ultimi anni di vita dove i casi di non autosufficienza sono in continuo aumento. Nel futuro avremo una crescita di questo bisogno ma a fronte di continue restrizioni di spesa e minori pensioni. La situazione potrebbe diventar esplosiva.

Anche qui serve sia sperimentare nuovi modelli erogativi, meno costosi e meno basati su scelte individuali, e nuove risorse da ricercare a scapito di altre spese private e pubbliche. I privati devono sempre più capire che non possono più permettersi di pensare ai servizi sanitari come qualcosa di “dato”, ma come a un prodotto di consumo, che pur parzialmente sostenuto dalle Stato, compete con gli altri loro consumi voluttuari. Peraltro va incentivata la sostituzione di consumi voluttuari (generalmente importati) con quella di servizi che prodotti localmente danno maggior benessere agli utenti e opportunità di lavoro per i giovani italiani.

 

Luciano Balbo

 

 

 



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